Numero 28/2017
11 Luglio 2017
La birra tra gioia e consumo secondo Chesterton
Quanto si vede che chi non ha ancora il palato educato punti tutto sulla quantità più che sulla qualità! Questo vale anche per la birra. Il venditore abusivo che anche nottetempo spaccia birre industriali a pochi centesimi a ragazzi di qualsiasi età, i locali che si fanno pochi scrupoli… Meglio non far nomi, ma le birre “da poco” sono giustificabili (solo) in caso di estate afosa.
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Invece, bottiglie consumate in fretta, rigorosamente ghiacciate, sono un’abitudine che porta a una “maleducazione” su birra e dintorni. Certo che se per alcol s’intende scolarsi birre gelate a stomaco vuoto, senza capirci nulla… A tal proposito racconto un’esperienza personale (sarà successo a tutti, suppongo): spillando, in una fiera all’aperto, una birra artigianale che “casualmente” ha il mio stesso cognome, mi sento chiedere con sguardo smarrito e ingenuo “avete anche acqua?”, “avete una rossa doppio malto?”; in entrambi i casi li ho “orientati” altrove, dopo aver tentato di spiegare che si trattatava di una ale con una sua storia, con un suo processo di produzione, con ingredienti particolari ma niente… Meglio la “rossa doppio malto”. Tutto questo è normale se pochi raccontano certe cose. È preoccupante, invece, se la birra è vista – specialmente nell’estate da spiaggia – come una compagna insipida, da scolare in fretta, con il chiaro scopo di “passare di là”.
Fatte queste considerazioni forse banali e probabilmente poco interessanti, mi sovviene un grande scrittore (chiedo venia: preferiva definirsi giornalista) corrispondente al nome di Gilbert Keith Chesterton (1874-1936). Sua è una frase, tratta da Ortodossia che un po’ riassume tutto quanto detto prima:
“Dovremmo ringraziare Dio per la birra e per il bordeaux non bevendone troppi”.
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In un altro testo (Eretici, 1905) regala la regola aurea:
“Bevete perché siete felici, ma mai perché siete infelici. Non bevete mai quando, senza l’alcol, vi sentite derelitti, o sarete come il bevitore di gin dalla faccia grigiastra nel suo tugurio: ma bevete quando, anche senza alcol, sareste felici, e sarete come il ridente contadino italiano”.
Lo stesso autore, altrove, scrive:
“Il grande problema è che mescoliamo insieme causa ed effetto. Ci sono due modi di bere. Se uno è felice, beve per esprimere la sua gioia. Questo è un buon bere. Ma c’è anche il caso di chi è talmente infelice da bere per cercare la felicità. E non arrivi alla radice del suo problema facendolo smettere di bere. Per arrivare alla radice, devi cambiare il sistema industriale che lo rende infelice”.
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Il concetto rischiara la differenza tra gioire di una birra e consumare una birra. Pertanto spiace se nei locali si parli di “consumazione”.
Un volume di recentissima pubblicazione, a cura di fra Roberto Brunelli per la Casa Editrice Guerrino Leardini & Centro Missionario Francescano Società Chestertoniana Italiana, raccoglie 40 articoli su vari argomenti per la prima volta tradotti in italiano da Umberto Mesina. L’autore degli articoli è, manco a dirlo, Chesterton. Il titolo è “La Divina Poltrona e altre comodità”. Già la copertina disegnata da Lorenzo Zappalà promette bene: si nota l’Autore seduto sulla poltrona, cullata tra nuvole e angeli, con una pinta di birra e gli si approssima un cameriere che reca, sul vassoio, altri tre bicchieri di chiara. Come spiega Marco Sermarini nella Prefazione, Chesterton, convertito al cattolicesimo, era definito l’Aquinate del pub, con chiaro riferimento a San Tommaso d’Aquino o, meglio, il “l’Aquinate di Fleet Street, un fenomenologo del pub”. Pertanto:
“In queste pagine – si legge nella prefazione – Chesterton va al cuore di tante questioni, dall’educazione alla guerra, dalla lealtà all’eugenetica, ma ci va dritto dritto, parlandone con la profondità dell’Aquinate e la semplicità di una chiacchierata al pub”.