Numero 14/2020
2 Aprile 2020
Artigianale vs Industriale: la sfida si gioca alla spina!
La produzione di una buona birra artigianale non è di certo arte semplice e immediata. Occorrono anni di esperienza e studio per essere considerati dei buoni birrai.
Tuttavia essere dei rispettabili brassatori non basta per avere le carte in regola nella gestione in toto di un birrificio. Oltre alla parte amministrativa e burocratica, ahi noi, la birra artigianale che produciamo non può rimanere dentro fusti e bottiglie!
Le nostre Session Ipa e le nostre Imperial Stout devono essere vendute, soprattutto ai locali che vivono di somministrazione.
Nel nostro Paese, meno ricettivo e preparato culturalmente di altri su tutto ciò che riguarda la bevanda di Cerere, la vendita di birra artigianale ai locali non è né facile né ovvia, soprattutto se avviata e perpetrata direttamente dal birrificio.
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Le problematiche di comunicazione e promozione del microbirrificio ai locali sono tante e molto varie. Vediamone alcune.
In primis, tra gli esercenti di pub, birrerie e pizzerie, purtroppo molto spesso non è chiara nemmeno la differenza tra una “birra artigianale” e una “birra”, nonostante dal 2016 per legge si possa discriminare in modo sufficientemente esaustivo tra l’una e l’altra. Inoltre, nella maggior parte dei casi la confusione che regna imperterrita non permette ai produttori di birra artigianale di proporsi come “prodotto di fascia superiore”, poiché esistono numerosi esempi di “birre di qualità” industriali che costano meno e abbracciano la stessa categoria di potenziali acquirenti dei microbirrifici.
Fermo restando che il microbirrificio debba produrre una buona birra, costante nel tempo, ed essere disponibile nel risolvere tempestivamente qualsiasi problema intercorso con qualche lotto, il venditore deve essere bravo a porre l’attenzione dell’acquirente verso il concetto di “artigianalità” del prodotto.
Non volendo di certo stigmatizzare la bontà di qualche birra industriale, che rimane un fattore soggettivo, occorre dire che spesso per i microbirrifici è complesso giustificare un prezzo d’uscita più alto. Per il microbirrificio non è quasi mai semplice fare capire al potenziale acquirente le caratteristiche positive della birra artigianale, per esempio il legame diretto con la filosofia del birraio, l’attenzione in prima persona per le materie prime e l’importanza della ricetta, spesso frutto di un’idea che non bada all’abbattimento dei costi ma alla qualità e alla fantasia.
Assodata la differenza tra “artigianale” e “industriale” il venditore del microbirrificio deve preoccuparsi di imporre la propria birra ad un bacino di esercenti spesso soggetti ad un’enorme offerta di prodotti dello stesso tipo. Infatti, le attività italiane produttrici di birra (tra birrifici, brewpub e beerfirm) ad oggi superano abbondantemente il migliaio di unità. Va da sé che, nuotando in questo mare di birre artigianali, non sia per nulla facile differenziarsi. Un buon venditore dovrebbe cercare di mettere in risalto i lati unici e particolari della birra artigianale che propone e rassicurare l’esercente sul mantenimento della catena del freddo e sulla freschezza delle cotte proposte.
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Un’altra difficoltà che si riscontra nel proporre la birra di un microbirrificio risiede nel fatto che talvolta il locale di somministrazione, pur attuando una rotazione di prodotti vorticosa, cerca di “imporre” l’esclusività della fornitura, almeno nella zona, ponendo de facto il povero venditore in una situazione difficile.
Tirando le somme, se l’esercente ha l’interesse nel proporre un prodotto artigianale al cliente finale, se la birra è buona e particolare, se il prezzo è in linea con il resto dell’offerta e se le rassicurazioni sulla freschezza e sul mantenimento sono andate a buon fine, allora forse il matrimonio tra microbirrificio e locale s’ha da fare.
Ah, ovviamente sperando che il gestore del locale non si affidi a prescindere ad altre birre, prodotte da un “amico birraio” che lo avvisa quando in una cotta “butta un po’ più di bergamotto per lui”…