2 Marzo 2016
Birre al diserbante: la nostra inchiesta! – Prima parte –
Nei giorni scorsi sono rimbalzate su importanti testate giornalistiche, molti blog e pagine social di una moltitudine di appassionati birrofili di tutta Europa, notizie, dichiarazioni e comunicati relativi allo “scoop” della presenza di alti livelli di residui di pesticidi in molte birre tedesche.
Affrontare il tema, considerato il notevole impatto che può avere sull’opinione pubblica e sui consumatori, richiede attenzione, ragionevolezza e rigore scientificio. Ecco il motivo che ha visto www.giornaledellabirra.it in ritardo rispetto alla pubblicazione della notizia rispetto ad altri media più generalisti, ma questo ci ha consentito di approfondire la situazione, confrontare i dati riportati nello studio con le nostre conoscenze, la bibliografia scientifica, il mondo produttivo. Ma non solo, per essere esaustivi e prendere in considerazione le diverse fasi della produzione, nonché diversi punti di vista, anche in contradditorio, abbiamo deciso di dedicare una serie di articoli specifici e siamo assolutamente disponibili a raccogliere le argomentazioni di tutti coloro che vogliano esprimere una propria visione motivata (contattare la redazione: info@giornaledellabirra.it o l’autore massimoprandi@giornaledellabirra.it)
Innanzitutto, esaminiamo la “pietra dello scandalo”: lo studio, è stato condotto dall’Istituto per l’ambiente di Monaco, analizzando campioni commerciali di birra scelti tra le 14 marche più note in Germania.
La ricerca si è focalizzata sull’analisi di un principio attivo diserbante specifico, denominato glifosate o glifosato, il cui nome chimico è N-(fosfonometil)glicina. I livelli registrati oscillano fra 0,46 e 29,74 microgrammi per litro, nei casi più estremi quasi 300 volte superiori a 0,1 microgrammi per litro, che è il limite consentito dalla legge per l’acqua potabile. È bene però specificare che non esiste un limite legale definito per la birra.
Per comprendere meglio che cosa è il glifosate, in esclusiva per www.giornaledellabirra.it, l’intervista a Marco Malaspina, giovane imprenditore agricolo della Pianura Padana che da anni si dedica alla coltivazione dei cereali, tra cui orzo da birra.
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Marco Malaspina, imprenditore agricolo specializzato in cerealicoltura.
Marco, possiamo definirti un vero esperto di cereali e da qualche anno coltivi orzo da birra: raccontaci più dettagliatamente il tuo lavoro
Coltivare cereali è il mio lavoro da quando sono giovanissimo. Ho praticamente 20 anni di esperienza alle spalle e posso dire di aver visto evolvere l’agricoltura tra i vari e contrapposti sistemi di coltivazione che tutti conosciamo: se una quindicina di anni fa parlare di agricoltura biologica nel settore cerealicolo era da folli, oggi è una realtà consolidata. Attualmente, mi trovo così a condurre, per me ed altri clienti, campi di cereali coltivati secondo i dettami dell’agricoltura convenzionale, integrata e biologica. Dal 2008, inoltre, sono stato coinvolto in un bel progetto di coltivazione di orzi distici da birra, introdotti qui nell’alessandrino per un microbirrificio agricolo. È stato difficile, inizialmente, capire l’adattamento di queste varietà nel clima del “granaio d’Italia”, ma oggi riusciamo ad ottenere ottimi risultati.
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Prove sperimentali condotte da Marco per testare le caratteristiche di orzi da birra.
A cosa servono i diserbanti e cosa è il glifosate?
Il diserbo delle colture è una pratica indispensabile per ottenere validi risultati produttivi, in qualsiasi tipo di agricoltura. Si può realizzare in più modi, ad esempio prevenendo le infestanti con le rotazioni colturali, oppure con la lotta meccanica e ancora con il diserbo chimico. Si tratta di strategie diverse. Nell’agricoltura del passato si eccedeva con l’impiego dei prodotti chimici, oggi tutto è più razionale e regolamentato. Nell’agricoltura biologica e biodinamica, invece, il diserbo chimico non è ammesso.
In merito al glifosate, si tratta di uno dei prodotti chimici più impiegati nella lotta alle malerbe, grazie al suo ampio spettro di azione che lo rende molto efficace, alla capacità di seccare anche le radici e gli organi interrati, di determinare la morte anche dei tessuti non direttamente bagnati dal liquido di distribuzione grazie alla proprietà di traslocazione nei tessuti vegetali. Inoltre, è utilizzato da moltissimi anni, considerato che il brevetto industriale che lo tutelava è scaduto nel 2001.
La sua ampia diffusione, oltre ai costi ridotti, è legata al fatto che è stato commercializzato per lungo tempo in esclusiva da una grandissima multinazionale.
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Un appezzamento di orzo distico per malto da birra coltivato da Marco.
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Ma il glifosate è così pericoloso?
Noi operatori siamo tenuti a maneggiarlo con molta cura. È efficacissimo, quindi, dopo il trattamento tutti i vegetali dissecano. Ma sull’uomo non sembra essere così pericoloso. Infatti, l’erbicida è stato classificato come “probabile cancerogeno per l’uomo” dall’organismo internazionale Iarc (International Agency for Research on Cancer), mentre l’Istituto federale per la valutazione del rischio (Bfr) ritiene i che il glifosate non costituisca un rischio per la salute dei consumatori. Altro aspetto è che dopo il trattamento è necessario rispettare i tempi di carenza, cioè non si può raccogliere il prodotto se non superato un certo periodo di tempo e, in genere, questo principio attivo è usato in autunno o in primavera, quindi in un periodo lontano dalla mietitura.
Come giustifichi allora la presenza nel malto d’orzo?
La birra non è fatta solo di malto, quindi non escludo derivi da altri ingredienti. Nei paesi dove sono autorizzate le piante OGM, si impiegano dei mais tolleranti a questo erbicida, opportunamente modificati a livello genetico e che ne permettono l’impiego anche in presenza della coltura, quindi, questo potrebbe incrementarne i residui nella granella.
Nel caso dell’orzo, posso presupporre che nei paesi continentali, dove si semina in primavera, si possano verificare maturazioni tardive prossime ai temporali estivi che potrebbero danneggiare le spighe. Una soluzione, pessima ma coerente con i risultati dello studio, potrebbe essere di effettuare un trattamento sulla pianta, in modo da indurre un rapido dissecamento forzato e procedere alla raccolta in tempi più brevi. La stessa soluzione potrebbe essere attuata qualora si volesse piantare ancora una coltura estiva in successione, come ad esempio il mais, da cui deriva la necessità di liberare in anticipo i campi dall’orzo. Però, con l’applicazione di tale pratica non si rispetterebbero i tempi di carenza e viene facile comprendere gli alti tenori della sostanza chimica nella bevanda finita. Di certo, anche solo per ragioni di tipo climatico, questa pratica non avrebbe nessun senso in Italia. Posso garantire, per esperienza, che nessun agricoltore italiano si sognerebbe di fare una cosa simile. Tantopiù su una coltura a maturazione precoce nei nostri climi come è l’orzo.
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La trebbiatura dell’orzo da birra di Marco (2015).
Quindi l’orzo italiano è meglio?
Non per essere di parte, ma l’Italia è la patria dei cereali: al Sud i migliori frumenti duri, al centro ed al Nord ottimi frumenti da biscotti, ovunque grandissimi mais, tra cui quelli antichi, ricchi di elementi nutrizionali, nelle zone montane i cereali minori, rustici e resistenti, come avena e segale. L’orzo cresce bene in tutta la nostra penisola e, per esperienza, posso affermare che la Pianura Padana può essere considerata una zona di elezione per produrre degli ottimi orzi distici da malto per la produzione di birra davvero Made in Italy!
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L’orzo distico prodotto da Marco, pronto per la maltazione (2015).
… e se lo dice Marco, come non credergli?
Il nostro approfondimento continuerà affrontando altri aspetti di dettaglio nel corso di prossimi articoli.