Numero 21/2018
26 Maggio 2018
BERSERKER: Capitolo 13
Okir respirava affannosamente.
Lui era stanco, lo scontro contro due uomini lo aveva spossato.
I suoi nemici, feriti in modo grave, quasi mortalmente, invece, sembravano freschi come delle rose.
Inspiravano ed espiravano affannosamente, questo era vero.
Ma non più affannosamente rispetto a qualche minuto prima, quando lo scontro era iniziato.
Soffiavano bolle di saliva e sangue, perdevano il rosso fluido dalle ferite inferte da Okir, questo era vero…
Ma…
Ma era come se essi non sentissero la fatica…
Come se non sentissero il dolore.
Come era possibile?
In base alla sua esperienza personale, Okir, sapeva che delle ferite come quelle che aveva inferto ai suoi nemici avrebbero dovuto renderli inermi, agonizzanti…
Essi avrebbero dovuto essere a aterra, sanguinanti ed agonizzanti, in attesa che la Morte sopraggiungesse.
“Che strano fenomeno!” pensò Okir.
Come potevano, per quanto determinati, essere ancora in piedi quei guerrieri?
La domanda non ebbe il tempo di essere pronunciata dalle sue labbra che lo scontro iniziò nuovamente.
Uno dei due gli si lanciò contro.
Okir scartò a lato, schivando.
Si volto e abbattè la propria ascia sullla schiena del nemico.
Lo schianto delle costole spaccate di netto si sentì per tutta la valle.
L’uomo cadde a terra ed Okir sembrò sicuro della dipartita nemica.
Si voltò per fronteggiare l’altro avversario.
Fu lento.
Una sola frazione di secondo.
Solamente un decimo di secondo, in vero.
Ma tanto bastò.
L’uomo stava scatenando un fendente sul suo volto.
Okir fece un passo indietro.
Ma, per pochi millimetri, risultò ancora sulla traiettoria nemica.
La punta affilata della lama lambì il suo volto.
La ferita non era mortale, ma gravemente invalidante.
La lama lambì il suo bulbo oculare, cozzando violentemente sullo zigomo mentre era in ricaduta.
Okir si ritrasse, la mano sul volto.
Sapeva di aver perso l’occhio e di avere uno squarcio in volto.
Doveva terminare lo scontro in fretta.
Ne andava della sua vita!
Urlò tutto il suo dolore e la sua ira.
Un fendente, un affondo, un calcio a destabilizzare il nemico.
Una serie di colpi che sembrò interminabile e, d’un tratto, un colpo, uno solo, andò a segno.
Definitivo.
Un affondo portato con la spinta di entrambe le mani.
Il filo dell’ascia che aveva penetrato il collo nemico.
Con uno strattone, Okir sfilò la lama che, condizionata da quel movimento, tranciò quel poco di carne che teneva ancora insieme testa e corpo.
Decapitato, il nemico, cadde esangue.
Si voltò verso il sacerdote e vide l’altro guerriero che, pur annaspando, stava tentando di alzarsi in piedi.
«Non… non è possibile… non dovrebbe potersi muovere…»
Okir, però, si rese contoche i muscoli tranciati di netto dalla sua ascia non consentivano al nemico di coordinarsi.
Un colpo tra le scapole.
Un altro.
Un altro ancora, finché non vide la carcassa della cassa toracica aperta ed il cuore e polmoni lacerati dai suoi colpi.
Anche il secondo nemico era morto.
«Ora….» ordinò ansimando allo sciamano, «Ora mi dirai come diavolo facevano quei guerrieri a non sentire il dolore!»