Numero 49/2018
8 Dicembre 2018
BERSERKER: Capitolo 41
Erano trascorse altre tre settimane.
Un corvo messaggero era atterrato, quella mattina, dinnanzi alla piccola finestra di vetro della casa di Okir.
Il Vichingo, che fortunatamente si poteva reggere in piedi senza troppo sforzo, aprì quello spioncino affacciato sul mondo esterno.
Quel corvo, nero, dalle dimensioni ragguardevoli, gracchiò, come a salutarlo.
Col becco eseguì l’ordine per cui era stato addestrato.
Si grattò la zampa e, a quel punto, Okir comprese che il nero messaggero non recava novelle Divine, da parte del Potente Odino; esso era un messo del Re.
“Certo, non è come ricevere un messaggio dal Padre degli Dei, ma va bene anche così!” , pensò.
Il corvo lasciò che l’uomo gli toccasse la zampa, onde levargli il messaggio scritto su una striscia di pelle di vacca legato ad essa.
Lui stesso, nutrì il volatile che, in seguito, depose in una gabbia abbastanza grande da contenerlo.
Lesse, sottovoce, il messaggio che sembrava scritto di suo pugno dal Sovrano stesso.
I vichinghi avevano un metodo di scrittura molto semplice e, per lo più, si narravano tradizioni e leggende per via orale.
Alcuni simboli, alcune Rune, però, esistevano nel loro alfabeto.
Non possedevano un significato reale, standardizzato.
Ma i vari guerrieri, mettendosi d’accordo, sapevano da chi giungeva il messaggio e che cosa stavano a significare.
La pelle di vacca che il corvo aveva recato con sé, portava, incisi su di essa, due rune: una raffigurante una corona ed una era un uomo stilizzato che sembrava essere intento a correre su di un sentiero.
Erano disegni elementari, quasi come quelli che fanno i bambini.
Okir sapeva benissimo che cosa significavano.
Il Re aveva inviato un messo, questa volta umano, per portargli un messaggio.
Quel codice lo avevano concordato quando, dopo aver ucciso Segovax, il Re aveva commissionato ad Okir il gran numero di botti di tonico di birra.
Il vichingo sapeva che, di lì a pochi giorni, un umano, uno schiavo, sarebbe giunto fino a casa sua per “narrargli” il messaggio del Sovrano.
Sapeva altrettanto bene, come da accordi, che da quel momento, fino a quando non fosse giunto il messo, non avrebbe potuto lasciare la sua dimora, in modo da far sì che lo schiavo, una volta giunto, lo trovasse subito.
Il tutto per evitare che, magari per invidia, il Conte, che non aveva digerito per nulla l’intraprendenza di Okir, catturasse lo schiavo, costringendolo a svelare il segreto che portava con sé.
Il re, ma soprattutto Okir, non potevano permetterselo!
Il giovane era lì, pronto o quasi, per afferrare il “Potere”…
No, non avrebbe consentito ad un vecchio egoista di soffiargli lo scettro e di ucciderlo come un verme!
«Padrone… sembri pensieroso!»
«Tutto bene, cara…» Ormai, Okir, chiamava la sua schiava con vezzeggiativi dolci, quasi come se non vi fosse più il vincolo di possesso tra i due.
Eppure, nonostante tutto, anche per scelta del guerriero, non era successo ancora nulla tra i due.
Non un bacio appassionato…
Non una mano scivolata laddove non era “cortese” tra persone libere…
Niente sesso…
Okir non la obbligava in nulla, sotto questo profilo!
«Sembri comunque pensieroso…» Lai, dal canto suo, non si comportava propriamente da schiava… si comportava come una donna libera, quasi come una sposa devota…
I due condividevano, ciò era innegabile, un rapporto strano, assolutamente anomalo!
«Presto avremo ospiti. Vai a comperare del cibo e del vino…»