Numero 37/2019
9 Settembre 2019
Una storia a lieto fine: birra dello Stretto
Tratto da La birra nel mondo, Volume I, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Birra dello Stretto
Messina/Italia
Nel 1923, a opera della famiglia Lo Presti-Faranda, nacque la Birra Trinacria che, due anni dopo, divenne Birra Messina (più precisamente, “Messina, birra di Sicilia”). Ben presto la bontà del suo prodotto conquistò il mercato, non solo siciliano, anche calabrese.
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Ma negli anni Settanta l’inarrestabile diffusione dei marchi di concorrenza, italiani e stranieri, creò anche per l’azienda siciliana grosse difficoltà. Nel 1988 la Dreher, uno degli storici marchi incorporati dalla Heineken, poté così acquisire con facilità la Birra Messina.
Poco alla volta la produzione venne trasferita a Massafra, impianto del marchio Dreher. Nel 1999 lo stabilimento di Messina (che si estende su ben 19 mila metri quadrati) era ridotto a semplice impianto d’imbottigliamento per il mercato siciliano e, nel 2007, venne definitivamente chiuso.
Nel 2008 la fabbrica di Messina fu acquistata dalla società Triscele, appartenente alla famiglia Faranda. I nuovi prodotti, che miravano a riprendere il mercato precedente, espressione della cultura siciliana, uscirono con un’etichetta rifacentesi alla storica fondazione: “Stabilimento di Messina dal 1923”.
Birra del Sole, spumeggiante lager dorata, con tenue aroma di luppolo e buon equilibrio, in un brillante corpo leggero: fresca e particolarmente dissetante (g.a. 4,7%).
Patruni e Sutta, altra lager di colore oro, leggermente meno alcolica e più morbida (g.a. 4,5%); col nome di un gioco di carte della tradizione popolare siciliana.
Poi comparvero altri due prodotti, più specifici:
Birra del Sole Cruda, lager cruda di colore dorato (g.a. 4,7%); dal gusto morbido e pulito, con blande marcature amaricanti;
Birra Mata, lager analcolica chiara con la stessa corposità della birra normale.
Nel 2009 la Confconsumatori di Messina presentò un ricorso all’Antitrust contro la Heineken Italia per messaggi ingannevoli: l’uso del simbolo Triscele, le diciture “antica ricetta” e “dal 1923” in etichetta, non avevano alcunché di “siciliano”. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato non poté che obbligare la Heineken a eliminare entro sei mesi ogni elemento fuorviante.
Da parte sua, il marchio Triscele non decollò mai. C’è da precisare che la birra veniva solo imbottigliata a Messina, e le vetrerie, secondo le dichiarazioni dell’amministratore, dottor Faranda, creando resistenze alla vendita, riuscivano a ottenere prezzi esosi. Lo stesso inconveniente avveniva con la produzione.
La Union, venendo meno alle lettere di intenti, pretendeva prezzi molto più alti per realizzare la birra secondo una precisa ricetta. Senza considerare i costi di trasporto dalla Slovenia in Sicilia.
Alla fine, nel 2011, la Triscele chiuse i battenti, lasciando senza lavoro 42 dipendenti. Ma 15 di essi, animati dallo spirito indomito dei vecchi trappisti belgi, investirono TFR, indennità di mobilità e risparmi nella cooperativa Birrificio Messina. L’idea fu quindi sostenuta dai messinesi, che donarono 60 mila euro; dalla Regione Sicilia, che fornì due capannoni abbandonati nell’area industriale di Larderia; e infine dal Movimento 5 Stelle che, con una parte degli stipendi dei suoi deputati, istituì un fondo microcredito.
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Terminati i lavori presso i capannoni con la partecipazione di tutti i protagonisti della vicenda, ciascuno con le proprie competenze, sulle ceneri della Triscele nacque, nel 2015, Birra dello Stretto. La produzione, con uscita prevista per l’autunno dello stesso anno, contemplava quattro lager iniziali: la Birra dello Stretto, quella di base, considerata la nuova birra messinese; la Doc 15, pesantemente luppolizzata; la Cruda Doc 15, con i profumi del malto e il gusto di frutta; la quarta etichetta invece sarebbe stata scelta dal concorso di idee “La birra della tua terra”, lanciato dai giovani dell’associazione Terra Nostra.
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Le prime tre etichette furono create dal grafico Salvo Fazzica, nipote di uno dei 15. Il numero 15 è quello dei dipendenti che hanno creato la cooperativa; Doc invece si riferisce alle competenze degli addetti.