Numero 30/2023
29 Luglio 2023
Urban Chestnut Brewing Company: il birrificio urbano di Saint Louis
Tratto da La birra nel mondo, Volume V, di Antonio Mennella-Meligrana Editore</strong
Saint Louis, Missouri/USA
Diplomatosi mastro birraio a Weihenstephan, il bavarese Florian Kuplent lavorò presso diverse birrerie (la statunitense New England, la tedesca Beck’s e la belga Moortgat), prima di “approdare” a Londra per aiutare Alastair Hook (che aveva conosciuto alla Weinstephan appunto) a mettere in funzione il primo impianto della Meantime, di fronte al campo di Charlton Athletic.
Fu proprio a Londra che conobbe la donna della sua vita, un’americana, per seguire la quale finì per ritrovarsi a fare il birraio alla Anheuser-Busch. Qui, conobbe David Wolfe, che si occupava di marcketing.
Nel 2010 Florian e David si licenziano e, l’anno successivo, nel centro di Saint Louis inaugurarono un piccolo brewpub con annesso Biergarten, chiamato Urban Chestnut Brewing Company.
Seguì, nel 2013, per i soliti motivi di spazio l’apertura di un secondo birrificio, con un potenziale annuo di circa 15 mila barili, ma capace di espandersi fin a raggiungere i 100 mila.
Addirittura, nel 2015, veniva annunciata l’imminente apertura di una succursale in Germania, a Wolnzach (nell’Hallertau), chiamata appunto Urban Chestnut Hallertauer Brauerei e affidata al birraio Georg Seitz.
Quanto alla produzione, la succursale tedesca opera con una gamma ristretta di birre in stili tedeschi, eccetto la Urban Chestnut Hallertauer Zuagroast Pale Ale. Negli Stati Uniti invece la Urban Chestnut propone oltre 200 tipologie di birre, distribuite in due serie: la Revolution, d’ispirazione americana, e la Reverence, di tradizione europea.
Urban Chestnut Hollermöffel, rauchbier di colore leggermente ambrato e dall’aspetto alquanto velato (g.a. 7%). La carbonazione è moderata; la schiuma biancastra, grossa, sottile, densa, sufficientemente stabile e aderente. Nel suo alone intensamente affumicato, l’aroma avvolge sentori di malto tostato, zucchero di canna, terra, carne affumicata, mais, legno. Il corpo medio tende al pieno, in una consistenza spessa e cremosa. Nel gusto, il fumo prende addirittura una connotazione acre, il malto appare granuloso e dolciastro, il lievito esala un lieve speziato, la torba presenta punte bruciate, il luppolo apporta un blando amarore, l’alcol agisce nelle vesti di whisky; mentre la mela caramellata maschera un’incisiva punta di acidità. Il finale risulta in perfetto equilibrio tra il fruttato e la secchezza. Le sensazioni della discreta persistenza retrolfattiva rappresentano il bruciacchiato della legna, la cenere, le prugne affumicate.
Urban Chestnut Hallertauer Zuagroast Pale Ale, american pale ale di colore ambrato chiaro e dall’aspetto nebuloso (g.a. 5,6%). Con una vivace effervescenza, la schiuma, più biancastra che bianca, erompe ampia, fine, compatta, cremosa, tenace. Benché tenue, l’aroma sa farsi apprezzare per la persistente fragranza cui contribuiscono armonicamente malto biscotto, caramello, foglie, limone, scorza d’arancia, legno, resina di pino, luppolo erbaceo. Il corpo medio mostra una certa predisposizione per la leggerezza, potendo ciecamente contare su una scorrevolissima consistenza acquosa. Grazie poi a una solida base di malto, suffragata da caramello, miele, mandarino, frutta tropicale matura, albicocca, mou, il gusto combina a meraviglia col morbido amarore di un luppolo floreale, e prende a scorrere fresco, pulito, appagante. La secchezza del finale appare un po’ acre, sostenuta peraltro dalla scorza di lime e di pompelmo. Un retrolfatto abbastanza caramellato vorrebbe compensare l’amaro generale, finisce però per impantanarsi in sensazioni metalliche.
Collaborazione
Urban Chestnut Apotheosis, saison di colore oro antico e dall’aspetto lievemente velato (g.a. 6%); in stile francese e con aggiunta di frumento. Fu elaborata, insieme al pub The Royale di St. Louis, in occasione della festa di Luigi IX di Francia, al quale la città deve il proprio nome; Apotheosis infatti è chiamata la statua del re collocata in cima a Art Hill. La carbonazione è, per lo stile, troppo bassa; a sua volta, benché fine, compatta, cremosa e abbastanza durevole, la schiuma bianca lascia un po’ a desiderare quanto alla sua generosità. All’olfatto, la delicata speziatura non può contrastare, anzi finisce per impreziosire i sentori di malto tostato, albicocca, lievito di pasta, banana, fieno, liquore all’arancia; mentre, dal sottofondo, scalpitano ma non vengono allo scoperto alcuni luppoli floreali e terrosi. Il corpo medio tende al leggero, in una consistenza pressoché acquosa. Nel gusto, una solida base di miele e biscotto, supportata da mela, pera e polpa d’arancia, fa sentire la sua dolcezza, che però viene man mano stemperata dalla speziatura del lievito, prima e poi, dall’acidità del frumento, sin a scomparire nella terrosità amaricante del finale. Un buon livello di asprezza caratterizza le dissetanti sensazioni retrolfattive, a base di lime e scorza di pompelmo.