Numero 04/2021
30 Gennaio 2021
La “new wave” londinese: Redchurch Brewery
Tratto da La birra nel mondo, Volume IV, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Redchurch
(Redchurch Brewery) Londra/Inghilterra
Il nome è quello della Redchurch Street, nei cui pressi risiedono i fondatori, Gary Ward e Tracey Cleland.
Tutto cominciò nel 2011, allorquando l’homebrewer Gary Ward realizzò una ricetta presso la succursale di Bethnal Green Road della Mason & Taylor.
L’anno dopo fu inaugurato il birrificio proprio, sotto le solite arcate della linea ferroviaria (lungo la Poyser Street), tra i tanti microbirrifici della “new wave” londinese.
Infine, nel 2013, vide la luce, al piano superiore, anche un piccolo bar che serve, insieme, le birre della Redchurch e di altri produttori ospiti.
La gamma tradizionale anglosassone annovera qualche versione double/imperial di stout e IPA. Una puntatina in Germania ci regala alcune berliner weisse; tante soste in terra belga invece ispirano diverse saison e un’infinità di sour/wild ale.
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Redchurch Bethnal Pale Ale, american pale ale di colore oro con riflessi aranciati e dall’aspetto a malapena nebuloso (g.a. 5,5%); la prima birra commercializzata. Il nome si riferisce alla Bethnal Green Road, fermata della metropolitana Central Line, non lontana dal birrificio. Abbondantemente luppolizzata con Columbus, Nugget e Cascade, risulta sicuramente più agrumata e più secca rispetto allo stile d’ispirazione. Con una carbonazione media, la spuma biancastra, minuta e soffice, mostra buona durata e aderenza. L’aroma, molto pronunciato, a tratti pungente, si libera con freschi e puliti sentori floreali e vegetali, di resina e pino, di agrumi e frutta tropicale. Il corpo medio tende al leggero, in una tessitura alquanto cremosa. Il gusto, all’imboccatura abbastanza dolce di malto e caramello, scivola presto in una consistenza di frutta tropicale, lentamente fagocitata da un amarore agrumato elegante e persistente. Nel finale, un’aspra secchezza detergente spiana la strada alle non molto lunghe, ma incisive, suggestioni di resina astringente e luppolo piccante.
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Redchurch Great Eastern IPA, india pale ale di colore dorato con riflessi arancio e dall’aspetto velato (g.a. 7,4%); con abbondante ed esclusivo utilizzo dei luppoli americani Chinook, Columbus e Nugget. Con una carbonazione da bassa a media, la spuma bianchiccia si alza abbondante, minuta, cremosa e di eccellente durata. L’olfatto è intenso, fresco, pulito, coi suoi eleganti profumi di frutta tropicale che fanno man mano spazio a sentori di erbe, agrumi, fieno, malto biscotto. Il corpo medio si propone in una consistenza leggermente oleosa, comunque abbastanza scorrevole. Il gusto risulta moderatamente dolce, mediamente amaro e lievemente acido, grazie all’ottima combinazione del cereale, a impegnarsi nella base, e del rampicante, dalle note resinose, di scorza di pompelmo, anche un tantino pepate. Il finale indugia il tempo di ripulire il palato con una secchezza quasi ruvida. Il retrolfatto si dilunga invece abbastanza in sensazioni resinose avvolte nei fumi dell’alcol che finalmente si è deciso a venire allo scoperto.
Redchurch Old Ford Export Stout, foreign extra stout di colore marrone molto scuro, quasi nero, e dall’aspetto impenetrabile (g.a. 7,5%); disponibile alla spina, in bottiglia e in barilotto. Presentata come la prima di una serie di “edizioni speciali”, è in vendita solamente tramite il negozio on line del birrificio e in alcuni bar e ristoranti selezionati. Con una carbonazione molto bassa, la schiuma nocciola si presenta ricca, minuta, cremosa e di buona allacciatura al vetro. Sorprendentemente, l’aroma non è certo quello della stout: esalano soltanto, e abbastanza intensi, persistenti, profumi di agrumi, erbe, pino, bacche di ginepro, luppolo terroso e speziato. Il corpo, da medio a pieno, ha una consistenza leggermente oleosa e alquanto untuosa. Fortunatamente, nel gusto la musica cambia: sì, l’imbocco è sempre impresso da un luppolo agrumato; ma, subito dopo, cominciano a snodarsi morbide note di orzo torrefatto, caffè, prugna secca, cioccolato amaro, liquirizia, ribes nero. Prima poi che si chiuda la lunga e concitata corsa, riemerge un luppolo resinoso che cede quasi subito il posto alla lieve acidità del caffè. Nel finale si sbizzarrisce l’alcol, a scaldare e ingentilire le impressioni amare di cacao, tostature, fondi di caffè. Il retrolfatto appare piuttosto “stanco”, nei suoi aspri richiami di luppolo erbaceo.