Numero 33/2018
18 Agosto 2018
BERSERKER: Capitolo 25
L’assemblea rideva sguaiatamente alla battuta sessista del Conte.
In fondo…
Beh, quella graziosa fanciulla…
Quella fanciulla non era nient’altro che una schiava!
E come tale andava trattata!
Nessuno avrebbe pianto per la sua, eventuale, scomparsa prematura.
l’unica remora che i più avrebbero avuto, sarebbe stata quella di non aver approfittato di un così delicato fiore prima che la Triste Mietitrice la portasse via da questo mondo.
Non vi era pietà nel mondo dei vichinghi.
Gli schiavi erano schiavi.
Gli schiavi erano l’ultimo gradino della società.
Erano oggetti, cose dal valore infimo!
Valeva di più un pollo o una capra, rispetto ad uno schiavo.
Anche per Okir valevano quei principi, beninteso!
Lui era un guerriero, era un Vichingo!
Cresciuto in una società guerriera, quelli erano per lui valori sacri!
Come, d’altro canto, la Parola data.
“Un Vichingo non è mai uno Spergiuro!”
questo era stato uno dei capisaldi dell’insegnamento ricevuto da suo Padre.
E lui, Uomo tutto d’un pezzo, non avrebbe mai e poi mai infranto un giuramento!
Era una questione d’Onore!
E poi, se lo avesse fatto, una volta che fosse passato a Miglior Vita, come lo avrebbe giudicato il Potente Odino?
No, non poteva rischiare di non entrare nel Walhalla!
E lui, sapendo dell’indole perversa del suo Conte, aveva giocato d’astuzia.
A breve avrebbe capito se la sua tattica si sarebbe rivelata vincente o meno!
«Mio Conte… non vorrei mancare di rispetto… ma…»
L’assemblea smise di sghignazzare e si raggelò.
Okir era forse divenuto pazzo?
Che le ferite riportate in battaglia lo avessero reso febbricitante e folle?
«Vuoi forse privarmi del mio giusto compenso? Di chi erano le navi? E le armi che hai utilizzato per abbattere i nemici e per fare razzia? Rispondi, avanti!»
«Tue, mio Conte!»
«E quindi? Sei veramente convinto di non dovermi nulla?»
«Mio Conte, io vi devo molto ed ho intenzione di pagare! Se mi è concesso parlare liberamente, vorrei chiarire la situazione!»
«Non…» questa volta fu il Conte ad essere interrotto dal Re che, con un solo cenno della mano, zitti il Signorotto locale.
«Mio Signore, era ed è mia intenzione offrirti la restante parte del bottino in preziosi, fatta salva una piccola quota rappresentata da due collane e da un bracciale d’oro. Questa, per me, è la quota equa che dovrei versarti. Il Re ha accettato la mia offerta e tu, in quanto Conte e suo suddito, hai diritto ad una parte delle ricchezze, ci mancherebbe altro! Ma proprio perché suo suddito, non credi di aver diritto ad un corrispettivo di valore inferiore?»
Il Re si voltò verso il Conte, le sopracciglia corrucciate.
Il conte era in scacco.
«Certo, ovviamente!» rispose il Conte in tono melense.
«Ed allora, ritengo che: se il Re ha accettato l’offerta che gli ho fatto, tu possa ritenerti soddisfatto da quella che ho fatto a te. La bellezza di questa schiava è innegabile, lo possiamo apprezzare tutti! Per me lei vale quasi la totalità delle offerte che ho fatto a voi, mentre con il vecchio sono in perdita. Quindi… come potrei donarti un bene che, per me, supera di gran lunga il corrispettivo che ho proposto al nostro Re e che lui stesso ha già accettato?»
Il Conte dovette piegarsi all’evidenza.
Okir lo aveva messo alle strette con un colpo da Maestro.
Il nobile accettò l’offerta di Okir.
Uno sguardo carico d’odio e di voglia di vendetta scortò Okir verso l’ uscita della sala Grande.