Numero 28/2018
14 Luglio 2018
BERSERKER: Capitolo 20
«Come mi hai chiamato?»
«Lascia stare i miei schiavi, Vaccaro!»
Okir afferrò la propria ascia, strinse la presa sul legno impregnato dal sangue della battaglia.
Fu un attimo.
Il vaccaro afferrò un’ascia che giaceva incustodita sul ponte, ad un passo da lui.
Il vichingo si scagliò rapido come un fulmine contro al compagno d’armi.
Le due asce cozzarono, scintille rosse e vivide scaturirono dai fili delle lame che strisciarono, sibilando, uno sull’altro.
«Ragazzi, basta!» urlò il capitano della barca.
«Ha iniziato lui!» disse il Vaccaro.
«Chi ha toccato gli schiavi di chi?» rispose Okir.
«Non vi sembra di esagerare?»
«Io voglio vendetta!» dichiarò il Vaccaro.
«Io sto pensando di farvi frustare!» urlò il capitano.
La legge dei vichinghi era chiara: sulla nave comandava il capitano nominato dall’organizzatore della spedizione, in questo caso il Re ed il Conte in sua vece, a meno ché la nave non fosse di proprietà privata; in quel caso, ovviamente, il capitano risultava essere il padrone dell’imbarcazione stessa.
Sull’imbarcazione il capitano aveva potere di vita e di morte sul proprio equipaggio e, in caso di necessità, per esempio in caso di bufere che mettevano a repentaglio la stabilità della nave, poteva comandare di gettare in mare i tesori razziati, schiavi compresi!
Le parole del capitano ebbero effetto.
Farsi frustare su di una nave, sporca e dopo una battaglia nella quale si erano ricavate ferite importanti… Non era certo una buona idea!
«Abbassate le armi…»
I due restarono immobili.
Non sembrava che avessero ancora l’intenzione di ammazzarsi vicendevolmente ma, era palese, nessuno dei due voleva essere il primo ad abbassare l’arma, sottomettendosi.
Il capitano, facendo attenzione alle eventuali reazioni dei due, ma con la mano ferma di chi deteneva lo scettro del potere, pose le proprie mani sulle due armi e pigiò.
In quel modo, fece abbassare le asce a tutti e due nello stesso tempo, evitando disonori a tutti.
Gli avversari continuarono a guardarsi negli occhi, con fare di sfida.
Le lame smisero di raschiare l’una contro l’altra, il ferro rivolto verso il pavimento, il ponte in legno dell’imbarcazione.
Sulla nave vichinga regnava il silenzio.
Un assordante, irreale tensione.
Lo sciabordio delle onde che si infrangevano sullo scafo e la voce acuta ed irritante dei gabbiani che volteggiavano a qualche metro in verticale, a picco sull’imbarcazione, erano gli unici suoni che permeavano l’atmosfera.
«Ora, lentamente, vi allontanerete l’uno dall’altro ed andrete a sedervi ai lati opposti della barca. Chiaro?»
Nessuna risposta, i due si guardavano ancora fissi nelle palle degli occhi.
«Chiaro?» Urlò il capitano.
«Chiaro, chiaro…» rispose a denti stretti Okir.
«Sì. Ma non finisce qui, Okir…»
«Non ne dubitare neppure tu…»
«Voglio che sia cristallino: NON-SULLA-MIA-NAVE!»
I due si voltarono, eseguendo gli ordini del capitano.
La calma, seppur precaria, tornò sulla nave.
Il viaggio di ritorno era quasi concluso.