Numero 31/2021
2 Agosto 2021
Ad Assisi, tappa consigliata a Birra dell’Eremo!
Per un appassionato di birra artigianale, passare da Assisi senza fermarsi a Birra dell’Eremo (e, più in generale, passare da un luogo in cui ha sede un birrificio degno di nota senza fermarsi) è eresia: e così, pur con i tempi stretti (dato che avevo ancora parecchia strada davanti prima di giungere a destinazione) ho fatto sosta al birrificio. Sono stata accolta con calore da Geltrude Salvatori Franchi, che già vi avevamo presentato in questo articolo, e che mi ha condotta in una veloce visita del birrificio: una realtà in crescita, dalla produzione attuale di circa 4500 hl – l’impianto è da 15hl, utilizzato in doppia cotta – e dei cui risultati ai concorsi si ha la percezione osservando le targhe dei premi ricevuti, che occupano un’intera parete.
Sono poi naturalmente passata a farmi illustrare e degustare le birre. La prima cosa che salta all’occhio è la netta differenza, sia a livello visivo – mi riferisco quindi a packaging e grafica – che di tipologie birrarie tra la linea classica in bottiglia e quelle “innovative” (la “Yes we cans” e la “Blind-Creativity Lab”) in lattina: se le prime rimangono infatti all’interno degli stili canonici – cito tra le tante la Golden Ale Nobile, la Tripel Fuoco, e la American Ipa Fiera – le altre annoverano diciture come “DDH Pale Ale”, “Earl Grey Lager”, “DDH Dipa”, “Oat Cream DDH Ipa” e “Colbrew Coffee Imperial Stout”. Un estro creativo del birraio che appare davvero esuberante. Va peraltro precisato che classificazioni tanto bizzarre non devono trarre in inganno rispetto a quella che è la filosofia del birrificio, esplicitata anche da Geltrude: ossia fare birre che nel loro complesso siano equilibrate e bevibili, pur nella complessità dei loro elementi costitutivi – a livello sia organolettico che di materie prime.
Ho iniziato con quella che mi ha incuriosita di più, la Eterea: una lager chiara con tè earl grey in dry hopping. Contrariamente a quanto si potrebbe credere, il tè si fa in realtà sentire in maniera più peculiare in chiusura che in aroma. Al naso continua infatti a rimanere riconoscibile come lager chiara, con i tipici profumi di cereale, a cui il tè fa da corona così come in altri casi lo farebbe la luppolatura; accompagnando poi sempre con delicatezza la bevuta snella fino a diventare più robusto in chiusura, quando peraltro si amalgama in maniera interessante con l’amaricatura finale – senza particolari persistenze, come si addice ad una birra di questo tipo.
Su altri toni la Madu, una sour al frutto della passione: decisamente abbordabile anche per chi non ama l’acido, dato che a fare da padrone sia al naso che al palato è la frutta – mentre l’acidità della birra appare come naturalmente integrata in quella naturale del frutto della passione, senza risultare pungente. Da segnalare l’utilizzo di un lievito cosiddetto “non convenzionale”, il Kluyveromyces thermotolerans, che produce acido lattico durante la fermentazione primaria.
La terza che ho degustato è stata la The Scientist, una Sour New Ingland Ipa con avena maltata e frumento – anche qui con utilizzo del Kluyveromyces thermotolerans. Impenetrabile nel suo color aranciato come si conviene ad una Neipa, aromi fruttati tropicali – io ho percepito soprattutto l’uva spina, ma si notano anche mango, papaya e ananas. Al palato arriva più la componente citrica, tra il pompelmo e il lime, che contribuisce alla freschezza e alla scorrevolezza di una birra dal corpo di fatto non esile – il cereale è comunque ben presente, in tutta la sua rotondità. Finale che ritorna sull’acido fruttato, che se in prima battuta può far pensare ad un ritorno al dolce, in realtà chiude invece su un amaro agrumato dai toni acri – per quanto non invasivi.
Come accennavo prima, il repertorio di Birra dell’Eremo è vasto, e queste sono solo tre tra le tante; ulteriori informazioni sono disponibili su www.birradelleremo.it