19 Dicembre 2015
La morte ha il gusto del luppolo: quinto capitolo
Alberico era nella sala da pranzo del convento.
Una sala spartana e spoglia di quasi tutto: vi era un lungo e massiccio tavolo in legno, usurato dal tempo e dai pasti su di esso consumati ed una trentina di sedie, anch’esse in legno. Alcuni sgabelli a tre piedi, stretti ed alla vista estremamente scomodi, completavano la fornitura di posti a sedere.
L’età media dei frati di quel monastero era piuttosto elevata e le panche, quindi, risultavano estremamente scomode per dei poveri vecchi, costretti a scavalcarle per sedersi. La scelta di sedie con schienale era, quindi, una necessità e non un vezzo.
Lunghe schegge lignee spuntavano qua e la sia dal tavolo che dalle sedie ed uno dei compiti dei frati più giovani era proprio quello di strapparle, onde evitare fastidiose ferite e graffi.
Alberico trovò Frà Samuel intento ad effettuare una grezza e quantomai inadeguata smerigliatura del piano di legno del tavolone da pranzo.
Utilizzava una pezza di lana, probabilmente derivante da un vecchio saio troppo logoro e consumato per poter essere debitamente riparato. Giacché in un monastero una delle regole d’oro era “non si butta via nulla”, quei vecchi sai consunti e lerci venivano riciclati come panni per pulire ed, in quel caso, per smerigliare gli oggetti di legno di uso comune.
«Frà Samuel, procede bene il vostro lavoro mattutino?»
Il giovane monaco si girò di scatto, come spaventato da quella voce inattesa proveniente dalle sue spalle.
«Oh, Eccellenza! Perdonatemi, non mi sono accorto di non essere solo…»
«Non c’è problema, anzi! Mi scuso per avervi spaventato».
«Qual buon vento vi porta qui? Il pranzo sarà servito solo tra tre ore, più o meno».
«In vero, Frà Samuel, non sono qui per mangiare. Sono qui per… per fare una chiacchierata informale con voi».
«Ah, capisco… Vostra Eccellenza deve perdonarmi, ma ho molto lavoro da fare e…»
«Chiedo venia, mio buon Frà Samuel, ma non posso perdonarvi. Devo insistere affinché mi raccontiate del ritrovamento del cadavere di Frà Malcom».
«Io… io non so nulla di più rispetto a quanto non abbiate già potuto udire finora…»
«Vorrei sentire quelle parole direttamente da voi, se non vi dispiace… vi assicuro che non siete accusato di nulla, ma preferirei che collaboraste. Sapete come vanno queste cose? Credo che sappiate che, in realtà, io sono stato incaricato direttamente da Sua Santità di indagare su questo omicidio. Se vi rifiutaste di collaborare… beh, dovrei interrogarvi ufficialmente. Oltre a tutta una serie di scartoffie che francamente eviterei, dovrei condurre un interrogatorio secondo la legge. Non credo che la cosa vi aggraderebbe…»
Alberico sapeva che nessuno avrebbe mai voluto essere interrogato “Ufficilmente” da un Messo Pontificio.
Qualora non si convincesse della veridicità delle proprie affermazioni, il Messo Pontificio, al pari di un Ufficiale di un qualsiasi esercito Europeo, aveva il diritto e l’obbligo di estorcere la verità in qualunque modo.
In particolare… la tortura era il metodo più efficace per scoprire la verità ed, eventualmente, estorcere confessioni.
Ma Alberico non era dell’idea di torturare un frate che, con ogni probabilità non c’entrava nulla con l’omicidio.
Respirò profondamente e poi ripetè la sua proposta:
«Dunque, Frà Samuel, mi concedete una decina di minuti del vostro preziosissimo tempo?»
Il giovane fece cenno all’Italiano di sedersi e piegando accuratamente, quasi in modo maniacale, la pezza per smerigliare, si sedette davanti a lui; il tavolo logoro a dividere i due uomini.
«Che cosa dovrei dirvi?»
Alberico si fece raccontare per filo e per segno il ritrovamento.
Non vi furono differenze sostanziali nel racconto fornito dal giovane, rispetto a quello tramandato dall’Abate.
Questa similitudine convinse Alberico della veridicità delle informazioni ricevute.
«Bene, posso chiedervi ancora una cosa?»
«Tutto quello che desiderate…»
«Secondo voi, Frà Samuel, chi può aver compiuto questo gesto, così efferato, nei confronti di un servo di Dio?»
«Mio Signore, non credo di capire… io non so chi è l’assassino».
«Beninteso, Frà Samuel. Mi sono spiegato male io… Secondo voi, in città, chi può aver avuto un motivo valido per uccidere un frate?»
«Non lo so, Padre Alberico. Non mi è consentito lasciare il monastero ed io non sono nato e cresciuto qui… sono al servizio di questo monastero da poco tempo e… e non conosco molti cittadini. E per quello che ne posso sapere, non credo che tra le mie conoscenze possa celarsi un omicida».
«Certo, certo. Magari… magari avete visto qualcuno nel monastero, qualche cittadino o qualche pellegrino che ha litigato con il povero Frà Malcom… non so, qualcosa che ha attirato la vostra attenzione…»
Il giovane stette in silenzio, ragionando con estrema attenzione sulle parole da pronunciare.
«No, Eccellenza. Non ho visto nulla di strano… non nell’ultimo periodo, almeno».
«Avete memoria di un episodio particolare avvenuto un po’ di tempo fa?»
«Sì… non ci feci molto caso, allora… è avvenuto circa un anno fa…»
«Cosa è successo?»
«Frà Malcom era tornato tardi dalla città… era visibilmente ubriaco e me lo ricordo perché fece talmente tanto rumore, inciampandosi nell’aia, che mi svegliò nel cuore della notte».
«Frà Malcom… ubriaco?»
«Sì, mio Signore…»
«Scusatemi, Frà Samuel… Frà Malcom non era solito rispettare il coprifuoco del tramonto? Ed ancor più grave, soleva ubriacarsi fuori dal monastero, magari nelle taverne cittadine?»
«Mio Signore… non credo… non credo che sia conveniente parlare male dei morti e…»
«Non credo che per voi sia conveniente interrompere il vostro racconto».
Alberico era visibilmente scosso da quel racconto.
I frati avevano un rigido codice di condotta, in qualunque parte del mondo fossero.
Lo aveva stilato e promulgato con Bolla Papale la Santa Sede secoli addietro.
Ogni frate aveva l’obbligo di attenercisi scrupolosamente! Faceva parte, in fondo, dell’applicazione del Voto di Obbedienza.
«Bene… sì, Frà Malcom era solito ubriacarsi nelle taverne cittadine… e spesso e volentieri tornava al monastero nel cuore della notte ebbro ed iracondo».
«E quella notte che cosa successe?»
«Lo aveva accompagnato un popolano, tanto era ubriaco. E mi ricordo che i due parlavano, con un tono di voce alto ed altero di una questione… parlavano della vendita di una nuova birra… un nobile Scozzese ne aveva ordinato un quantitativo elevato, ed i due stavano discutendo del prezzo da applicare al prodotto… mi ricordo che mi alzai, aprii lo spioncino della mia cella e vidi Frà Malcom schiaffeggiare il villico che lo aveva accompagnato al monastero. Non ho sentito tutto il discorso, ma era palese che Frà Malcom era adirato».
«Bene… continua pure…»
«Basta, ricordo solo che il cittadino, che francamente non so chi sia, ha inveito contro Frà Malcom e gli ha detto che l’avrebbe pagata cara…»
«E Malcom?»
«Lui si mise a ridere e fece per benedire con il segno della Croce il cittadino, mentre rideva. Un gesto di scherno, a parer mio… che non concluse neppure, perché iniziò a rigettare».
«Buon Dio!» esclamò Alberico.
Quale sorta di malversazione vi era in quel monastero?
Doveva andare fino in fondo alla questione!
«E… sai di altri Frati che praticano gli stessi peccati di Malcom? Ovvero, sai se è uso comune infrangere il coprifuoco per andare ad ubriacarsi?»
«Francamente non so. Da un po’ di tempo godo di un sonno profondo e ristoratore… raramente sono stato ancora svegliato nel cuore della notte… e sempre a causa di Frà Malcom».
«Grazie, Frà Samuel. Mi siete stato molto utile!»
«Posso tornare al mio lavoro?»
«Sì, certo!»
Alberico fece per alzarsi quando chiese:
«Un’ultima cosa: sapete, per caso, quale era la taverna preferita di Frà Malcom?»
«Sì. Me lo confidò un mattino, in preda ai postumi dell’ennesima sbronza. Mi confessò che la taverna “Black Horse” era la sua preferita».
«Sai anche il perché?»
«Mi disse che lì servono solamente le birre prodotte da lui e le sguattere che lavorano lì sono le più giovani ed avvenenti dell’intera contea».
«Come? Credete forse che… che Frà Malcom infrangesse anche il Voto di Castità?»
«Questo non ve lo so dire, mio Signore… so solo che anche io, a volte, guardo in modo lascivo delle fedeli, quando lasciano la chiesa, dopo la Messa. So che è peccato, infatti mi flagello nella mia cella… ma lo sapete anche voi, la carne è debole…»
«In verità, finché non si supera questa vostra attitudine, il peccato è veniale ed un giusto numero di nerbate sono sufficienti ad espiare. Tranquillizzatevi, Frà Samuel, “Errare humanum est!” Ma, forse, Frà Malcom perseverava…»
Il giovane frate era imbarazzato ed impaurito…
«Posso…»
«Prego, tornate al vostro lavoro. Debbo rammentarvi che quello che ci siamo detti non deve uscire da questa stanza? Rivelare a chiunque, anche al vostro Abate, ciò che ci siamo confidati oggi è pari all’infrangere il segreto confessionale. Non vorrei esser costretto a prendere seri provvedimenti…»
«Sarò più muto di una tomba, statene certo!»
«Perfetto. Buona giornata».
Senza attendere risposta, Alberico uscì nell’aia, diretto in città, al “Black Horse”.
Fece per uscire dal pesante portone in legno, quando l’Abate lo chiamò, affacciandosi dalla finestra della biblioteca del convento:
«Padre Alberico! Dove state andando?»
«Gradirei mantenere per me questa informazione, mio buon Abate».
«Se vi interessa, sono giunti poco fa gli atti ed i documenti da voi richiesti».
Il Messo Pontificio girò i tacchi e si diresse verso la biblioteca.
La taverna non si sarebbe spostata da dov’era, mentre i documenti avrebbero potuto subire modifiche e variazioni… l’investigatore Pontificio sapeva che Frà Samuel non avrebbe tenuto la bocca chiusa a lungo, se messo alle strette dall’Abate.
Doveva appropriarsi del materiale sensibile prima che anch’esso subisse opere di malversazione.
«Grazie, Padre Joseph. Arrivo subito!»