Numero 41/2023
12 Ottobre 2023
Può una birra diventare più green? Spunti di miglioramento per microbirrifici… e non solo!
La produzione brassicola come qualsiasi processo di trasformazione alimentare finalizzato all’introito economico consuma risorse (naturali ed economiche) e genera scarti.
La “sostenibilità economica” di un processo produttivo si misura evidentemente su quanto i flussi di cassa in entrata superano quelli in uscita.
Ma, accanto ai parametri quantitativi, si può pensare anche ad alcuni parametri qualitativi perché la produzione brassicola possa essere anche “ambientalmente sostenibile”: ad esempio il minore consumo di risorse naturali, il recupero degli scarti di produzione e la riduzione
dell’inquinamento ambientale (aria, suolo, acqua).
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Come detto, non solo di inquinamento si deve parlare ma anche di spreco di materie prime e di energia. Senza delle dovute spiegazioni, abbinare il concetto di ecosostenibilità al mondo birra è veramente difficile a causa dei materiali e dei consumi utilizzati per la produzione e sanificazione.
Questo però non ci impedisce di ragionare su quali fasi del processo produttivo possano essere ottimizzate in un’ottica ecologica e quali innovazioni si possono adottare in tal senso.
Non per un motivo meramente morale, ma perché spesso essere sostenibili significa razionalizzare le proprie risorse e di conseguenza ottenere vantaggi economici.
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Il primo grosso fattore di spreco e successivamente inquinante è il copioso utilizzo di acqua all’interno del ciclo di produzione.
Basti pensare che per produrre un litro di birra occorrono dai sei agli otto litri di acqua, ai quali poi vanno sommati i litri direttamente proporzionali alla capacità dell’impianto per il lavaggio e il risciacquo dell’impianto.
Per produrre il mosto oltre all’acqua vengono utilizzati malto e luppolo. Ogni litro di birra genera circa 2-3 etti di trebbie, che essendo ricche di proteine e altre sostanze nutritive possono avere molteplici utilizzi.
Ad oggi, questo scarto, diventa, nella migliore delle ipotesi cibo per bestiame. Il conferimento delle trebbie agli allevamenti zootecnici presenta tuttavia aspetti negativi importanti. Le trebbie sono caratterizzate da un contenuto di acqua compreso tra il 70 e l’80% che,
insieme all’elevato contenuto di sostanza organica, le rende particolarmente instabili poiché facilmente putrescibili. Questo è un problema molto serio per la filiera perché molte volte i birrifici si vedono costretti a regalare questi scarti senza trarne alcun profitto. In caso contrario finiscono come materiale di scarto da smaltire.
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Altro passo sicuramente importante sul fronte dei trasporti è la scelta delle materie prime utilizzate. Tutt’oggi birrifici italiani, sia grandi che piccoli, sono costretti ad importare dall’estero oltre il 90% delle materie prime, con il luppolo che sfiora il 100%, importato prevalentemente da paesi come gli Stati Uniti, la Germania, fino addirittura alla Nuova Zelanda.
Sta di fatto che queste continue importazioni aumentino l’inquinamento ambientale e allontanano sempre di più l’idea di una birra 100% “made in Italy”.
Tuttavia, a partire dal D.M. n. 212 del 5 agosto 2010 con il quale la birra è diventata prodotto agricolo da semplice bevanda, si stanno iniziando ad intravedere realtà in cui il chilometro zero (Km0) inizia ad avere una certa importanza.
Il miglioramento qualitativo delle materie prime, la presenza di micro-malterie sul territorio e l’adozione di soluzioni innovative possono contribuire alla realizzazione di prodotti Made in Italy e ad aumentare la competitività economica dei microbirrifici artigianali e la loro sostenibilità ambientale.
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La scelta non corretta del processo produttivo influenza grandemente l’impatto ambientale.
Durante l’ammostamento l’utilizzo della tecnica d’infusione presenta il vantaggio di essere facilmente automatizzata e di aver un consumo energetico inferiore del 20-30% rispetto alla tecnica di decozione. Essendo la bollitura la fase del processo che risulta per la maggior parte dei casi la più energivora, è la più predisposta ad interventi di recupero energetico come ad esempio l’utilizzo di una colonna per il recupero di vapore.
Il Whirpool riduce sicuramente i tempi e diminuisce la quantità persa di mosto, gli svantaggi che si possono riscontrare sono l’elevato consumo di energia elettrica, il rumore e gli elevati costi di manutenzione. In tale senso però l’utilizzo di sacche (bag hops) per effettuare la luppolatura sono efficaci ma non vengono consigliate per due motivi, il rischio di contaminazione e, lo scarso risultato finale.
L’approfondimento sulle tecnologie di recupero energetico nel settore dell’ammostamento e di lavorazione del prodotto finito si presterebbero per processi brassicoli di grande scala e non per microbirrifici per i quali risulterebbero principi di contenimento degli apporti energetici quasi nulli.
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Altro grosso consumo nella produzione finale di birra è l’anidride carbonica (CO2). Per produrre un fusto di birra (30 litri) vengono emessi 45 kg di anidride carbonica. Quantità equivalente a guidare per 220 km un’auto di medie dimensioni, mentre una pinta (0,47 litri) di birra emette 9 kg di anidride carbonica. L’anidride carbonica di fermentazione viene solitamente dispersa nell’atmosfera e contemporaneamente, vengono acquistati forti quantitativi di anidride carbonica per mezzo di bombole. Anche queste grosse quantità di gas vengono disperse nell’atmosfera. Il riutilizzo del gas prodotto dalla fermentazione diminuisce il quantitativo di gas disperso nell’atmosfera con indubbio vantaggio ecologico. Uno dei passaggi fondamentali per il recupero di anidride carbonica (CO2) pura è la fermentazione del lievito. Durante questo processo, il lievito disgregando gli zuccheri presenti nel mosto produce CO2.
Alcuni birrifici non si pongono il problema di recupero di anidride carbonica durante la fermentazione in quanto i macchinari per il recupero possono essere costosi, ma sono sufficienti strategie anche di riutilizzo interno dei gas (come abbinare un mosto in piena fermentazione ad un altro da rigasare) per ridurre l’impiego dei volumi di anidride carbonica complessivi.
Insomma, anche se la strada per rendere a impatto 0 un birrificio è molto ardua, le possibilità per limitare gli sprechi e l’impatto ambientale, anche con semplici accorgimenti e il buon senso, sono a portata di mano dei piccoli e grandi birrificatori!