Numero 02/2017
14 Gennaio 2017
I Contrabbandieri di Birra – Capitolo 14
Il caldo di agosto stava, lentamente ma inesorabilmente, cedendo il passo ai primi freddi dell’autunno.
Non un vero e proprio freddo, beninteso, ma un abbassamento delle temperature, soprattutto nelle ore notturne.
In Piemonte il clima non era mie come altrove, lungo lo Stivale.
L’estate cominciava a dissipare le piogge primaverili solo verso la fine di giugno per poi affievolirsi dopo ferragosto.
In quel 20 di agosto tutti erano in fermento.
Una pioggerellina fine, quasi piacevole, smorzava appena il caldo e non aveva più la classica connotazione d un temporale estivo.
Non vi era minimamente il rischio di una grandinata e tutti gli agricoltori della zona stavano facendo i primi sopralluoghi nei propri campi per prepararsi alla semina della coltura Autunno-Vernina imposta dal Regime.
Tutti avevano scelto quel giorno poiché quella pioggerellina rendeva il sole di fine estate sopportabile e, al contempo, tutti sapevano che dopo una giornata di pioggia fine e continua, l’afa avrebbe fatto capolino su tutta la pianura.
Lavorare sotto il sole cocente con l’aria umida era una tortura… meglio anticipare il sopralluogo di qualche giorno, dunque, approfittando di quella frescura.
Giuseppe e la sua famiglia erano per i campi, come tutti gli altri.
Era curioso, ma gli agricoltori, da sempre, non seguono solo il calendario per eseguire il proprio lavoro; seguono anche “quello che fa il vicino”.
Se un coltivatore era il primo ad eseguire un’operazione colturale, era seguito a distanza di poche ore, se non di minuti da tutti i vicini di casa.
Era una specie di tradizione, una specie di modo alternativo di spettegolare…
Se una famiglia non iniziava il lavoro assieme agli altri, infatti, si spargevano voci discordanti sui motivi: chi diceva che una malattia grave avesse colpito uno della famiglia, chi era convinto che quella famiglia avesse comprato un nuovo mezzo più potente e veloce, chi arrivava a dire che vi erano liti coniugali… se quella famiglia ritardava i lavori di tre o quattro giorni, tutto il paese si convinceva che essa si stesse trasferendo o, addirittura, che il capofamiglia avesse malmenato talmente pesantemente la moglie da renderla impresentabile!
Era buona norma, quindi, non dare adito a pettegolezzo alcuno, soprattutto nel caso di Giuseppe e della sua famiglia.
Quell’anno avrebbero infranto un ordine perentorio del Regime… non potevano mettersi in mostra, assolutamente no!
Con fare normale, come tutti gli anni, tutti gli uomini della famiglia erano intenti ad esaminare il proprio terreno, senza destare sospetti.
Giuseppe stava spiegando ai suoi parenti come avrebbero coltivato, quell’anno:
«Io farei così: lasciamo questo quadrato incolto, per ora. Areremo, spietreremo, faremo tutto come se dovessimo coltivarlo da subito. In realtà lo lasceremo incolto per una settimana, dieci giorni al massimo. Giusto il tempo che il frumento inizi a germogliare e pianteremo manualmente, nottetempo l’orzo. Se facciamo tutto bene ed in fretta, potremo sfruttare la luna, per almeno due settimane».
Il giovane sapeva bene che le piante per crescere hanno bisogno di luce.
Normalmente, in agricoltura, la semina avviene secondo il calendario Lunare.
Si segue la pratica consolidata nei secoli di seminare durante la settimana di “luna Nuova”, ossia quando il disco notturno non è visibile. Le piante, solitamente, impiegano una settimana, dieci giorni al massimo a sbucare dal terreno con le prime foglioline… giusto in tempo per assimilare la luce del sole di giorno e quella della luna di notte. In questo modo, per tre settimane, durante le prime fasi della vita della pianta, essa riceve luce ventiquattro ore su ventiquattro, accrescendosi più rapidamente.
Spostando la semina dell’orzo posto centralmente nei campi, Giuseppe assicurava alle piantine un sufficiente apporto di luce ed al contempo un lieve ritardo nella crescita delle stesse che le avrebbe mimetizzate perfettamente agli occhi di militari di passaggio sulle strade confinanti i campi.
Allo stesso modo, anche in caso di eventuali passaggi aerei, esse sarebbero state al sicuro, in quanto l’orzo ed il frumento sono piante molto simili tra loro.
Il periodo più critico, quello durante il quale avrebbero potuto esser scoperti, era la seconda settimana dalla semina del frumento. Per una settimana circa, infatti, gli aerei avrebbero notato che il centro dei loro appezzamenti risultavano brulli, ancora non verdi di frumento.
Ma era un rischio da correre.
I carabinieri, a detta di suo padre, erano passati l’anno precedente a verificare che fosse stato coltivato il grano duro, come previsto, ma avevano fatto solamente un’ispezione superficiale, non accurata.
Si erano limitati ad estirpare un paio di piantine nei pressi della strada, forse più preoccupati di sporcarsi la divisa, rispetto ad effettuare con perizia il proprio compito.
Restava solamente da tentare.
«Giuseppe,» chiese suo padre «Hai già pensato a come faremo a produrre birra senza destare sospetti? In fondo, ci vogliono botti e lieviti per farla fermentare, bottiglie per imbottigliarla e clienti a cui venderla. Non è semplice trovare tutto ciò!»
«Padre, ho pensato a tutto. Per il lievito, useremo quello che viene usato per produrre pane. Non verrà una birra eccellente, ma sicuramente fermenterà. Tra una settimana ci sarà la festa del paese a Centallo (piccolo paese distante pochi chilometri dal fossanese – N.D.A.). Andremo lì, io e Pietro, assieme ai nostri amici. Io e lui tenteremo di rubare i grossi pentoloni, quelli che servono per preparare da mangiare. Se riuscissimo, avremmo il materiale per cuocere il malto e non desteremmo sospetti, comprando quei grossi marmittoni a Fossano. Per le botti, ne compreremo due grandi, nuove ed altre più piccole, quella da cinque litri, per poter smerciare la birra. Quelle saranno vuote a rendere, non possiamo comprarne decine. I locali a cui venderemo la birra dovranno imbottigliarla subito in bottiglie vuote e ci restituiranno subito le botticelle. Eviteremo problemi legati all’imbottigliamento, al trasporto delle bottiglie e tutto ciò che ne consegue. Che ne dite?»
«Santo Cielo…»
«Cosa c’è, padre?»
«E che…»
«Avanti, parla…»
«Adesso dovrete pure rubare? Non basta divenire dei contrabbandieri?»
«Padre…»
«Giuseppe! Io non ho cresciuto dei ladri, contrabbandieri e delinquenti! Il prossimo passo quale sarà? Uccidere qualcuno?»
«Se lavoreremo bene non si arriverà certo a tanto!»
«Quindi tu hai messo l’omicidio tra le opzioni?»
«Certo che no, padre! Tranquillo!»
«Tranquillo? In quale parte del mondo, un padre che non riesce a mantenere la famiglia, i cui figli sono costretti a compiere una serie di reati e misfatti, può stare tranquillo?»
«Eravamo d’accordo, Padre».
«Hai detto bene! ERAVAMO! Io non voglio sapervi criminali, o peggio vedervi in galera o appesi su di una forca! Non se ne fa più nulla! Basta! Coltiveremo solo il frumento, come vuole il Duce e poi si vedrà!»
«E tra due Natali festeggeremo la nascita del Signore sotto ad un ponte! Padre, questa è l’unica via! E non temere, nessuno morirà. E noi non ci faremo arrestare!»
Sul viso del genitore, abbruttito ed invecchiato più del dovuto dal duro lavoro e dal sole cocente, una lacrima scese, infiltrandosi tra una ruga e l’altra.
La paura.
La certezza di aver fatto tutto il possibile per preservare i suoi figli da quel lerciume, ma l’altrettanta lampante sicurezza che non aveva nessun modo per impedir loro di divenire, giocoforza, banditi.