Numero 17/2019
27 Aprile 2019
Un sorso dagli UK: Marston’s
Tratto da La birra nel mondo, Volume III, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Nel 1834, presso la fabbrica di birra Horninglow, a Burton upon Trent, John Marston fondò la J. Marston & Son che, nel 1890, fu registrata come società a responsabilità limitata.
Nel 1898 Marston si amalgamò con John Thompson & Son e si trasferì a Albion Brewerym in Shobnall Road, dove tuttora opera. Fu in quel tempo che iniziò a essere utilizzato il sistema Burton Union.
Nel 1905, dalla fusione con Sydney Evershed, nacque la Marston, Thompson e Evershed.
Nel 1875 un certo signor Banks fondò la Park Brewery, sulla Chapel Ash Street di Wolver-hampton (West Midlands), sul sito di un pozzo artesiano. Amante della bella vita, Banks finì pieno di debiti, in particolare con George Thompson, commerciante all’ingrosso di malto e proprietario della fabbrica di birra Dudley & Victoria, nei pressi della città di Dudley. Quando Banks scomparve all’improvviso, Thompson, che gli aveva accordato un credito illimitato garantito dall’azienda, poté facilmente appropriarsi di essa. E, fondendosi con la Fox Brewery di Charles Colonel Smith, di Wolverhampton, costituì, nel 1890, la società Wolverhampton & Dudley Breweries (popolarmente nota come Wolves e diventata pubblica lo stesso anno), con sede a Wolverhampton appunto.
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Tra il 1909 e il 1928 i Volves si “buttarono” nell’acquisto di altri birrifici, tra cui North Worcestershire Breweries, John Robinson & Sons, Kidderminster Brewery, Robert Allen Brewery.
Nel 1942 rilevarono la Julia Hanson & Sons, produttrice della famosa birra Hanson e proprietaria di 200 pub. Nel 1947 avvenne per la prima volta la quotazione alla borsa di Londra. Seguì l’acquisizione, nel 1960, della Broadway Brewery. Acquisti tesi a far crescere il numero dei pub, dal momento che questi, prima degli anni Novanta, tendevano a essere di proprietà dei birrifici e dedicati ai loro marchi.
Nel 1992 i Volves acquisirono la Camerons Brewery di Hartlepool per venderla, nel 2002, a Castle Eden, pur mantenendo alcuni dei suoi pub vincolati.
Nel 1999 rilevarono Marston, Thompson e Evershed. Nello stesso anno acquisirono anche la Mansfield Brewery, nel Nottinghamshire, la chiusero e trasferirono la sua produzione alla Park Brewery. Nel 2005 il birrificio di Marston rilevò la produzione su licenza di Interbrew di Draft Bass, succedendo a Coors.
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Proseguendo negli acquisti, sempre nel 2005, Wolverhampton e Dudley Breweries rilevarono la Jennings Brewery di Cockermouth e, nel 2007, la Ringwood Brewery, con sede nell’Hampshire.
Ancora nel 2007, Wolverhampton e Dudley Breweries cambiarono il nome in Marston’s.
Nel 2008 la società acquistò Ryland Thompson insieme alla sua controllata, Refresh, che comprendeva la birreria Wychwood dell’Oxfordshire, famosa per le famose birre Hobgoblin e Brakspear.
Nel 2009 fu inventato il fastcasktm, un sistema che rende molto più facile per i pub vendere birre. Infatti nonostante la popolarità delle birre tradizionali, molti pub evitavano di offrirle perché la loro manipolazione e la conservazione richiedevano più tempo e attenzione rispetto alle altre.
Alla fine del 2013 ci fu qualche polemica quando fu annunciato che Marston’s avrebbe venduto circa 200 pub alla nuova compagnia NewRiver Retail. La paura era che molti sarebbero stati chiusi e trasformati in negozi di alimentari.
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Nel 2014 la Marston’s prese in appalto la produzione delle quattro più prestigiose birre della Thwaites: Thwaites Wainwright, Thwaites Lancaster Bomber, Thwaites Nutty Black e Thwaites Original. L’anno dopo, acquistò i primi due marchi, nonché la maggior parte delle attività di birra della Thwaites, e continuò la produzione in appalto a lungo termine dei secondi due marchi. Ma, nel 2016, abbandonò il marchio Thwaites sia per la Wainwright che per la Lancaster Bomber.
Nel 2017 infine Marston’s annunciò un’ulteriore espansione con l’acquisto della Wells & Young’s Brewery di Bedford.
Una delle più grandi imprese birrarie indipendenti del Paese, la Marston’s è anche un operatore di pub. Il 90% degli utili infatti proviene proprio dalla divisione pub, oltre 1700, in tutta l’Inghilterra e nel Galles (circa 300 affittati e 500 in leasing). È inoltre proprietaria di una catena di hotel.
Quanto alla birra, possiede e gestisce ben sei fabbriche.
1) Park Brewery
2) Marston’s Brewery
3) Jennings Brewery
4) Wychwood Brewery
5) Ringwood Brewery
6) Eagle Brewery
Eccetto le prime due, le altre sono trattate alle rispettive voci.
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Park Brewery/Wolverhampton
Oltre a un’infinità di propri, produce anche i marchi Mansfield e Thwaites.
Mansfield Brewery/Mansfield
Azienda del Nottinghamshire, fondata nel 1855. Fu opera del produttore di birra John Watson, insieme all’agricoltore Samuel Hage e all’investitore William Edward Baily. E fu scelto il posto ideale per un birrificio: acqua di sorgente arenaria, vicinanza a piantagioni di malto e di luppolo e, soprattutto, la moltitudine di operai che lavoravano nelle tante miniere di carbone della zona.
L’anno successivo Watson vendette le proprie azioni agli altri due soci che, nel 1863, costituirono un impianto di maltaggio.
Dopo diversi passaggi di proprietà, nel 1925 l’impresa divenne una srl, Mansfield Brewery Company. Rilevò, nel 1934, la Chesterfield Brewery, e, l’anno successivo, da azienda pubblica, fu quotata alla borsa di Londra.
Ormai la Mansfield non produceva più solo ale per i minatori, bensì era diventata una delle prime grandi imprese di rilievo regionale a fabbricare Webster e diversi altri prodotti per la Scottish Courage. Nel 1982, dopo un decennio di birra alla spina, ritornò a quella in botte. Due anni più tardi, per fronteggiare la domanda crescente, si trasferì in un nuovo stabilimento, a Wolver-hampton (West Midlands).
Nel 1985, rilevò da Northern Foods le North Country Breveries, cioè la ex Hull Brewery (nel nord dell’Inghilterra), risalente al 1888 ma che aveva cambiato nome con l’acquisto, nel 1972, da parte di Northern Foods appunto.
Nel 1999, la Mansfield fu, a sua volta, acquistata da Wolverhampton & Dudley. In poco tempo la sua produzione fu trasferita a Park Brewery e, nel 2002, fatalmente, avvenne la chiusura della fabbrica.
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Thwaites/Blackburn
Birrificio nel vecchio centro birrario di Blackburn, nel Lankashire. Fu fondato nel 1807, come Eanam Brewery, da Daniel Thwaites, insieme agli uomini d’affari locali Edward Duckworth e William Clayton.
Nel 1822 Edward morì, e la figlia, Betty, che aveva sposato Daniel, ereditò la sua parte nella società. Due anni dopo, William vendette la sua quota a Daniel. Così, la Eanam Brewery divenne di esclusiva proprietà dei Thwaites, prosperando negli anni.
Infine, tra il 2014 e il 2015, Anne Yerburgh, presidente del birrificio, apportò una vera e propria rivoluzione. Con l’inaugurazione, nel 2011, del microbirrificio Craft Dan all’interno dello stabilimento, chiuse quest’ultimo e cominciò a produrre birre di qualità soltanto per i suoi pub (oltre 270), locande e alberghi. Mentre vendette o appaltò alla Marston’s la vecchia produzione. Addirittura, nel 2017, ottenne il permesso di costruire un nuovo birrificio, scuderie e la sede principale nel vicino villaggio di Mellor.
C’è infine da annotare che la Thwaites, per le consegne, si serve ancora dei carri trainati da cavalli.
Marton’s Brewery/Burton upon Trent
Può considerarsi l’ultima grande società indipendente che produce a Burton e l’ultima azienda a utilizzare ancora (ma solo per la birra Pedigree) il costoso sistema di fermentazione detto Burton Union (indicato anche come “Union set”), realizzato nel 1838 da Peter Walker.
Tanto legata alle tradizioni, attinge sempre al pozzo di proprietà, alimentato dalle acque piovane che, filtrate da strati di gesso, conferiscono una lieve nota solforata unita a una rinfrescante punta di acidità. Il malto è per lo più Maris Otter, e impiegato a infusione; il luppolo, della varietà Golding.
Più nota per la Pedigree, oltre alla vasta offerta di ale proprie, produce (su licenza AB InBev UK) le Bass. Con il marchio Head Brewer’s Choice invece propone un’audace gamma di birre speciali in fusto a produzione limitata. E, naturalmente, i Brewing Industry International Awards non le hanno mai lesinato i loro prestigiosi riconoscimenti.
Marston’s Pedigree, special bitter ale di colore ramato e dall’aspetto leggermente velato (g.a. 4,5%); la classica pale ale di Burton upon Trent ossia, impareggiabile se degustata alla spina. La versione condizionata in bottiglia fu lanciata nel 2016 con il nome di Pedigree Amber Ale. Se invece maturata in botte di rovere, la Pedigree viene designata come Matured in Oak Barrels. Questa birra veniva prodotta fin dal 1834, ma il suo nome era una semplice “P”. Fino ad allora infatti le Marston venivano identificate con delle lettere scritte sulle botti: P, PX, PXX e PXXX. Poi, nel 1952, il capo birraio George Peard, che compare in etichetta, istituì un concorso tra i dipendenti della Marston per trovare un nome più confacente a quella che era ormai la birra più venduta della casa. Venne così fuori, a opera di Marjorie Newbold, il nome Pedigree, a sottolineare la discendenza diretta da una lunga tradizione. A tutt’oggi il marchio di punta, la Pedigree ha una vendita annuale di oltre 41 milioni di pinte. Unica birra ormai a essere ancora prodotta con il sistema Burton Union, per fermentare poi in legno, utilizza un ceppo unico di lievito, il tipo di malto inglese più pregiato, Maris Otter, e gli aromatici, sempre inglesi, luppoli Fuggle e Golding. Con una carbonazione quasi piana, la schiuma, biancastra e di grana minuta, si alza densa, cremosa, duratura. L’aroma è esuberante: malto, caramello, biscotti, frutta secca, marmellata di agrumi e, su tutto, il luppolo inglese, terroso e speziato. Il corpo tende al sottile, nella sua trama piuttosto acquosa, e impatta sofficemente con il palato. Nel gusto, il malto finemente fruttato lascia presto il posto a un luppolo piccante e terroso con tendenza all’amarore di resina. Il finale, asciutto, pulito, rimanda a un qualcosa di bruciato. Nel sufficiente retrolfatto impressioni fruttate e floreali di luppolo si mescolano a una certa astringenza da tostature.
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Marston’s Strong Pale Ale, english strong ale di colore ambra rossiccio con sfumature caramellate (g.a. 6,2%). Nata all’inizio del secolo XX come Burton Strong Ale, prese, in bottiglia pastorizzata, il nome attuale negli anni ’90. La versione in botte invece non viene più prodotta. Con un’effervescenza piuttosto bassa, la spuma, di un bianco sporco, emerge con moderazione ma lunga durata, nella sua consistenza fine e aderente. Malto, lievito, cereali tostati, caramello, esteri fruttati, vaniglia, erba tagliata, miele, allestiscono un olfatto intenso e attraente. Il corpo, da leggero a medio, presenta una trama sciropposa pressoché appiccicosa. Nel gusto, il sapore dolce del malto, con sentori di caramello, rimane in buon equilibrio con l’amaro del luppolo erbaceo e della scorza di agrumi per tutta la durata di una corsa più che regolare. Nel finale l’amarore s’intensifica, asciuga il palato… intanto che arrivi una fresca ondata di frutta acida. Nella lunga persistenza retrolfattiva si sviluppano calde sensazioni alcoliche a stemperare l’asprezza della mela verde e il floreale secco del luppolo.
Marston’s Owd Rodger, english strong ale di colore marrone molto scuro con riflessi rosso rubino e dall’aspetto opaco (g.a. 7,4%). La versione in botte è solo occasionale; per quella in bottiglia, dal 2004 la gradazione alcolica del 7,6% è stata ridotta. Si tratta della tradizionale birra inglese per riscaldarsi d’inverno; prodotta con malto tostato, secondo una ricetta antecedente la rivoluzione industriale. Il nome va ricercato tra i tanti locandieri, grandi bevitori o personaggi caratteristici del passato a cui sono state dedicate numerose birre. Con una carbonazione molto bassa, la schiuma, di un beige chiaro, si rivela sottile e compatta, stabile e aderente. L’aroma, molto intenso e persistente, è ricco di cioccolato e frutti scuri; ma non mancano, anzi, sentori di malto caramellato, liquirizia, melassa, liquore al caffè, zucchero di canna bruciato. Il corpo, medio-pieno, rivela una consistenza quasi cremosa, e pressoché appiccicosa; intanto che la prorompente forza alcolica avvolge il palato, regalando però una sensazione relativamente leggera. Il gusto si dipana amabile e fruttato, con un impressionante bilanciamento operato dal malto torrefatto e dall’amaro del luppolo. Il lungo percorso termina con una piacevole nota di vino liquoroso. Il retrolfatto appare piuttosto caldo, un po’ dolce e asciutto, tra impressioni di uvetta, rum, vaniglia e legno.
Marston’s Oyster Stout, oyster stout di colore marrone scuro tendente al nero e dall’aspetto opaco (g.a. 4,5%). La versione in bottiglia è pastorizzata; quella in botte, occasionale, dal 2016 ha ridotto la gradazione alcolica al 4,1%. Fu creata per una serie speciale nel 1995; ma in capo a sei mesi figurava nel catalogo delle regolari. Nonostante il nome, non contiene ostriche. Con un’effervescenza quasi piana, la schiuma nocciola, compatta e cremosa, accusa scarsa ritenzione e allacciatura. L’aroma fruttato, floreale e speziato è dovuto ai luppoli inglesi Fuggle e Golding, che si combinano armonicamente con i sentori di malto tostato e la dolcezza della frutta scura. Il corpo, da sottile a medio, ha una consistenza leggermente acquosa. Cioccolato, liquirizia, caffè, luppolo erbaceo, crosta di pane, reggono bene, nel gusto, il bilanciamento con il fruttato e lo speziato che tendono a prevaricare; mentre dalle tostature esala una fresca nota acida e pressoché astringente. Il finale sa tanto di caffè amaro e legno bruciato. Suggestioni secche e acri, quasi avvolte nella cenere, animano buona parte del discreto retrolfatto amarognolo.
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Marston’s India Export, india pale ale di colore oro antico (g.a. 5,5%). La maturazione avviene in botti di legno stagionato. Fu lanciata nel 1992. Con una moderata effervescenza, la schiuma bianca, sottile e cremosa, non ha lunga durata. L’aroma si schiude con delicatezza, a base di lievito, erbe, agrumi, luppolo resinoso, malto caramellato. Il corpo, da sottile a medio, ha una consistenza liscia e cremosa. Nel gusto, le fresche note di mela dolce vengono “sapientemente” bilanciate dalla solida base di luppolo; e, solo in prossimità del traguardo, si leva un soffio di acidità per niente sgradevole. Il lungo finale amarognolo reca sentori floreali. Dallo sfuggente retrolfatto emerge una suggestione polverosa di resina piuttosto astringente.
Marston’s Old Empire, ESB di colore dorato intenso tendente all’ambrato (g.a. 5,7%). La versione in botte è occasionale. La carbonazione si rivela quasi piana; la spuma biancastra fuoriesce densa, cremosa, ma non dura più di tanto. Malto biscotto, agrumi, caramello, frutti di bosco, luppolo erbaceo, e una spolverata di spezie leggere, allestiscono un olfatto di elevata intensità e finezza attraente. Il corpo, medio-pieno, ha una consistenza oleosa. Il forte sapore di luppolo, dal carattere secco e amaro, può avvalersi dell’ottima spina dorsale di malto per defluire a propro agio e portare a termine la breve corsa nelle vesti di una bitter di razza. Nel finale aspro, resinoso, si leva una certa astringenza, ma non dura molto: scompare bruscamente tra le deliziose impressioni fruttate del discreto retrolfatto.
Banks’s Mild, mild ale di color rame (g.a. 3,5%); nuovo nome, dal 2010, della Banks’s Original. La versione in bottiglia, fusto e lattina è filtrata. La birra preferita nell’industriale zona delle West Midlands, ha una vendita settimanale di oltre un milione di pinte. La carbonazione, inizialmente vivace, si abbassa rapidamente; la schiuma, di un bianco sporco, emerge fine, cremosa, abbastanza durevole. L’aroma si libera piacevolmente caramellato, con freschi sentori di luppolo e di mela matura. Il corpo, da leggero a medio, ha una tessitura un po’ oleosa, più che acquosa. Il gusto si snoda soffice, caldo, dolciastro, tra note di malto blandamente toscato, frutti di bosco, pane nero, biscotti, zucchero di canna, bacche essiccate. Nel finale, corto e asciutto, emergono sentori di mandorla. Il retrolfatto, appena accennato, reca impressioni amarognole e acidule.
Banks’s Bitter, bitter ale di colore ambrato pallido (g.a. 3,8%). La versione in fusto, bottiglia e lattina è filtrata. Con una moderata effervescenza, la schiuma biancastra fuoriesce sottile, cremosa e di sufficiente tenuta. L’aroma è di malto dolce, supportato da tenui sentori di caramello, miele, legno, cereali, luppolo, pane, erbe aromatiche. Il corpo, da sottile a medio, ha una consistenza leggermente acquosa. Il gusto è delicatamente segnato dal tipico luppolo inglese agrumato, che si districa tra le note dell’inconfondibile lievito Marston’s, di caramello, grano, terra, vino, lieve acidità fruttata. Il finale presenta un fresco amarore piuttosto astringente. Nel corto retrolfatto si alternano impressioni fruttate e di malto con labili sfumature metalliche.
Banks’s UCB (Ultimate Curry Beer), ESB dal classico colore ambrato (g.a. 5,3%). La versione in bottiglia è pastorizzata. Fu elaborata nel 1998 per un concorso indetto dalla National Hop Association (“Associazione Nazionale del Luppolo”) allo scopo di consentire agli appassionati del curry di pasteggiare con una birra aromatizzata da luppolo inglese. E utilizza infatti quattro varietà di luppolo, tra cui quella nuova nana, First Gold, dalle note di mandarino. La carbonazione piuttosto piana sviluppa una schiuma biancastra fine, compatta e di pregevole aderenza. Freschi e persistenti aromi di luppolo rendono, insieme a più tenui ma ugualmente incisivi sentori floreali, di agrumi e di resina, l’olfatto attraente nella sua finezza. Il corpo, da leggero a medio, ha una trama fra oleosa e grassa. Un gusto pieno, decisamente segnato dal luppolo, scorre su robusta base di malto caramellato, portando a un finale secco, pulito. La persistenza retrolfattiva non è così lunga, però vivace e improntata a stuzzicanti suggestioni di zenzero.
Mansfield Original Bitter, ordinary bitter ale di colore ambrato (g.a. 3,9%); la birra principale dell’ex Mansfield. Con un’efferverscenza alquanto bassa, la spuma color crema emerge spessa e generosa, ma si dissolve rapidamente. L’aroma è un gradevole mix di profumi floreali, di lievito, frutta, malto, tostature, luppolo terroso. Il corpo medio presenta una consistenza tra oleosa e acquosa. Il gusto, finemente luppolizzato, ostenta un carattere forte e fragrante che si bilancia a meraviglia col delicato dolciastro di frutta. Nel corto finale l’amaro erbaceo apporta una lieve astringenza. Il retrolfatto persiste nelle sue impressioni di agrumi e di spezie. Possiamo, in definitiva, considerare questo prodotto fresco, leggero e amabile.
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Lancaster Bomber, special bitter ale di colore castano chiaro (g.a. 4,4%). Il nome è un omaggio all’Avro Lancaster, bombardiere pesante britannico a quattro motori della seconda guerra mondiale. Una “creatura” della Mitchell’s di Lancaster, rilevata in parte dai Thwaites dopo la chiusura nel 1999. Con una moderata effervescenza, la schiuma color crema, soffice e minuta, dura un paio di minuti prima di dissolversi per scomparire del tutto. Esteri di lievito inglese, caramello, luppolo floreale, agrumi, malto tostato, pane nero, frutta secca, allestiscono un fresco bouquet olfattivo di gradevole finezza. Il corpo, medio-leggero, ha una consistenza acquosa. Un granuloso malto fruttato, con lievi note legnose e di spezie, trova armonia, equilibrio gustativo nel sottile sapore amaro di un luppolo terroso. Il finale, lungo e burroso, reca accenti di agrumi e di spezie. Il caldo, sfuggente, retrolfatto eroga timide impressioni di fiori e foglie di malva.
Wainwright, golden ale di colore dorato (g.a. 4,1%); dedicata allo scrittore di Blackburn Alfred Wainwright, autore di guide e illustratore. La versione in bottiglia è pastorizzata. Con una media effervescenza, la schiuma bianca fuoriesce bassa, minuta, abbastanza cremosa. L’aroma si libera a base di malti leggermente biscottati, luppoli floreali, agrumi, lievito, pane, uva spina, camomilla. Il corpo, piuttosto sottile, ha una consistenza lievemente cremosa. Il gusto, delicato, piacevole e rinfrescante, inizia con la dolcezza del malto, prosegue con una frutta bella matura, chiude il percorso con un morbido amarognolo quasi balsamico. Nel corto retrolfatto rimangono impressioni secche e pulite, con un lontano richiamo piccante.