Numero 10/2018
8 Marzo 2018
Dreher Trieste: la nascita di un mito – Parte Seconda
La breve storia della Dreher di Trieste ricomincia da dove avevamo terminato con l’articolo precedente.
Come abbiamo avuto modo di vedere, nel 1865 nacque, grazie allo spirito d’iniziativa e i quattrini di una nutrita rappresentanza della “Trieste bene” dell’epoca la “Prima Fabbrica di birra in Trieste”.
Mentre i gentiluomini erano impegnati a firmar documenti, stringere mani e sincerarsi su cosa la fabbrica avesse davvero bisogno per partire con la produzione, fu affidata la costruzione della fabbrica all’illustre signor Berlam.
Fu questa una cosa assolutamente impensabile ai giorni nostri, perché l’inizio della costruzione ebbe luogo con ben sei settimane di anticipo rispetto alla stessa costituzione legale della società che l’aveva commissionata.
I Berlam erano una delle famiglie di architetti più importanti della zona, tanto che la città di Trieste poteva già mostrare con un certo orgoglio le meravigliose opere realizzate dalla famiglia, fin dall’inizio dell’ottocento.
La neonata società aveva fretta di costruire e di produrre birra, questo era chiaro.
Fu così che i lavori iniziarono a rotta di collo e la forza lavoro, inizialmente di 750 operai, fu rimpinguata fino a quasi 1100 effettivi dopo che nel settembre del 1865 una epidemia di colera colpì la città.
Il risultato di cotanta forza lavoro fu sotto gli occhi di tutti: dopo soli 230 giorni di frenetico lavoro, fatto quasi tutto con strumenti che potremmo decisamente chiamare primitivi, la fabbrica di birra fu terminata.
I giornali dell’epoca incensarono in lungo e in largo l’impresa di questo manipolo di temerari imprenditori, definendo la nuova struttura industriale come “un’opera grandiosa”.
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Il 15 gennaio del 1866 al cospetto del Luogotenente imperiale del Litorale, barone Kellersperg, il podestà Carlo de Porenta e le maggiori autorità civili e religiose del tempo, la fabbrica fu inaugurata.
I giornali sprecarono fiumi di inchiostro per lodare il nuovo birrificio; l’Osservatore Triestino, per l’occasione, così riportò sulle sue colonne l’avvenimento: “…il voler descrivere partitamente la grandiosità, la bellezza, le ottime disposizioni dei caseggiati, delle cantine e laboratori, sarebbe cosa assai ardua. Diremo solo che tutti i periti nelle arti trovarono che ogni cosa corrisponde a perfezione allo scopo, per cui dalla prossima primavera la nostra città non sarà più tributaria alle fabbriche dell’interno per questa bibita ora tanto in uso anche fuori dall’Europa; ottenendo anche con ciò di dare sostentamento a moltissimi dei nostri operai colle loro famiglie:”
Gli impianti così preparati erano pronti per lavorare 56.000 ettolitri di birra all’anno, ma per svariate ragioni questo volume fu raggiunto dopo quasi sei lustri.
Il processo tanto atteso fu finalmente avviato – ovviamente nel mese di marzo – cosicché il primo boccale di birra triestina fu messa in commercio nel maggio del 1866 al prezzo di 40 soldi al boccale. Per aumentare il volume di affari e per spingere i cittadini a consumare quella il giornale aveva definito semplicemente “bibita”, fu costruita una nuova birreria annessa alla fabbrica.
Finalmente le cose giravano per il verso giusto e la fabbrica di birra, voluta fortemente dall’alta finanza triestina, produceva la tanto agognata birra per il mercato locale. Ma ahimè i tempi erano cupi e lunghe nuvole nere, cariche di oscuri presagi, si stavano addensando sull’Europa.
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Il Re Guglielmo di Prussia iniziò a celare sempre meno la sua volontà di estromettere l’Austria dalla Confederazione Germanica mentre a sud, Vittorio Emanuele II, premeva per liberare Venezia dal giogo imperiale, cosa che di fatto gli fu impedita dopo l’armistizio di Villafranca dovendo scegliere tra la Lombardia o Veneto.
Il clima in città era rovente, nell’estate del 1866, e non solo per il tempo atmosferico: gli animi in città erano sempre più accesi: spinte nazionalistiche, irredentiste e patriottiche catalizzavano l’ambiente triestino, e ogni etnia ne era profondamente coinvolta. Erano anni di forti tensioni sociali, in cui nefasti venti di guerra non facevano presagire che il peggio.
L’instabilità politica e le difficoltà economiche non erano però sufficienti a giustificare la scarsa fortuna che la fabbrica di birra ebbe in termini di vendite.
I fondatori, animati dai più ottimistici propositi si prodigarono non poco, anche in termini economici, per rendere la fabbrica un moderno impianto di produzione ma, evidentemente, la birra prodotta ai triestini non piaceva e quindi il primo passo per cercare di salvare la baracca fu quella di sostituire il Braumeister Just.
Dopo il primo anno di attività furono venduti solamente 16.000 ettolitri di birra: troppo pochi per le ambizioni della dirigenza che, al netto di una costante ulteriore riduzione di vendite, vedevano salire in maniera importante gli oneri di gestione della fabbrica.
Esauritosi il capitale sociale, il consiglio d’amministrazione decise per una ulteriore ricapitalizzazione di 200.000 fiorini che però non bastarono. La società era in profonda crisi, le perdite si attestavano attorno ai 188.000 fiorini, troppi per pensare di andare avanti. La famiglia Morpurgo tentò un ultimo, disperato tentativo di salvare il salvabile dopo la messa in liquidazione della fabbrica, ma alla fine l’operazione si rivelò un ulteriore buco nell’acqua.
Fu così che il nuovo proprietario degli impianti, Giuseppe Morpurgo, dovette accettare l’offerta d’acquisto di 300.000 fiorini da parte di un noto importatore di birra viennese che si era già fatto conoscere in città.
Il suo nome era Anton Dreher.