3 Agosto 2015
DOKI E LA BEVANDA DEGLI DEI: diciottesimo capitolo
I primi schizzi di giallo e di rosso macchiavano il cielo d’Egitto.
Ra, il Dio Sole stava terminando la propria giornaliera battaglia contro le forze delle tenebre.
Se il Faraone avesse officiato perfettamente i riti del mattino, anche quel giorno l’alba sarebbe giunta, e le ombre sarebbero state sconfitte.
Ma quella mattina, il Faraone e il Dio, non sarebbero stati gli unici a combattere.
Quella mattina anche altri due individui, Doki e Sehnar, avrebbero combattuto le forze del Male a costo della propria vita!
E le forze del male avevano i volti peggiori che uomo potesse immaginare: i Visir dell’Alto e del Basso Egitto!
Proprio così, i nemici del Regno erano proprio quelli che, per nomina, avrebbero dovuto servire più di tutti!
I consiglieri prediletti del Faraone, i suoi vice in caso di emergenza, le persone più importanti ed influenti del Regno dopo la Famiglia Reale stessa!
Erano dei traditori, vili e meschini… della peggior specie!
Avevano rapito la Principessa ed erede al Trono inscenandone l’omicidio ed avevano incolpato di questo immondo crimine un giovane, l’amante ed amore della bella Principessa!
Quella mattina sarebbe finito tutto…
Nel bene o nel male…
Con la vendetta o con la giustizia…
Tutto sarebbe terminato.
O la vita o la morte.
Non avrebbe avuto altre possibilità; o la vittoria piena o la sconfitta totale.
Doki e Sehnar erano sdraiati a pancia in giù nel prato non recintato che sorgeva di fronte alla casupola indicata da Am-nefer come luogo dove era tenuta prigioniera Meryt-Ra.
«Doki, sei sicuro che sia questo il posto?» chiese sottovoce Sehnar.
«Am-nefer me lo ha confidato come mio ultimo desiderio, te l’ho detto… e non penso che ipotizzasse una mia evasione…»
«Mi sembra tutto troppo tranquillo».
«Un uomo solo, che conosce bene il suo lavoro e che tiene in ostaggio una ragazza, non credo che faccia il rumore di una parata» obbiettò Doki.
«Sono d’accordo, ma non si vede nessun movimento, neppure la luce fioca di una candela… e se l’avessero portata in un altro luogo?»
Un brivido freddo percorse la schiena di Doki.
In silenzio, nella propria mente, il giovane incominciò a pregare gli Dèi, affinché quell’eventualità fosse scongiurata.
Dopo pochi attimi un sinistro scricchiolio fece rizzare i peli del ragazzo: la porta della povera casupola dove, presumibilmente, si trovava Meryt-Ra, si schiuse leggermente.
Uno spiraglio e poi si bloccò.
Passarono ancora altri secondi e poi la porta riprese a schiudersi con un moto meno lento ed inquietante.
Dalla povera abitazione uscì un uomo basso e tarchiato, con indosso una tunica di lino bianca ed una corazza pettorale in cuoio.
«Che significa?» disse Doki.
«Che cosa vuoi dire? Non è quel cane al servizio di Am-Nefer?»
«No. Non è lui».
«Sei sicuro? Non ti stai facendo ingannare dal buio?»
«Ti dico che non è lui! Non scorderei quella faccia per nulla al mondo! Chi è quel tizio?Che cosa significa tutto ciò?»
Gli occhi del vecchio Sehnar fissi sul losco figuro.
«Significa che abbiamo un problema».
Doki, per un secondo, restò basito:
«Quale problema?»
«Probabilmente quei due traditori, rendendosi conto dell’importanza della loro… “ospite”, hanno deciso di rafforzare il servizio di vigilanza».
«Vale a dire…»
«Esatto! Sono più di uno, sicuramente. Ma non sappiamo quanti».
«Come facciamo, adesso?»
«Tieni» il vecchio porse al ragazzo un pugnale di rame «sai usarlo?»
«Devo ricordarti che sono un Generale di Sua Maestà?»
«Ragazzo, del tuo addestramento non mi importa nulla; vedrò di essere più specifico: hai mai ucciso qualcuno con un affare come questo?»
«No…» ammise Doki chinando la testa e guardando, umiliato, l’erba sulla quale era sdraiato.
«Beh, giovane Generale… è il momento che tu inizi…»
«Qualche suggerimento meno sarcastico?»
«Sì: nessuna pietà perché loro non ne avranno e… cerca di restare vivo».
«Grandioso…»
«Ora aspetta qui».
«Dove vai?»
«A facilitarci il compito».
Detto ciò l’anziana, seppur agile, spia scattò silenziosa nella notte per sgattaiolare dietro alle spalle del guerriero uscito dalla casupola.
Il guerriero si era allontanato un po’ dalla costruzione in terra e fango per appartarsi in mezzo ai lunghi fili di erba del prato di proprietà.
Si era accovacciato e, dai suoni che emetteva da più di un orifizio, era intento a svolgere le proprie funzioni corporali.
Le povere casupole non erano come i palazzi dei Nomarca e, sicuramente, non erano dotate di servizi igienici interni.
La spia era scivolata alle spalle dell’uomo che, ignaro, aveva la faccia contorta da un’espressione estremamente corrucciata.
Non si accorse di nulla.
Una lama lacerò la gola del soldato.
Non un urlo, non un suono.
Solo il buio e l’oblio.
Doki raggiunse Sehnar, silenzioso come un gatto.
«Per gli Dèi!» imprecò la spia « avrei dovuto attendere che finisse… ora ho i sandali pieni di…»
«Non perdiamo tempo!» lo esortò il ragazzo.
«D’accordo»
Si acquattarono contro al pertugio che serviva come finestra.
L’abitazione era poverissima: pavimento in terra battuta e l’intera abitazione, non più grossa di una ventina di metri quadrati, era composta da un unico, putrido, ambiente.
In un angolo un giaciglio di paglia, in un altro erano appese poche e scalcagnate stoviglie di rame con all’interno dei cucchiai di legno ed un coltello che nient’altro era se non un pezzo di selce lavorata.
Due sgabelli di pessima fattura completavano quello scarno e spartano arredamento.
Su uno di essi era seduta una donna.
Bellissima, anche se imbavagliata e legata: Meryt-Ra.
Doki ebbe voglia di saltare dentro all’apertura dalla quale stavano osservando la scena, ma la mano di Sehnar lo fermò:
«Non fare pazzie!» sussurrò ancor più piano, quasi in labiale «se ci scoprono ammazzano lei e noi! »
«E che cosa facciamo?»
«Attendiamo».
«Che cosa? Lei è lì!»
«Lei è viva e sta bene. Quindi può attendere qualche minuto. Ora farai esattamente quello che ti dirò; sono in quattro lì dentro e tutti armati. Se non farai ciò che ti ordinerò, ci sgozzeranno. Sono stato abbastanza chiaro?»
«Sì».
«Bene! Ora…»
Sehnar avvicinò le labbra all’orecchio del focoso ragazzo e spiegò il proprio piano.
Attesero nelle posizioni concordate, ovvero Doki appoggiato al muro dietro la porta d’ingresso e Sehnar sotto alla finestra, per alcuni minuti.
Nulla si mosse.
Il tempo sembrava essersi arrestato, complice, forse anch’esso, di quei bruti!
Ma gli Dèi erano dalla parte di Doki e, finalmente, il complice dei Visir, si decise a commettere il passo falso ipotizzato dalla spia:
«Arak» disse rivolgendosi ad un guerriero dalla carnagione più nera della notte «Musul ci sta mettendo troppo… vai a controllare che sia tutto a posto».
Senza proferir verbo, il colosso di colore si avvicinò alla porta e la schiuse lentamente.
Non appena fu fuori dall’uscio, Doki spinse con tutta la forza che aveva il leggero pannello di assi di legno che andò a cozzare rumorosamente contro il fango secco del muro.
Il colosso si voltò, pugnale in mano ma la lama di Doki era già penetrata nel fianco del gigante che, con quel suo movimento improvviso si era aperto da solo uno squarcio lungo tutto il ventre.
Il rosso sangue sgorgò dalla ferita e dalla bocca contemporaneamente.
Fu un gesto rapidissimo: negli occhi dell’uomo già in ginocchio, il volto di Doki.
Un attimo, solo un attimo di smarrimento: il ragazzo stava uccidendo qualcuno.
Stava togliendo la vita ad una persona, un uomo corrotto e terribile… ma questo non lo faceva sentir meglio.
Stava per trasformarsi in un assassino.
Ma non c’era tempo per perdersi nei rimorsi, ormai era in ballo e doveva ballare; sfilò la lama e pugnalò un’altra volta il nero nell’occhio sinistro.
La vittima cadde a terra esangue.
Nello stesso istante, mentre il suono dell’uscio sbattuto si propagava nell’aria, i tre rapitori ancora asserragliati nella casupola si voltarono di scatto verso la fonte del rumore.
Sehnar saltò all’interno dalla finestra e con un colpo preciso tranciò di netto i tendini del ginocchio dell’uomo che più era vicino al pertugio nel muro.
Cadde a terra, il malcapitato, caracollando rumorosamente.
Le teste si voltarono di nuovo, ma per il terzo seguace del vero rapitore, non ci fu tempo di capire nulla.
La lama nel petto, tra due costole.
Sehnar girò la lama di scatto ed un sonoro schiocco di costole spezzate permeò l’aria. Un deciso strattone, la lama che lacerò organi e tessuti.
Anubi, il Dio dell’oltretomba, giunse rapido a mietere un’altra anima.
Doki entrò dalla porta, lanciandosi come un cane idrofobo sull’assassino, ancora frastornato e non completamente conscio di ciò che stava accadendo.
Doki provò un fendente.
Lui lo schivò agilmente.
Un altro ed un altro ancora.
L’assassino era agile e, al terzo tentativo di Doki, il pugnale dell’uomo lacerò il braccio del giovane, troppo inesperto per reggere il confronto.
Il dolore era lancinante, Doki si sentì mancare.
La mano possente dell’assassino si serrò attorno al collo di lui che iniziò a sentir che l’aria gli mancava.
La pressione sanguigna nei suoi occhi stava aumentando, Doki lo percepiva.
Sentiva la vita defluire dalle sue carni.
Con la coda dell’occhio vide Meryt-Ra dimenarsi, incapace però di liberarsi dalla stretta delle funi
Mentre stava per lasciarsi andare, mentre stava per cedere alla stretta mortale, Doki vide un’ombra dietro alle spalle dell’assassino.
E poi il calore del sangue gli inondò il viso.
La gola del sicario aperta da orecchio ad orecchio.
La morsa allentata, i piedi di nuovo saldi a terra.
L’aria che entrava copiosa e voluttuosa nei suoi polmoni.
Doki era salvo, e di questo doveva ringraziare Sehnar.
Tossì fragorosamente, un paio di volte e dopo, Doki, si precipitò a liberare la sua bella.
Il pugnale di Sehnar aveva sgozzato l’ultimo rapitore, quello con i tendini recisi che stava ancora urlando a terra.
«Doki…»Meryt-Ra piangeva un misto di lacrime di gioia e di gioia e di lacrime di terrore.
«Non ti preoccupare, amore mio! Sono qui. È tutto finito!»
Si abbracciarono; le loro labbra si unirono.
In quell’istante, in lontananza, si udì un melodioso ritmo di corni e di tamburi.
«Maestà, Doki… non è che voglia interrompere il vostro idillio, ma i riti del mattino sono appena terminati. Il Faraone presenzierà alla cerimonia delle pubbliche esecuzioni. Verrà ucciso lì».
«Cosa?» Meryt-Ra trasalì.
«Non c’è tempo, amore! Andiamo!»