Numero 02/2019
8 Gennaio 2019
Storia di un’apocalisse birraria
Una notizia inquietante è circolata nella Rete nelle ultime settimane, un notizia che ha scosso gli animi degli amanti della birra ad ogni latitudine: presto la produzione della nostra amata bevanda potrebbe trovare una tragica e prematura fine! Questa profezia Maya in salsa brassicola, come ogni notizia più o meno catastrofista che si rispetti, ha avuto l’effetto di sviluppare dibattiti e riflessioni semiserie tra gli appassionati del settore, che si sono chiesti tra un ghigno sarcastico ed una malcelata preoccupazione quanto di vero ci fosse in quella storia.
In realtà tutto parte da un’analisi sui cambiamenti climatici e sugli effetti negativi che questi stanno avendo e potranno avere in misura sempre più forte col passare degli anni su alcune coltivazioni, nel caso di specie, quelle di orzo e frumento. A dire il vero, anticipiamo (o meglio, spoileriamo) sin da ora che, anche volendo dar credito alle previsioni più pessimistiche, una produzione d’orzo a livello mondiale sufficiente a garantire una pressoché “normale” produzione di birra, dovrebbe essere assicurata almeno fino alla metà del secolo corrente e, presumibilmente, anche qualche decennio oltre.
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Come ogni profezia apocalittica che si rispetti, però, anche quella sulla possibile fine della birra ha stuzzicato la curiosità di approfondire l’argomento per capire quanto di vero ci possa essere dietro tale tetro scenario. E, seppure noi maggiorenni nati nel ‘900 (sigh!), dovremmo avere garantite pinte a sufficienza per il resto dei nostri giorni, cerchiamo di capire se anche i nostri posteri avranno la nostra stessa fortuna, valutando uno per uno gli ingredienti della birra (almeno quelli “fondamentali”) e il loro attuale status di “vulnerabilità”.
Acqua
Se l’acqua potabile viene definita “oro blu” ormai da anni a questa parte è perché ci sono solidi dati statistici e scientifici che esplicitano chiaramente quanto le risorse idriche del nostro pianeta siano sotto intollerabile pressione. I cambiamenti climatici, che tra le altre cose sempre più sono alla base di fenomeni meteorologici estremi quali prolungati periodi di siccità e abnormi precipitazioni concentrate in tempi brevi, certamente rendono la disponibilità di acqua potabile sempre più esigua su praticamente tutta la superficie del globo. Ahinoi, la produzione di birra è un’attività che necessita di quantità di acqua decisamente elevate. Se è vero che la stessa bevanda è composta da più del 90% di acqua (sì, per la birra è veramente così…), in realtà il grosso del consumo nei birrifici avviene durante la fasi “collaterali” a quella più propriamente produttiva, come i lavaggi di impianti ed attrezzature. Fortunatamente si stanno sviluppando sistemi e buone pratiche produttive volte al risparmio ed al riciclo e riutilizzo di questo preziosissimo elemento, che si spera col tempo porteranno ad una ulteriore riduzione dei consumi. Attualmente crisi idriche iniziano a fare capolino anche in Italia ed in Europa, e c’è da credere che nei prossimi anni potrebbero essere sempre più frequenti, colpendo innanzitutto il settore agricolo (legato peraltro a doppio filo con quello brassicolo) e in secondo luogo tutti gli altri settori produttivi, nonché gli stessi approvvigionamenti di acqua potabile per uso comune. Sperando in miglioramenti di gestione delle acque potabili a tutti i livelli e in una sufficiente disponibilità anche per i prossimi anni, una cosa è certa: una cronica carenza di acqua soppianterà presumibilmente pure la birra dal primo posto nella classifica delle priorità nelle nostre vite. Riflettiamoci su. Tutti noi.
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Orzo ed altri cereali
L’allarme è partito qualche settimana fa proprio da qui, dall’orzo e da previsioni poco incoraggianti sulla sua produzione già nell’immediato futuro. Ed ancora una volta il problema di fondo è da ricercare al punto precedente di questa disamina, vale a dire nell’acqua e nella sua sempre più preoccupante scarsità, anche per gli usi agricoli. I periodi di siccità sempre più lunghi e intensi, anche e soprattutto in aree storicamente al riparo da queste problematiche come i paesi dell’Europa centrale, Germania, Repubblica Ceca e Polonia su tutti, hanno di fatto già allungato una preoccupante ombra sulla disponibilità del cereale più importante ai fini brassicoli, tanto che lo stesso Financial Times si è scomodato pochi mesi fa per far presente come i cali dei raccolti di orzo in Europa potessero già influenzare negativamente i consumi in Asia ed Africa dove anche piccole variazioni in rialzo dei prezzi della birra possono avere un grosso impatto sul bacino di acquirenti.
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E dire che l’orzo è insieme alla segale ed al farro (anche loro ben noti agli appassionati di birra) considerato il cereale più resistente, quello che si adatta meglio anche alle condizioni climatiche meno favorevoli. Non se la passa molto meglio il grano, la cui coltivazione in Europa sta producendo rese inferiori rispetto all’immediato passato, per cui molti agricoltori iniziano a considerare troppo poco remunerativa la sua produzione in diverse aree. E secondo alcune stime di uno studio pubblicato sulla rivista Environmental Research Letters, verso la fine di questo secolo la produzione di grano ed orzo in Europa potrebbe ridursi addirittura di un terzo rispetto ad oggi. La conseguenza diretta di tale scenario non sarebbe probabilmente la fine della birra ma, più semplicemente, un aumento molto consistente del suo prezzo, proiettando così la bevanda alcolica popolare per eccellenza nell’empireo dei prodotti alimentari di lusso e non accessibili proprio a tutti. Fosche nubi all’orizzonte dunque per traboccanti pinte e boccali in giro per il mondo? A dire il vero spiragli di luce non mancano. Se infatti a fronte dei cambiamenti climatici in atto le coltivazioni cerealicole subiranno cali di produzione, questi potrebbero pur sempre essere attenuati dallo sviluppo tecnologico e scientifico in campo agronomico e biologico, con metodi di coltivazione più efficienti e nuove varietà di cereali più adatte ai nuovi climi. Non tutto sembra perduto, dunque. Ma poter continuare a brindare con la nostra bevanda preferita su un pianeta sempre più ferito dal global warming e sue dirette conseguenze, sarebbe in ogni caso una consolazione piuttosto magra anche per il più incallito birromane.
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Luppolo
Grosso modo anche per il luppolo vale il discorso fatto per i cereali, e se vogliamo in misura pure più amplificata, vista la delicatezza di questa pianta: i fenomeni atmosferici estremi non gli fanno affatto bene. Ne sanno qualcosa anche i semplici homebrewers, che sempre con maggiore difficoltà riescono ad acquistare dagli stores on-line o fisici le varietà più ricercate, dovendosi spesso accontentare, e a prezzi tendenzialmente sempre più alti, di ciò che residua dall’arrembaggio ai raccolti portato dai micro e macrobirrifici. I quali birrifici proprio per non ritrovarsi a secco delle varietà di luppolo più caratterizzanti le proprie IPA, APA e Imperial varie ed eventuali, prenotano sempre più spesso interi raccolti direttamente ai produttori. Dunque neppure il luppolo se la passa bene ed anzi, tra gli ingredienti base della birra è senza dubbio allo stato attuale quello da considerarsi più “prezioso” ed ambito, in special modo nelle sue varietà più particolari ed esotiche. A rendere il quadro meno preoccupante, però, ci stanno pensando numerosi agricoltori, che negli ultimi anni, complice anche il boom di produzioni artigianali, hanno deciso di investire in luppoleti anche in zone in cui non se ne erano mai visti prima, non mancando importanti esempi in tal senso anche in Italia. Al di là dei volumi di produzione, la nascita di luppoleti in aree “nuove” e spesso molto diverse tra loro, sta spingendo i coltivatori a creare anche nuove varietà, da considerarsi quasi “autoctone” in certi casi, il che certamente comporterà già nell’immediato futuro benefici per questa coltivazione anche e soprattutto in termini di adattamento e resistenza.
E se neppure questo dovesse bastare, birrai e homebrewers vari potranno sempre trascorrere bucoliche giornate tra boschi e campagne a raccattare erbe e radici varie e ridare lustro al caro vecchio gruit. In salsa moderna, ma non troppo.
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Lieviti
Chiudiamo questa drammatica carrellata, finalmente, con delle buone notizie! Chi proprio non conosce crisi, infatti, sono i mai troppo incensati lieviti. Questi funghi, da sempre fedeli compagni di birrificazione, si moltiplicano e si coltivano con disarmante facilità, sono incredibilmente resistenti (anche troppo in alcuni casi, specie nelle loro varianti più “selvagge” e non sempre gradite…) e possono svolgere egregiamente il loro lavoro sfruttando un range molto ampio di temperature. Esistono decine e decine di ceppi isolati, ognuno con le proprie caratteristiche e “personalità” e, potete pur starne certi, saranno ancora qui a fermentare il fermentabile ben oltre l’estinzione dell’essere umano su questo pianeta. Almeno loro non ci abbandoneranno mai.
Microrganismi a chi?