Numero 48/2016
3 Dicembre 2016
I Contrabbandieri di Birra – Capitolo 10
Quei pochi giorni di licenza pasquale trascorsero più lentamente di quanto Giuseppe aveva previsto.
Non li visse nel clima gioviale che aveva immaginato, non dopo le rivelazioni che suo padre gli aveva fatto sul Duce, sui gerarchi Fascisti e sulla loro incompetenza.
Oh, che tristezza albergava ora nel suo cuore!
Con fare distratto, guardando fuori dal finestrino del treno che lo riportava nell’alto Piemonte, alla caserma in cui avrebbe dovuto passare ancora interi mesi della sua giovane vita, il ragazzo focalizzò la propria attenzione sulla campagna.
Rigogliosa, questo sì, com’era naturale che fosse in primavera, ma povera.
Ovunque frumento duro.
Ovunque piante che sapeva, in cuor suo, condannare centinaia, migliaia di famiglie.
E lui non poteva far nulla per aiutare la sua famiglia e tutta quella gente che si spaccava la schiena nei campi, giorno e notte…
Com’era avvilito, quel giovane che aveva mille sogni, mille buoni propositi!
Si rese conto che, in fondo, lui era solo un ragazzino, un povero diavolo, figlio di un altro povero diavolo e che, pertanto, avrebbe vissuto una vita di miseria, assoggettato a quei nobili, ricchi e potenti, che per grazia divina erano nati di un altro ceto sociale.
Com’era ingiusta la vita!
Più si sforzava di pensare, più desiderata trovare una soluzione a quel tragico problema!
A mano a mano che rifletteva su una soluzione, il suo cervello sprofondava in un limbo di depressione crescente, apparentemente profondissimo ed insormontabile.
L’unica cosa che poteva sperare di fare era parlare con il Duce.
Già, cosa facile, d’altro canto, per un poveraccio come lui!
Eppure Giuseppe sapeva che se ci fosse riuscito, tutto sarebbe cambiato!
L Duce era una persona buona, che voleva solamente il bene dell’Italia e degli italiani!
Era solo… malconsigliato da quella manica di burocrati ignoranti a cui aveva, per sbaglio, accordato troppa fiducia!
Ma come fare per raggiungere le orecchie del Duce?
E poi, effettivamente, non sarebbe certo stato il primo a tentare un approccio con il Capo del Governo per risolvere quella situazione!
La riflessione si era spostata su come riuscire a superare l’infinita catena burocratica che conduceva fino alle stanze del Potere, in modo da evitare di essere respinto da uno di quegli anelli che erano, Giuseppe lo credeva fermamente, il vero insieme del problema.
Il treno era fermo in mezzo alla campagna e stava accumulando un forte ritardo per via di un albero caduto sulle rotaie.
Un treno in ritardo? Una situazione alquanto anomala, in vero!
Un’occasione per pensare ancora un po’.
Mentre continuava a martellarsi il cervello con ipotesi irrealizzabili, d’un tratto fu illuminato da un’idea geniale!
Una folgorazione a ciel sereno, in vero, come quella di San Paolo sulla via per Damasco!
Avrebbe scritto una lettera al Duce, tentando di ottenere un avvallo dal suo Colonnello, un uomo dai solidi principi Fascisti che proveniva da una famiglia contadina come la sua e che si era fatto strada nella gerarchia militare salvando la vita di un Conte e di due Marchesi durante la grande Guerra.
Un uomo pluri-medagliato come lui, Fascista ed orgoglioso, memore della miseria dalla quale aveva saputo ergersi, innalzando all’inverosimile lo status della sua famiglia, non avrebbe certo risposto picche all’accorato pianto del popolo italiano!
In più l’alto ufficiale ben sapeva cosa voleva dire essere poveri agricoltori; lo aveva vissuto sulla propria pelle quando ancora l’essere agricoltore voleva dire lavorare la terra senza mezzi motorizzati, sotto il gioco tiranno dei nobili proprietari terrieri!
Certamente non sarebbe rimasto muto di fronte ad una tale ingiustizia che avrebbe gettato nuovamente la sua gente, la gente di campagna, in pasto alle banche ed ai nobili!
E con il suo alto grado militare, con tutte le medaglie in suo possesso, sicuramente, il Colonnello sarebbe riuscito a giungere fino al Duce in un batter d’occhio!
Ed allora, il buon cuore del Duce non sarebbe rimasto impassibile di fronte all’accorato appello del popolo Padano che si era fatto rappresentare da un così benemerito Cittadino Italiano, Fascista ed Agricoltore come il suo Colonnello!
Sì, avrebbe fatto così!
Estrasse dal suo zaino un foglio intestato, di quelli con i quali si inoltravano le richieste importanti in caserma, penna e calamaio che per abitudine ogni soldato portava sempre con sé per scrivere lettere a casa, ed iniziò.
La stesura della brutta copia richiese più di un’ora, la copiatura in bella necessitò di altri quaranta minuti.
Il treno, nel frattempo era ripartito ed il giovane sollevò il capo chino sul foglio giusto un istante prima che il capotreno, passando di carrozza in carrozza, annunciasse a tutti l’arrivo a Torino ed il capolinea del treno.
Giuseppe fece svolazzare il foglio “di bella” a mo’di ventaglio per far asciugare la china all’aria.
Piegò con cura la carta, controllando bene che non vi fossero ancora lettere umide e si preparò per scendere dal mezzo.
La restante parte del viaggio la trascorse più rilassato, con il cuore più leggero.
Non appena giunse in caserma, dopo aver sbrigato le facezie burocratiche legate al rientro in caserma, Giuseppe si precipitò nel palazzo che ospitava gli uffici degli ufficiali e chiese di poter parlare con il Colonnello Marchisio.
Senza che vi fosse sorpresa alcuna, al giovane fu fissato un appuntamento con l’alto ufficiale di lì a ben cinque settimane dopo.
“Beh, avrò più tempo per rileggere la lettera e correggerla al meglio!” pensò mentre si allontanava.
I giorni trascorsero.
Le correzioni si susseguirono.
Il pesante fardello delle esercitazioni giornaliere non lo stancavano più di tanto, sollevato dalla certezza che ogni alba lo avvicinava sempre più al colloquio con l’ufficiale, alla risoluzione dei problemi della spropria famiglia.
Durante quelle settimane, il giovane, dovette imparare ad affrontare un problema che affliggeva l’Italia intera, da Nord a Sud: quello del brigantaggio.
Quella parte del suo addestramento serviva perché i giovani militari fossero formati alla lotta a quei delinquenti che facevano del furto, del contrabbando e dell’anarchia il proprio stile di vita.
Una piaga in uno stato Civile e Rigoroso come quello Italiano!
Un cancro da debellare al più presto!
Una secolare tradizione di gente, di intere organizzazioni che delinque vano e poi si davano alla macchia a volte protetti perfino dai comuni cittadini!
Una parte dell’addestramento che il giovane trovò particolarmente interessante e che, ancora non lo sapeva, gli sarebbe tornata presto molto utile!