Numero 22/2016
31 Maggio 2016
Ab Inbev + SabMiller si farà, ma alle condizioni dettate da Bruxelles
La fusione tra Ab Inbev e SabMiller si farà, ma alle condizioni imposte dalla Commissione Europea: questo in sintesi quanto emerso dalle parole pronunciate la scorsa settimana dalla commissaria europea alla concorrenza Margrethe Vestager : “Dato che ogni anno gli europei acquistano birra per 125 miliardi di euro, un rialzo dei prezzi anche relativamente limitato può provocare un danno considerevole ai consumatori, per cui è molto importante assicurare che l’operazione non riduca la concorrenza sui mercati della birra in Europa”. Le preoccupazioni dell’antitrust europea sono legate alla nascita del più grande gruppo mondiale del settore, d’altro canto stiamo parlando rispettivamente della prima e della seconda multinazionale birraria al mondo e di un’operazione da 104 miliardi di dollari: a livello mondiale il gruppo, che vanta fra i suoi marchi colossi del calibro di Corona, Stella Artois e Budweiser, punta a vendere 2 volte la quantità di birra attuale e avrà profitti 4 volte più elevati di Heineken e 12 volte più elevati di Carlsberg. In Europa, invece, dove Heineken e Carlsberg sono ai vertici, l’operazione riunirà il terzo e il quarto produttore di birra per volume di produzione. Viste le forze messe in campo, è stato evidente fin da subito che il colosso nato da questa unione avrebbe raggiunto dimensioni non più controllabili, un gigante che arriverebbe ad operare in 25 stati, come proprietario di 140 marchi, ed a controllare il 21% di tutta la birra venduta nel mondo, lavorando in una condizione di quasi totale monopolio. Una situazione che non è sfuggita al controllo dell’antitrust europeo e che ha già spinto SabMiller a cedere alcuni dei suoi marchi, Peroni e Grolsch, ai giapponesi di Asahi. Mossa questa che però non sembra sia stata ritenuta sufficiente dalla Commissione europea, che ha rilanciato imponendo ulteriori rigide condizioni: Ab Inbev sarà costretta infatti a vendere tutte le attività birrarie di SabMiller in Europa: la polacca Tyskie, la romena Ursus e, soprattutto, la ceca Pilsner Urquell, dal punto di vista storico uno dei fiori all’occhiello di SabMiller perché prima birra lager della storia.
.
.
Qualsiasi sarà il futuro di Pilsner Urquell e degli altri marchi europei di SabMiller, è indubbio che l’imposizione della Commissione europea rappresenta una batosta non indifferente nei confronti di AB Inbev. Le mosse precauzionali della multinazionale dimostrano che lo scontro con le autorità europee era già stato messo in conto, ma sicuramente sarà risultata inaspettata una risposta così decisa da parte dell’antitrust. Non è da escludere che le cessioni obbligate richieste da Bruxelles cambino totalmente il valore della fusione ed è logico chiedersi se la mega acquisizione avanzata da AB Inbev porterà i vantaggi effettivamente previsti in partenza. La sensazione però è che questa scalata verso il “polo birrario unico” sia giunta ad un punto morto: è evidente infatti che la possibilità di concentrare più marchi sotto un solo dominus abbia raggiunto la sua soglia massima di sostenibilità, secondo i criteri della Commissione Europea. E se un colosso come AB Inbev non può più ragionare in termini di espansione, quali alternative ha a disposizione per il futuro? A questa domanda eminenti osservatori del mondo craft come Andrea Turco e Peter Shadbolt rispondono che le alternative in campo sono quelle di intensificare le acquisizioni nel mondo craft al fine di conquistare fette consistenti di un mercato giovane, in espansione e caratterizzato da un valore qualitativo medio elevatissimo. Una strategia che è già in atto da alcuni anni e non sembra destinata a fermarsi, basti pensare alla loro ultima acquisizione in ordine di tempo, della quale abbiamo già abbondantemente parlato: quella dell’italianissima Birra del Borgo di Leonardo di Vincenzo, che ha sollevato non poche critiche da parte di addetti ai lavori e semplici appassionati. Nonostante simili operazioni riguardino ormai il movimento brassicolo artigianale a livello globale, è il maturo mercato americano quello sul quale viene combattuta da tempo la battaglia più dura, una battaglia che vede AB Inbev accusata dal Dipartimento di Giustizia USA di operare in un regime di concorrenza sleale, a causa delle pressioni da essa esercitate sui distributori indipendenti statunitensi, al fine di interrompere i loro rapporti con i birrifici artigianali.
.
.
I dati esposti sempre da Shadbolt dimostrano che la birra craft statunitense ha ormai raggiunto una dimensione ragguardevole e che non rappresenta più la nicchia di qualche tempo fa, ed è facile dunque capire perché sta attirando le attenzione delle multinazionali, soprattutto di quelle, come AB Inbev, costrette a cambiare le proprie strategie nei prossimi anni per rispondere al calo delle vendite registrato, magari buttandosi verso mercati emergenti e in espansione come Africa e Asia nei quali, guarda caso, a farla da padrone è la catena di produzione e distribuzione targata SabMiller. In questi termini, probabilmente, può essere dunque spiegata la strategia messa in campo dal colosso belga: acquisire un diretto concorrente per sfruttare una posizione dominante di livello assoluto in grado di contrastare l’ascesa del mondo della birra craft. Se fosse questo il reale motivo dell’acquisizione, allora il tutto suonerebbe come una resa della GDO nei confronti dell’artigianalità, la quale non potendo contrastare l’emorragia di consumi nei mercati più evoluti, decide di investire in quelli meno strutturati dove i birrifici artigianali semplicemente non riescono ad arrivare.
E’ dunque evidente che all’orizzonte si stia preannunciando una vera e propria battaglia, non solo legale, tra multinazionali della birra e birrifici artigianali, che vede in campo schieramenti diversissimi fra loro per disponibilità economica e mole produttiva, al termine della quale soltanto l’apprezzamento dei consumatori, giudici supremi, potrà dichiararne il vincitore.