Numero 34/2019
23 Agosto 2019
Raccolta, essicazione e trasformazione del luppolo: processi chiave per salvaguardare la qualità dei coni
Il raccolto è il periodo di maggiore attività nel luppoleto; prima dell’invenzione delle macchine per la raccolta, il lavoro era molto duro e venivano impiegati moltissimi manovali. I coni maturi dovevano essere raccolti uno ad uno, puliti ed essiccati nel minor tempo possibile. Ora il processo è in gran parte automatizzato, salvo in Italia per la notevole frammentazione della produzione, anche perché il costo del lavoro sarebbe proibitivo; l’obiettivo rimane lo stesso: raccogliere e trasformare il luppolo il più velocemente possibile per garantire la migliore qualità e un’ottima conservabilità. Il periodo di raccolta dipende dalla varietà e dalla latitudine: inizia generalmente a fine Agosto per estendersi fino all’inizio di Ottobre. In caso di grandi coltivazioni diventa fondamentale, durante la fase di progettazione, tenere conto del periodo di maturazione di ogni varietà in modo da evitare l’accumularsi di troppo lavoro in pochi giorni o pause prolungate tra la maturazione di una varietà e l’altra.
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Nel mondo ci sono generalmente due approcci per la raccolta:
– il primo consiste nel raccogliere i luppoli direttamente in campo utilizzando particolari mezzi agricoli che tagliano i tralci e separano i coni. I rami esauriti vengono buttati sul terreno come pacciamatura. Questo approccio è comunemente utilizzato negli USA. Il grande svantaggio di questo metodo è rappresentato dal fatto che bisogna investire ingenti capitali in macchinari; per questo motivo solo per luppoleti di grandi dimensioni l’investimento risulta vantaggioso.
– Il secondo approccio consiste nel separare i coni in azienda mediante una macchina fissa; ciò implica tagliare i rami e trasportarli in azienda. I fusti sono tagliati alla cima e alla base, manualmente o utilizzando macchine apposite. Una volta arrivati al capannone i tralci vengono attaccati singolarmente a un nastro che li porta attraverso la macchina di separazione che rimuove i coni. I rami ripuliti vengono in genere triturati e riportati in campo.
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Per conservare i coni, il luppolo fresco viene portato da un’umidità del 80% fino a una percentuale intorno al 8-12%. Sotto questo livello i coni diventano fragili e diventano più sensibili all’ossidazione. Il luppolo è deidratato in apposite stanze essiccazione dove grossi ventilatori forzano l’entrata di aria calda e pulita sotto i letti di essiccamento. L’aria passa attraverso i letti andando verso l’alto ed uscendo dal tetto del “forno”. Questi spazi sono fatti a livelli e, mano a mano che i coni dei livelli inferiori arrivano alla giusta umidità, vengono tolti. Successivamente vengono aperti i livelli superiori partendo dal più vicino a quello appena svuotato: in questo modo tutti i coni si abbassano di un livello e sulla sommità può essere messo nuovo luppolo. Naturalmente per permettere ciò le barriere tra un livello e l’altro devono essere traforate in modo da consentire il passaggio dell’aria e hanno un meccanismo di apertura e chiusura a botola o a veneziana.
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Per fare in modo che l’umidità residua sia uniforme i coni vengono pressati in balle della densità compresa tra i 100-150kg/m³ e lasciati riposare per alcuni giorni in magazzini refrigerati e con bassa concentrazione di ossigeno. In questo momento, per tutte le aziende che intendono vendere il loro prodotto, è obbligatoria la certificazione del luppolo. La certificazione serve a garantire la qualità e la tracciabilità del luppolo ed è regolamentata a livello europeo attraverso i regolamenti REG. CE N°1952/2005 e REG. CE N°1850/2006 che stabiliscono gli enti di controllo nei singoli stati membri e indicano le informazioni che devono essere riportate sul luppolo. In Italia il regolamento è stato recepito nel 2015 attraverso il decreto MIPAAF n°4281 del 20/07/2015 e indica la Direzione generale delle politiche internazionali e dell’Unione europea (PIUE) come ente responsabile della certificazione. Nel nostro paese l’unico ente per ora accreditato per la certificazione del luppolo è il Laboratorio di Scienze degli Alimenti dell’Università di Parma.
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Il luppolo una volta essiccato può essere confezionato e venduto direttamente in coni oppure pellettizzato; generalmente i birrifici preferiscono acquistarlo in questa forma perché è più facilmente utilizzabile e occupa molto meno spazio in magazzino. Per assecondare le richieste del mercato molti coltivatori investono in una macchina pellettatrice che deve essere specifica per il prodotto in quanto non deve rovinare il luppolo raggiungendo temperature eccessive. I due formati di pellet più utilizzati sono il T90 e il T45; i nomi provengono dal peso finale ottenuto trasformando 100 kg di coni. Nel caso dei T90 partendo da 100 kg di coni si ottengono 90 kg di pellet, nel secondo caso i chilogrammi ottenuti sono solo perché parte della sostanza vegetale viene tolta in modo che la concentrazione di luppolina, quindi di α e β acidi ed oli essenziali, sia maggiore. I pellet sono fatti sminuzzando i coni essiccati e passando attraverso stampi dalla forma tipica.
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Questa è una trasformazione delicata in quanto il luppolo può andare incontro a surriscaldamento e/o ossidazione che ne compromette la qualità. L’utilizzo di macchinari garantiti per il luppolo è pertanto importantissimo. Sia che si trasformino o no, i coni per essere conservati devono essere messi sottovuoto e mantenuti a temperatura inferiore ai 3°C.