Numero 26/2018
28 Giugno 2018
Eastside: una storia di sport, amicizia e passione
Da grande amante della birra artigianale quale sono, non mi interessa solo conoscere le birre di un birrificio ma soprattutto la storia che sta dietro a questo. Sono un romantico, lo so e tutto ciò che riguarda l’amicizia e la passione se legate allo sport e soprattutto alla birra artigianale mi affascinano particolarmente. Quando trovo di queste storie, devo necessariamente raccontarle a tutti. Oggi, appunto, ho il piacere di raccontarvi una storia del genere dato che ho avuto l’occasione di conoscere la passione e la storia di Alessio Maurizi, uno dei soci del birrificio Eastside. Lo ringrazio perché l’ho colto in un momento in cui aveva molto da fare ma comunque si è mostrato molto disponibile dedicandomi diversi minuti del suo tempo.
Eastside nasce nel 2013 come beerfirm dalla passione dell’allora homebrewer Luciano Landolfi e appunto da Alessio Maurizi. Da lì, il team si completa con altri due soci, Cristiano Lucarini e Fabio Muzio, per quello che diventerà a metà del 2015, il birrificio Eastside.
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Qual è la vostra mission? Il perché del nome Eastside?
Eastside è un nome che ci lega da quando eravamo bambini io e Luciano, dato che giocavamo a basket in una squadra di Latina che veniva allenata da mio padre. Crescendo, io ho continuato a giocare a basket, invece Luciano oltre ad allenarsi, era anche il capogruppo dei tifosi della prima squadra. La “curva” del palazzetto dove si trovava la tifoseria si trovava nel lato est del palazzetto e così il gruppo ultras prese il nome diEast Side. Dopo il fallimento della squadra di basket ognuno prese le sue strade e per molto tempo non ci sentimmo più. Nel 2011 ci ritrovammo e scoprii la passione che Luciano aveva sviluppato per l’autoproduzione di birra. Da li pensai che si poteva creare qualcosa di unico e nostro ed iniziammo a fantasticare di un birrificio. Quando arrivammo a parlare del nome, tornando indietro con la memoria, Eastside ci sembrò il nome più scontato. Anche perché Luciano nelle sue produzioni da homebrewer utilizzava già questo nome e quindi ci sembrò il trait d’union tra i due, il naturale punto d’incontro.
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Voi avete 3 linee di produzione, le classiche, le stagionali e le speciali con circa 36 produzioni totali. A quali birre sei più affezionato?
Il primo amore non si scorda mai, quindi la Sunny Side e la Soul Kiss insieme alla Sweet Earth sono le nostre preferite, con queste abbiamo iniziato la nostra esperienza. Ovviamente l’estro di Luciano e la sua chiamiamola “incontinenza birraia”, lo porta a produrre una birra nuova al mese. È difficile gestirle anche per i nostri rivenditori e distributori però in questo periodo caotico di nascita di nuovi birrifici ogni mese, noi abbiamo pensato che affiancare le nostre birre classiche a delle novità costanti è il modo migliore, nel breve termine, per contrastare questa novità continua di birrifici.
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Avete vinto il secondo oro di categoria consecutivo al Barcelona Beer Challenge con la Bear Away. Ci parli un po’ di questa birra.
La BeerAway è una California Common. È uno stile ibrido e non molto conosciuto. Durante il periodo della corsa all’oro verso la fine del XIX secolo, lungo la costa californiana, nella zona tra Los Angeles a San Francisco, alcuni cercatori d’oro tedeschi provarono a replicare le birre che erano abituati a bere nella terra d’origine. Purtroppo le temperature che c’erano in quella zona e la mancanza di qualsiasi forma di refrigerazione che non fosse naturale non permetteva al lievito di lavorare nelle condizioni tipiche delle birre prodotte a bassa fermentazione (tra i 10 e 12 °C). Il mosto veniva fatto fermentare sui tetti degli edifici a temperature di circa 16°C e quindi generava degli esteri ben più marcati di quelli presenti nelle lager. Il nome originario di questo stile “SteamBeer” era probabilmente imputabile al vapore generato dal passaggio del mosto caldo ai tini freddi di fermentazione o dal fischio che si produceva all’apertura dei fusti (storicamente molto carbonati). L’importanza di questo stile birraio però sta tutto nella storia del birrificio Anchor (di San Francisco) che lo riscoprì dopo la fine del proibizionismo e lo portò ad essere la prima birra “artigianale” al mondo sul finire degli anni 60. Da li in poi la Anchor registrò il nome “SteamBeer” e quindi tutte le birre catalogabili in quello stile presero il nome di California Common.
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Cosa raccontano le vostre etichette realizzate da Roberto Terrinoni?
Oggi lavoriamo con Roberto Terrinoni, che è un amico e con cui ho giocato anche a basket. Per cui, ancora una volta, il basket è il filo conduttore che lega il nostro birrificio. Roberto ha trovato un’immagine coordinata che ci ha permesso di variare e di produrre in continuazione nuove birre e di mantenere per tutte una precisa identità grafica. Infatti, se notate, il logo definisce la forma dell’etichetta e gli ingredienti presenti nella birra si ritrovano sparsi sull’etichetta che cambia ma richiama sempre il logo che ha ogni birra. Quindi Roberto, costruisce, in base allo stile, al nome che abbiamo deciso di dare e agli ingredienti che ci sono, questa grafica in stile vintage, in modo tale che la birra si possa raccontare anche guardando le etichette. Ci siamo anche ripromessi, quando avremo un po’ più di tempo, di raccontare la storia dei nomi delle nostre birre. Per esempio, la Sweet Earth è legata alla bonifica del nostro territorio, quello pontino ed ogni volta che la raccontiamo qualche anziano si commuove.
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La vostra ultima birra è la Unconditional Love. In che stile la classifichiamo? A cosa si riferisce il nome? Come viene prodotta?
È una SourAle rifermentata con lieviti selvaggi ed il suo nome è legato ad un’esperienza musicale, ad uno dei mentori di Luciano, a TupacShakur. A questo monumento della musica hip hop abbiamo anche dedicato la nostra Imperial StoutSleazy Way rifacendosi ad un passaggio della canzone Changes. Altre volte abbiamo associato i nomi delle birre a delle canzoni, come nel caso di Sera Nera dedicata a Tiziano Ferro e Bimba Mia legata a Franco Califano. La Sleazy Way e la Unconditional Love sono fatte in modo “sporco” e cioè riproducendo in maniera artefatta il passaggio in botte. In quest’ultima birra sostituiamo il passaggio in botte impiegando invece dei cubetti di rovere francese che sono stati lasciati a bagno per qualche mese in un vino biologico. Per cui, i cubetti assorbono il vino e alla fine vengono scolati e messi all’interno della birra in fermentazione rilasciando le caratteristiche vinose e del legno. Dopo l’immersione dei cubi la birra subisce un dry hopping con luppoli americani e alla fine si infusta con l’ausilio di brettanomiceti che creano la CO2 che gli conferisce l’effervescenza oltre ad uno spettro di sapori inconfondibile.
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Avete fatto diverse collaborazioni con altri birrifici. Tra le ultime c’è l’American Wheat Wine con il Birrificio Italiano.
La Personal Jesus (anche qui chiaro riferimento musicale stavolta per la famosa canzone dei Depeche Mode), è una strong ale a base di frumento, potremmo definirla un Barley Wine di frumento in cui i luppoli americani sono in evidenza. Lavorare con un grist di malti così importante a livello di peso e con un cereale ostico come il frumento (che a differenza dell’orzo non ha la glumella cioè la buccia che aiuta la filtrazione) rende la produzione di questa birra un lavoro molto duro. Lo scorso anno abbiamo fatto la PineAppleChunk, una Neipa con aggiunta di lattosio e purea di Ananas, in collaborazione con il birrificio olandese Kees. In questa birra, una sorta di milkshake luppolato, i protagonisti sono le note fruttate dell’ananas e quelle resinose dei luppoli americani. Entro la fine dell’anno ci saranno altre collaborazioni in uscita, non ci fermiamo mai…
La nostra intervista volge al termine e mentre assaggio alcune delle ottime produzioni di Eastside ringrazio Alessio Maurizi per la sua simpatia e disponibilità.
Per maggiori informazioni, visitate il sito www.eastsidebrewing.it