Numero 45/2020
4 Novembre 2020
Mai ordinare una birra piccola!
Quante volte abbiamo visto la scritta ”La birra piccola è immorale”, con tanto di insegna al neon ad intermittenza dietro al bancone. Oppure altre frasi che risvegliavano in noi, la parte rettiliana del cervello, istigandoci al consumo, di quel nettare pagano, servito in un bicchiere da uomo vero? Beh, con me funziona. Ma se vi dicessi che tutto questo, potrebbe avere anche una veridicità fondata sulla scienza?
Tutto successe, verso fine dell’Ottocento, nella città di Dublino, Irlanda. Quando il più grande birrifici o dell’epoca, fondato nel 1759e divenuto famoso in tutto il mondo, grazie aduna “Stout rosso rubino, ad alta fermentazione”, riuscì nell’impresa commerciale tra il 1887e il 1914, di raddoppiare la sua produzione, raggiungendo il traguardo, del miliardo di pinte di birra all’anno (consiglierei il libro di Terry Foster “Brewing Porters and Stouts”). Sembrò lapalissianoper i dirigenti, focalizzare l’attenzione, sulla qualità prodotto, controllando accuratamente, le materie prime utilizzate, i costi di produzione, lo stoccaggio, il trasporto ecc. ecc. avendo però sempre come obbiettivo finale, la soddisfazione completa del consumatore.
Per raggiungere questo obbiettivo, la proprietà del birrificio iniziò ad assumere giovani talenti, con menti brillanti ed innovative, come Thomas Bennet Case, promettente birraio assunto nel 1893, ed il chimico-statistico William Sealy Gosset, entrato in forza al birrificio, subito dopo aver conseguito la laurea, nel 1899.
Ben presto il giovane birraio Case, si trovò alle prese con alcuni problemucci, legati alla costante qualitativa del luppolo che arrivava dal Kent Britannico, con le sue resine “morbide”, che variavano dal 8,1% al 8,4%, su notevoli quantitativi che sfioravano le 2200 tonnellate. Ovviamente questo era solo uno dei fattori che potevano incidere sulla qualità della birra. Trovandosi davanti a tutti questi grattacapi, Thomas B. Case, confidando sugli studi matematici, conseguiti ad Oxford, chiese aiuto al neoassunto Gosset.
Con la sua fervida immaginazione William S. Gosset, ebbe un approccio completamente diverso ed innovativo per la risoluzione di quei dilemmi qualitativi, cercando di elaborare una “legge degli errori”, basandosi matematicamente, sulla quantità e la dimensione del campione in esame, ponendo di fatto la pietra miliare, degli studi sulla statistica, ancor oggi utilizzati nei libri di testo.
Sviluppando e perfezionando, negli anni le sue teorie, e trovando un largo impiego in campo industriale, Gosset sentiva l’esigenza di rendere pubbliche le sue scoperte, ma potete ben capire che il birrificio “World Record”, era abbastanza restio, nel condividere con i competitor, un’innovazione così impattante sulla costante qualitativa dei prodotti.
Così per evitare un possibile spionaggio industriale parallelo, trovarono un accordo con il ricercatore, dandogli come condizioni imprescindibili, di non utilizzare mai il nome del birrificio, e di non usare mai il suo nome. Nacque così lo pseudonimo di “Student”, con il suo lavoro noto come la “distribuzione T di Student”.Un metodo statistico, composto principalmente da derivazioni matematiche chiamato “THE PROBABLE ERROR OF A MEAN”, aggiungerei BEER.
Per chi volesse scialacquarsi, le varie tabelle e calcoli statistico-matematici, scoprirà che l’intervallo e la misura, usati inizialmente da William S. Gosset, nei campioni di birra per determinarne la qualità, era uno 0,5.
Nel settembre del 1937 “Student”, fu promosso a “Capo birraio, Chief Brewer” di Guinness. La sfiga fu, che morì un mese dopo di attacco cardiaco all’età di 61 anni.
Ovviamente questo mio gioco storico-goliardico ha come scopo finale, il bere moderato e responsabile, per il mantenimento della patente. Ma soprattutto per la nostra incolumità sulle strade, perché ricordiamoci: “la birra migliore è sempre quella che berremo domani”.