Numero 02/2019
12 Gennaio 2019
BERSERKER: Capitolo 46
Con fare scocciato, Okir afferrò il corpo esangue del nemico e, con una semplicità quasi disarmante, si caricò sulle spalle il cadavere dell’aggressore.
Incurante delle conseguenze legali, non ultima l’eventuale condanna alla pena di morte per omicidio, lanciò il cadavere a fianco di quelli dei suoi compari.
Rientrò nella propria dimora.
Si sedette su di una stuoia; essa ricopriva un cumulo di fieno a mo’di poltrona.
Fece un cenno agli schiavi, giacché il dono della parola non era ancora tornato.
Essi, quasi complici, capirono il gesto convulso e stizzito del padrone: dovevano preparare qualcosa da mangiare per tutti.
Quasi incapace di rilassarsi, come eccitato da un’eccessiva scarica di adrenalina, il vichingo si alzò in piedi ed andò ad afferrare una brocca di terracotta.
Uscì nel proprio giardino e si diresse al pozzo di proprietà.
Tirò su un secchio di acqua colmo vi immerse la brocca fino a riempirla a sua volta.
La posò a lato e poi, in un modo barbaro, trangugiò avidamente il trasparente e vitale fluido dal grezzo secchio di doghe di legno.
Versò una buona parte del liquido a terra, incurante di bagnarsi e delle rigide temperature.
Giunto circa a metà del secchio, tra quello che aveva bevuto ed il resto che si era versato sul petto e sulle gambe, sollevò il contenitore sopra al proprio capo e lo rovesciò.
Il fragore della doccia gelida si sentì fin dentro la dimora.
Il vichingo ululò, più per il freddo pungente, che per il sollievo.
Restò qualche minuto fuori, al freddo, bagnato come un pulcino e con il gelido vento sferzante da Nord che lambiva la sue membra.
In pochi minuti iniziò a tremare.
Non sapeva come e perché, ma quel gesto inconsulto, quella doccia gelata in pieno inverno, gli fece bene.
Sentiva che, relativamente velocemente, stava riacquistando le sue facoltà cognitive e comunicative…
Più tremava, più il cervello perdeva l’influsso, sia in positivo, sia in negativo, del tonico alla droga.
Dopo cinque minuti, conscio che le sue labbra erano ormai divenute cianotiche, testò la sua ritrovata lucidità:
«Per gli Dei, che freddo!»
Si rese conto che aveva pronunciato le parole che aveva immaginato di dire.
«Perfetto!» disse, precipitandosi in casa a scaldarsi vicino al fuoco.
Gli schiavi lo guardavano, incapaci di capire che cosa passasse nella mente del loro padrone.
«Ottimo,»esordì Okir, rivolto al vecchio «l’effetto del tonico svanisce con i normali metodi post-sbornia!»
Ci fu un attimo di silenzio totale, quasi irreale.
I tre scoppiarono in una fragorosa risata.
Forse per il rumore o forse perché si sentiva ormai al sicuro, per via del fatto che perfino da incosciente il cervello umano è in grado di assimilare informazioni dal mondo esterno, il messo si svegliò.
Dapprima intontito.
In pochi minuti, dopo aver bevuto dell’acqua, quella che Okir aveva versato nella brocca poco prima, l’uomo riacquistò lucidità.
«Finalmente ti sei svegliato!» disse il Padrone di Casa.
«Grazie per avermi salvato!»
«Chi sei?»
«Sei Okir Valnesson?»
«Chi lo vuole sapere?»
«Ti prego, rispondi alla domanda…»
«Sì, Okir sono io… ma il mio cognome è Vulkensson, sicuro di cercare me?»
«Perdonami, Okir. Hai superato la prova! Dovevo essere sicuro che fossi tu! Ti porto un messaggio del Re!»