Numero 41/2018
11 Ottobre 2018
Italia: terra di santi, poeti, navigatori e critici eno-birro-gastronomici!
Vivendo in un’area culturalmente molto fertile dal punto di vista culinario, siamo cresciuti nel “calderone della Qualità alimentare” e, volenti o nolenti, abbiamo appreso per osmosi molte informazioni riguardo i nostri prodotti più rinomati.
Tuttavia, nel piccolo delle nostre Tavole, tendiamo ed abbinare tra loro cibi e bevande più per convenzioni ormai consolidate che per correttezza tecnica. Infatti, non tutti hanno le conoscenze necessarie per accostare piatti e vini nel miglior modo possibile, né la pretesa di saperlo o doverlo fare necessariamente.
Insomma, la boccia di Grillo e la bottarga sulle linguine allo scoglio presenziano talvolta alle nostre cene, ma non è detto che l’accostamento sia un successo clamoroso dal punto di vista sensoriale.
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Pensando ad un abbinamento, il rischio che corriamo spesso è quello di generalizzare, dando per scontato che un certo vino sia sempre giusto per un determinato piatto.
Un accostamento sicuramente radicato, ma molto generico, è quello che porta ad abbinare una carne e un vino qualsiasi in base alla cromia dell’una e dell’altro, senza pensare troppo al tipo di animale, al taglio o alle caratteristiche del fermentato di Bacco.
Per esempio, perché il vino rosso è universalmente considerato idoneo ad accompagnare succulente carni grigliate dello stesso colore?
La motivazione non risiede nel colore simile in sé, ma in questo caso è prassi di settore ricondurre il successo del connubio a tannini e lipidi.
I tannini del vino rosso, come quelli che talvolta compaiono in birre particolarmente astringenti, “asciugano” la bocca dopo il sorso. Alimenti grassi come le carni rosse, provocando una salivazione spinta dopo il morso, mitigano la secchezza provocata dalla parte tannica del sorso.
Tuttavia, non tutte le carni rosse sono grasse, non tutte le carni bianche sono magre, non tutti i vini rossi sono così tannici e non tutti i vini bianchi non lo sono (almeno storicamente).
Indubbiamente, dato che l’abbinamento riscuote un buon successo da secoli, non è di certo errato a priori, ma non è neanche così scontato e inattaccabile nella totalità dei casi.
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In fin dei conti, il pensare ad un accostamento cromatico di piatti e bevande può sicuramente essere istintivo e immediato, ma è sicuramente da prendere con le pinze dal punto di vista tecnico.
Lo stesso ragionamento sull’abbinamento “per cromia” vale per birre ambrate o scure e alimenti cotti dal colore simile, giusto?
Be’, non proprio.
Se parlando di vini e piatti, la sfumatura cromatica degli uni e degli altri deriva da molecole ben diverse e non associabili (per esempio i polifenoli nel vino rosso e la mioglobina nella carne al sangue), nell’abbinamento di birre e cibo, per quanto riguarda i composti che sono responsabili di colore (e sapore), non è così.
Tenendo presente che un accostamento andrebbe sempre testato preventivamente, date le moltissime variabili in gioco, possiamo asserire tuttavia che pensare istintivamente di abbinare una birra ed un piatto “colorati” (ad esempio una Märzen bavarese e una costata alla griglia) spesso non sia giusto solo dal punto di vista visivo, istintivo e cromatico, ma anche dal lato tecnico.
A livello biochimico infatti, birre brassate a partire da malti essiccati e/o tostati a temperature più elevate (o birre che hanno subìto una lunga bollitura) contengono lo stesso tipo di molecole di una bistecca o un prodotto da forno cucinato con una vigoria termica di intensità paragonabile. I composti deputati a colori e sapori simili, sia nelle birre che nel cibo, sono prodotte durante la Reazione di Maillard, ben nota agli addetti al settore, siano essi birrai, pasticceri o esperti grigliatori di costate.
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La cromia, unita al sapore “di cotto”, crescendo proporzionalmente di intensità in base all’entità del trattamento termico, istintivamente ci porta ad abbinare, per esempio, Pils a cibi più chiari e non certamente arrostiti, e Stout a piatti più tostati.
In questo caso, il colore non è una motivazione tangenziale (o culturale) all’abbinamento, ma (grazie alla Reazione di Maillard) è la Condicio sine qua non del tono cromatico, e di conseguenza del sapore di birra e piatto.
Quindi l’abbinamento cromatico “per assonanza” spesso rende più facile di quello che crediamo pensare ad una base per accostare stili birrari e piatti di colore noto ed avvicinarci più velocemente alla formulazione di un corretto connubio di birra e cibo.
Questo in conclusione può condurre un neofita che si introduce nel mondo dell’abbinamento gastronomico di diversi piatti e stili birrari ad un vantaggio di base non da poco, rispetto al consumatore di vino allo stesso livello.
In ogni caso non dimentichiamoci che prima di servire una Baltic Porter con un gelato alla liquirizia e al limone sia sempre d’obbligo testare l’accostamento.
Anche se per iniziare ad organizzare il matrimonio di birre e cibi (cotti) le “basi cromatiche” sono più solide, per progredire nel mondo dell’abbinamento occorre tenere presente numerosi fattori come l’intensità gustativa, il dolce-amaro, l’umami, l’acido, l’aroma del luppolo e i prodotti secondari di fermentazione, sempre e comunque.