Numero 29/2018
21 Luglio 2018
BERSERKER: Capitolo 21
Mancavano ancora un paio di giorni per terminare il viaggio di rientro.
Le razzie estive sarebbero continuate ancora per un mese ed i vichinghi avevano lasciato nel villaggio distrutto un avamposto che sarebbe servito come spola tra le loro terre e quelle del saccheggio.
Ma i vichinghi avevano razziato molto in quel singolo villaggio e le terre che si apprestavano ad esplorare erano sconosciute, come la gente che le abitava.
Era necessaria, allora, una tattica più sofisticata, rispetto alla mera fortuna ed al saccheggio irrazionale.
La creazione di un avamposto mobile, quindi, era la tattica che il Re reputava vincente.
Eccezion fatta per un piccolo drappello di una cinquantina di soldati esperti, tutti gli altri vichinghi erano partiti verso lidi più confortevoli, verso casa, per depositare i frutti del ricco saccheggio… per mettere al sicuro i tesori accumulati.
Ed il viaggio era quasi concluso.
Okir era deciso a giungere a casa, scolarsi una quantità di birra pari al proprio peso, approfittare delle umide recondidità di qualche schiava ed in seguito avrebbe dato dimora ai funghi magici, affidandone la cura al vecchio.
I patti sarebbero stati chiari: se i funghi non avessero attecchito, a pagare il prezzo più alto sarebbe stata la ragazza, l’altra schiava di sua proprietà.
Quella sera Thor aveva deciso di mostrarsi ai guerrieri, battendo violentemente il proprio martello divino sulla volta celeste.
I fulmini illuminavano a giorno la nottata buia e nuvolosa, a sprazzi intermittenti, alternandosi con i tuoni, la vera e poderosa manifestazione del Virile Dio.
La pioggia iniziò a cadere dal cielo, dapprima fu una gradevole spruzzatina ma, in breve tempo, divenne un nubifragio.
Le onde divennero cavalloni che le navi difficilmente avrebbero retto a lungo.
Che Thor fosse contrariato dalla strategia adottata?
Che il Dio stesse tentando di comunicare al suo popolo che doveva tornare indietro e continuare le razzie?
Okir si reggeva all’albero maestro, in centro alla barca.
Stava lì, impettito, a scrutare l’orizzonte nebuloso.
A lui, quel clima così avverso, piaceva.
Perfino il rischio reale di morire in mare, quella sensazione adrenalinica…
Lui adorava tutto questo!
Viveva nel costante intento di glorificare gli Dei, per potersi guadagnare un posto nel Walhalla.
Quale modo migliore ci sarebbe stato se non quello di morire per mano di un nemico più forte ed agguerrito, oppure ucciso da una tempesta, chiaro segnale che Thor stesso chiamava a sé i suoi valenti guerrieri?
Era lì, impassibile, il vento e l’acqua salmastra sferzavano il suo volto.
Con la coda dell’occhio intravvide un movimento alle sue spalle.
Fu poco più che un’ombra, come una percezione.
Una specie di sensazione… mistica.
Si voltò lentamente, convinto di intravvedere, alle sue spalle, il volto di Odino che lo chiamava a sé.
Se era veramente un messaggio, un preludio alla sua morte, come mai il suo corpo si era irrigidito?
No, non poteva essere!
Aveva…
Aveva paura di morire!
Quando il suo volto fu completamente girato, vide la realtà dei fatti: un guerriero, un vichingo imponente si stava precipitando su di lui.
Un lampo illuminò il suo aggressore.
Era il Vaccaro che, con furia cieca, si stava scagliando su di lui!
«Muori, Okir! Te lo avevo detto che me l’avresti pagata!»
Le possenti braccia del Vaccaro stavano per cingergli la gola ma, Okir, fulmineo come il Dio Thor, scartò a lato, abbracciando l’albero maestro per darsi meglio la spinta.
Fece leva su di esso e sferrò un calcio con tutte e due le gambe sul petto del nemico.
Il Vaccaro subì il colpo, indietreggiando nel vano tentativo di restare in equilibrio.
Il guerriero riuscì a riacquistare l’equilibrio ma il dio Thor, con ogni probabilità, non aveva gradito il gesto vile del Vaccaro.
Un’onda di immani dimensioni colpì lo scafo che rollò e si inclinò a lato.
Il Vaccaro precipitò in mare.
In un nonnulla l’uomo sparì, inghiottito dai flutti del mare del Nord.