Numero 50/2016
17 Dicembre 2016
I Contrabbandieri di Birra – Capitolo 12
Un anno era passato.
Un anno denso di emozioni.
Un anno in cui, gioie e dolori erano stati infarciti di tanto esercizio fisico e di tante nozioni militari.
Per quanto che, per quanto fosse stato intenso per Giuseppe, si era rivelato memorabile!
Il servizio militare si era dimostrato esattamente come lo aveva immaginato: formante e stupendo.
Il giovane, con qualche pelo in più sulle gote, appariva ora tronfio ed orgoglioso, mascolino e sicuro di sé.
Un uomo, insomma, un giovane militarmente formato; un vero fascista!
Già…
Un vero fascista…
Ma lo era ancora?
Realmente, si intende, non legalmente in quanto socio del partito.
Non che durante l’addestramento i suoi istruttori non avessero tentato di rafforzare il suo italico patriottismo, beninteso, ma in quell’anno erano cambiate tante cose.
Suo padre ed i suoi compaesani erano stati costretti a “dimostrare” ai gerarchi fascisti che la coltivazione di frumento duro nella pianura padana non dava i risultati sperati.
Produzioni scarse, qualità infima, muffa a non finire con annesse difficoltà di conservazione dei chicchi e delle farine…
Uno stillicidio di piccoli agricoltori, in vero!
E suo padre, la sua famiglia, erano in mezzo a quella sventagliata di mitragliatrice che era la burocrazia!
Colpito da più fronti, suo padre si era ammalato gravemente.
Da un lato la produzione pessima, da un altro la banca che gli aizzava contro i propri mastini recupera crediti, dal terzo lato i gerarchi che esigevano derrate alimentari per l’anno a seguire, sempre grano duro naturalmente, e dal quarto fronte l’attacco più grave: quello alla sua famiglia.
Non che i suoi cari non comprendessero il perché di quell’annata fallimentare, anzi!
Erano la fame e l’incertezza per il futuro, l’insieme di ciò…era esso il vero attacco a quella famiglia che reagiva ai colpi bassi della vita con disumana unità!
Giuseppe stava tornando a casa, in treno.
Quello sarebbe stato l’ultimo viaggio, quello del congedo.
Sarebbe restato nuovamente nel suo amato fossanese, non più obbligato a ripartire per non esser considerato un disertore.
Durante quel viaggio, si trovò spesso a maledire il Duce e le sue idee bislacche.
Ormai, dopo la sfuriata avvenuta mesi prima, quella nella quale il suo colonnello, quello che Giuseppe credeva essere l’uomo del popolo, l’uomo integerrimo ed al contempo vicino alle esigenze dei più deboli, si era dimostrato per quello che era: un maledetto arrivista, troppo intimorito dal Duce e da ciò che avrebbe potuto fare alla sua carriera ed alla sua vita se solo avesse osato criticare l’operato del Governo!
E quelle parole…
Quella frase carica di terrore ed al contempo di ammirazione che il Colonnello aveva pronunciato… “1
Quelle parole, pronunciate da un alto ufficiale dell’esercito di Sua Maestà lo avevano profondamente destabilizzato.
Avevano minato la sua natura più intima, il baluardo su cui sventolava, nel suo cuore, lo stendardo Fascista.
Un terremoto emozionale, in vero, una stilettata al cuore.
Mussolini, a quanto poteva evincere dalle parole del suo superiore, era tutt’altro che un benefattore, un protettore del popolo!
Era un uomo che avrebbe ucciso chiunque, forse la sua stessa madre, se ella avesse osato metterlo in ridicolo di fronte ad altri!
E poi quei metodi usati durante le elezioni…
Subito Giuseppe non ci volle credere.
Ma il Colonnello sembrava così convincente, così sicuro della propria narrazione!
Non poteva credere che quell’ufficiale, da giovane, fosse stato una delle Camice Nere che, a suo dire, aveva torturato ignari cittadini per costringerli a votare per il Partito Fascista.
Ed allora, se tutto ciò fosse stato vero…
Voleva dire che…
Giuseppe si sentiva in colpa anche solo ad immaginare le parole che la sua mente stava elaborando, quasi che fossero una bestialità immane, un’imperdonabile bestemmia rigurgitata nientemeno che da Satana in persona: Benito Mussolini era, in realtà, uno spregevole tiranno, non il salvatore dell’Italia!
Queste erano le parole che stavano facendo capolino nella sua mente, facendo breccia nel suo cuore, attraversando la coriacea scorza Fascista che era divenuta la sua armatura…
E se quelle parole, quei pensieri, fossero divenuti reali, solide certezze, allora…
Allora avrebbe dovuto far qualcosa!
Non qualcosa di eclatante, figurarsi se uno come lui avrebbe potuto commettere atti di un certo livello come un attentato!
No, il suo moto insurrezionali sta sarebbe stato volto esclusivamente al miglioramento dello stile di vita dei suoi cari!
Anzi, solamente ad un equo ripristino di esso, così subdolamente depauperato dai gerarchi fascisti!
Sì, lui avrebbe riportato dignità alla sua famiglia ed al suo paesello!
Il viaggio proseguiva, lento e metodico, ritmato dal clangore metallico della meraviglia ingegneristica che era il treno.
CLA-CLANG CLA-CLANG, avrebbe salvato la sua famiglia dalla miseria!
CLA CLANG CLA-CLANG, avrebbe ricreato un futuro dignitoso per sé e per suo fratello!
CLA-CLANG CLA-CLANG, avrebbe difeso con le unghie e con i denti le proprietà della sua famiglia da quegli avvoltoi legalizzati delle banche!
CLA-CLANG CLA-CLANG, avrebbe ricavato denaro sufficiente per garantire le migliori cure a suo padre!
CLA-CLANG CLA-CLANG, lo giurava, lui giurava tutto ciò!
Il suo cuore, ora, dopo quella riflessione durata mesi, era giunto ad un nuovo stadio di consapevolezza.
Non più falsi miti, Dei incarnati ed ideali superomistici, annebbiavano la sua mente.
Solo la cruda, triste ma vivida ed attualissima realta: il Duce era un cancro per l’Italia e lui non avrebbe permesso che questo marciume facesse colare a picco anche i suoi cari assieme al resto della Nazione!
Non aveva i mezzi per contrastare il Male su larga scala, di questo era conscio.
Ma Giuseppe sapeva anche che erano due le cose che la vita gli aveva insegnato: lui sapeva coltivare e sapeva combattere!
Ed erano stati proprio i fascisti ad insegnargli la seconda!
E lui avrebbe dimostrato che i frutti dell’addestramento erano maturi e pronti per esser colti!
Mentre prendeva consapevolezza del cambiamento avvenuto in lui e della piega che avrebbe da quel momento in poi preso la sua intera esistenza, Giuseppe si ricordò una storiella, una specie di parabola.
Una leggenda, in vero.
Una leggenda Giapponese che i suoi istruttori gli avevano trasmesso durante le lunghe ore di lezione sulle pratiche militari.
I Giapponesi erano divenuti amici dell’Italia, tanto che più volte all’anno il Duce andava a far visita nel Paese del Sol Levante e nobili rappresentati di quello Stato venivano in visita ufficiale a Roma.
Considerando alcuni scambi commerciali, per lo più merci militari, le tradizioni guerriere stavano lentamente passando da una Nazione all’altra.
Il Tenente che quel giorno teneva la lezione, fresco di un addestramento congiunto tra alcuni ufficiali dei due eserciti, spiegò ai giovani militari il motivo per cui esisteva il servizio militare di leva:
“Un giovane era impegnato per diverse ore al giorno in un giardino. Arava, seminava, potava, curava alberi, erbe e gli ortaggi – spiegava l’ufficiale – e tutto ciò, però non lo gratificava. Ad istruirlo nell’arte della cura dei fiori, un anziano Maestro. Due volte al giorno, per due ore consecutive, il giovane era sottoposto, sempre dallo stesso Maestro, ad un duro addestramento militare in cui il vecchio gli insegnava a lottare a mani nude, con la spada, l’arco e tutte le armi in dotazione all’esercito. Questa parte della giornata gratificava moltissimo.
Il giovane chiese al Maestro come mai gli insegnasse a combattere, nonostante da anni non ci fossero Guerre da anni ed al contempo come mai esigesse un impegno maniacale nella cura del giardino, visto che lui era un Maestro di Arti Marziali.
Il vecchio rispose al ragazzo dicendogli: la vita non è fatta di guerre e tuo padre è un giardiniere. È giusto che tu impari il suo mestiere. Ma dimmi, mio giovane allievo, quando scoppierà una guerra, preferirai essere un Giardiniere che fa il Guerriero oppure un Guerriero che fa il Giardiniere?”
Quella leggenda aveva spiegato a tutti come il servizio militare era utile per preparare i cittadini ad un ipotetico conflitto, pur garantendo loro una vita normale e non militare al ritorno a casa.
Per Giuseppe, invece, quella normalità a casa non c’era.
Era tempo che il “ Guerriero che faceva il Giardiniere” emergesse per lottare!
CLA-CLANG…SHHHHHHHHHHH.
Il treno si era fermato.
Stazione di Fossano.