Numero 09/2017
27 Febbraio 2017
A lezione con l’Onab. Viaggio tra gli stili birrari in compagnia del BJCP: le Stouts
Come abbiamo avuto modo di scoprire in un precedente articolo ad esso dedicato, il BJCP (BeerJudgeCertification Program) si occupa, tra le altre cose, di fornire una descrizione schematica ma esaustiva dei vari stili birrari, per facilitarne la conoscenza e il riconoscimento da parte degli utenti meno esperti da un lato, e indirizzare i giudici delle competizioni a focalizzarsi su determinate caratteristiche per valutarne al meglio la qualità dall’altro.
Oggi scopriamo insieme, pur non seguendo il formato standard proposto, come viene presentato dal BJCP uno degli stili tra i più conosciuti e bevuti dagli appassionati di birra: la Stout.
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Di colore molto scuro (“può apparire nera, ma in realtà è di un rubino scuro intenso”, la descriveva lo stesso Guinness), e dalla caratteristica schiuma cremosa dovuta alla spillatura a carboazoto, la stout presenta un peculiare aroma di caffè, con sfumature di cioccolato, cacao, o cereale torrefatto, dovuto ai malti tostati che la compongono.A volte è presente anche una venatura dolce di caramello. Questa preminenza di sapori fa sì che il sentore di luppolo (tendente al terroso) sia fondamentalmente assente, o presente in minime quantità.Il corpo è consistente, e nonostante la forte componente di luppoli e l’utilizzo massiccio di malti scuri, questa birra risulta essere molto delicata e beverina (tanto da essere gustata volentieri anche da persone non propriamente amanti della birra, nda).
Per quanto riguarda la sua storia, la stout nasce come “evoluzione” dellaporter: il grande successo in terra britannica di questa birra scura portò al tentativo di aumentare i guadagni da essagenerati con la creazione di “un più robusto tipo di Porter”. Originariamente, infatti, le stouts venivano prodotte con un corpo più pieno e cremoso e una maggiore alcolicità rispetto alle porter stesse; la stessa Guinness in Irlanda iniziò prima a produrre Porter nel 1799, e solo nel 1810 si dedicò alla Stout, con cui è famosa in tutto il mondo ancora oggi. Verso la fine dell’Ottocento l’Irish Stout iniziò a differenziarsi dalla corrispondente inglese mediante l’utilizzo di malti più scuri.
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Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Guinness iniziò ad utilizzare anche l’orzo torrefatto, a differenza di altri birrifici, e negli anni ’50 aggiunse anche l’orzo in fiocchi. Una ricetta non ripresa da altri produttori di stouts: molteplici sono i malti usati per creare i vari prodotti all’interno dei diversi birrifici, ma uno solo deve essere il risultato principale, ovvero la birra deve risultare nera.
In passato, quando un birrificio proponeva sia porter che stout, quest’ultima veniva definita Stout Porter, ovvero Porter Forte, proprio ad indicarne il maggior grado alcolico. Nel corso del tempo le cose sono cambiate e al giorno d’oggi le alcolicità di porter e stout sostanzialmente si equivalgono.
Generalmente la stout oggi viene servita perlopiù alla spina, per poter godere appieno della sua consistenza cremosa grazie alla spillatura acarboazoto; consistenza non riproducibile in bottiglia, il cui prodotto mantiene le caratteristiche aromatiche, gustative e olfattive, ma non la stessa corposità.Per cercare di ricreare la densa corposità della birra servita alla spina, negli anni ’80 e ’90 la Guinness ha cominciato a produrre le lattine con la pallina all’interno che troviamo ancora oggi al supermercato (ma con risultati non troppo simili a quelli della spillatura, nda).