13 Aprile 2015
DOKI E LA BEVANDA DEGLI DEI: decimo capitolo
Con una foga degna del sommo Seth, Doki possedette una volta ancora la sua principessa.
La Principessa d’Egitto.
Madidi di sudore i due si stesero l’uno di fianco all’altra. Il petto di lei si gonfiava e si appiattiva ritmicamente, sfiancato da lui.
Il seno di Meryt-Ra si muoveva ritmico, in su e in giù.
Perfetto.
Iptonico.
Forse, perfino un cobra reale avrebbe arrestato il suo incedere, dinnanzi a tanta beltà.
Doki ne era convinto.
«Oggi…» dise lei ansante« Oggi sembri posseduto da un Dio! Incredibile, giuro!»
«Il… il mio desiderio di te è… insaziabile».
«Che gli Dèi preservino questo tuo fuoco! Non so come farei senza le tue attenzioni» lei si girò, sdraiandosi sul suo amante e, muovendosi sinuosamente in modo da ravvivare nuovamente i tizzoni ardenti di lui che non si fecero attendere come rivitalizzati e di nuovo fiammeggianti, lo baciò.
Ripresero la loro lussuriosa lotta, dalla quale nessuno dei due uscì sconfitto.
«Come mai sei così focoso?»
«In che senso?»
«Tu mi ecciti da morire…»
«Perdonami, se non ritengo me stessa la sola fonte del tuo vigore… no mi offendo, beninteso! Anzi! Se la tua passione deriva anche dal tuo lavoro e non da un’altra donna… beh, ne sarei contenta. Differente sarebbe se la tua foga derivasse dal pensiero di un’altra e…»
«No! Tu sei l’unica e sola. E comunque… il mio lavoro mi sta dando delle soddifazioni! Credo di essere a buon punto per poter trovare quella stramaledettissima ricetta.»
«Davvero? Dimmi tutto!»
«No».
«Dai! Ti prego!»
«Non ora! Adesso è il tempo di concedermi a te».
«Ancora? È la quarta volta!»
«Ti dispiace?»
«Ti voglio ora… niente preamboli e sotterfugi. Ora…»
«Ti amo».
«Io tiamo di più».
Lui trasalì quando lei lo condusse lungo le strade del piacere più estremo.
Nell’ombra, qualcuno spiava.
Oscurato dalle tende, un losco figuro studiava il piano migliore per rendere inerme quello stallone all’apparenza indomabile, dotato dell’intelligenza di Amon e dall’acutezza degna dell’appuntito becco di Horus.
La notte seguì il giorno ed una nuova alba svegliò il giovane, da solo, nella sua stanza.
Quella mattina il rito che svolgeva in ogni provincia si sarebbe ripetuto. Il re si sarebbe autoproclamato Signore delle Due Terre, avrebbe svelato che il suo nome, da quel momento in poi, avrebbe dovuto essere Faraone e non semplicemente Re, e poi avrebbe nominato il re sconfitto visir delle terre conquistate.
In seguito, come ogni volta, lui, Doki, l’eroe della battaglia di Men-nefer, avrebbe giurato eterna fedeltà e sarebbe stato nuovamente insignito del titolo di Generale e di Eroe.
Ormai, il giovane, conosceva a memoria ogni singola fase di quel rito e la paura di sbagliare, che aveva avuto le prime volte, aveva ceduto il passo alla sicurezza e alla teatralità.
Il rito si concluse come ogni volta, e a Bubastis cominciarono i festeggiamenti.
Ancora poche tappe e la carovana reale sarebbe giunta a Tebe, la vecchia capitale del Regno del Sud.
Come ogni volta, i due visir del Faraone si diressero verso il centro della grande piazza per fare il consueto “bagno di folla”, sgravando il Re da tale compito e da tutti i pericoli a questa pratica annessi.
Un folle o un attentatore avrebbero potuto approfittare della confusione per pugnalare il Sovrano, riuscendo a farla facilmente franca, in mezzo a centinaia di persone.
Ma per i visir era un obbligo, quel rischio. Dovevano far capire alla popolazione che, anche se conquistata, non aveva nulla da temere dalle istutuzioni e che, nonostante tutto, il loro vecchio Re era tenuto in estrema considerazione e non avrebbe abbandonato il suo popolo.
Il modo migliore per dimostrare questa vicinanza al popolo era, per l’appunto, festeggiare con esso, confondendo le proprie voci con quelle delle persone più umili.
Doki, anch’egli tra la folla, notò quel giorno qualcosa di strano.
Vide i due visir intrattenersi per parecchi minuti con un uomo mal rasato e con una calvizia ben più che accennata.
Doki percepì una strana sensazione nel vedere quella sgradevole, sgradevolissima persona.
Era come se… come se si sentisse minacciato da lui.
Ma i Visir, le due più alte cariche dello Stato dopo il Faraone, invece, si erano trattenute molto con lui.
Era quasi come…
Come se si conoscessero.
Nella mente di Doki fece capolino l’immagine di quel losco figuro e gli sembrò di aver già incrociato il suo sguardo in passato.
Ed in particolare durante quel rito, lo stesso che si era appena svolto lì a Bubastis, nelle provincie già attraversate.
Si ripromise di prestare più attenzione, alle prossime cerimonie.
Se avesse visto nuovamente quel tizio, avrebbe affrontato di petto la situazione.
Come poteva un uomo avere le risorse economiche per seguire la carovana reale, pur non sembrando nobile?
A Doki venne in mente che quella persona potesse essere una spia.
Ma come capire se la situazione era quella?
Come capire se egli era una spia amica o nemica?
Mentre continuava a squadrare quel tizio, quasi come se volesse imprimersi nella memoria l’immagine torva, percepì di essere strattonato.
Incapace di restare immobile perse il contatto visivo con i tre uomini e fu costretto a girare la testa.
Il viso tra le mani di una ragazza, il trucco pesante attorno agli occhi.
Una discreta bellezza, Doki non potè pensare il contrario.
Ma nulla in confronto a Meryt-Ra.
Con una mossa rapida e sagace, la ragazza avvicinò le labbra a quelle di Doki.
Lo baciò.
Doki resto immobile, impietrito.
Non si sarebbe mai aspettato una cosa del genere.
Restò lì, fermo, in balia di quella ragazza un po’ troppo…
Espansiva.
Si ridestò da quell’insano torpore e, afferrando la ragazza per le spalle, la scostò da sé.
Le loro labbra si staccarono e, senza che lui se ne accorgesse o potesse fare qualcosa, si sentì trascinato per la spalla sinistra.
un’altra dama, meno graziosa della precedente.
Altre labbra su di lui.
Era la prima volta che gli capitava una cosa del genere.
Mai, in nessun’altra manifestazione, era stato accalappiato così da lascive ragazze.
Certo, in tutto il regno si narrava della inconsueta, quanto gradita disponibilità delle ragazze di Bubastis ma…
Doki non avrebbe mai creduto a così tanta manna dal cielo!
Ma d’altro canto, per lui, nel suo cuore di ragazzo giovane ed innamorato, c’era spazio solo per la sua bella principessa.
E come avrebbero potuto competere, quelle fanciulle, con la figlia del Faraone?
Doki si divincolò e riuscì a sottrarsi alla rapace presa delle avvenenti fanciulle.
Si voltò verso il palco.
Il re che lo guardava divertito.
«Goditi il tuo successo, Eroe di Men-nefer!» il Faraone, dall’alto del trono su cui era assiso, incitò il giovane a lasciarsi andare ai festeggiamenti.
Ma lo sguardo di Doki, dopo aver eseguito un lieve inchino di ringraziamento nei confronti del Re, si spostò verso Meryt-Ra.
Lo fece in un modo che avrebbe voluto più discreto.
Il suo volto si tinse dei colori della vergogna, dell’impotenza e della pietà: il finissimo viso della principessa lo fissava.
Lo sguardo torvo, la mascella serrata.
Le sue mani stringevano con forza i pomelli del suo trono.
Gli occhi lucidi, lei si voltò di scatto verso il padre:
«Mi assento un attimo, padre. Debbo rinfrescarmi un po’».
«Vai pure».
Doki, tentando per quanto possibile di passare inosservato, sgattaiolò via dal centro della piazza.
Incrociò la principessa, scortata da due soldati della guardia reale, mentre stava per entrare nel palazzo di Bubastis.
«Andate pure, scorterò io la Principessa».
«Come desideri, Generale. Principessa». I due si inchinarono.
I due, in silenzio, entrarono nel palazzo.
Lei, furiosa, camminava svelta.
La falcata di una leonessa conquistatrice.
Doki, dopo alcuni passi, afferrò il polso di lei e la girò a sé:
«Che vuoi?»
«Non è colpa mia, Merit-Ra!»
«Ti è piaciuto? Allora vai! Vai a divertirti con tutte quelle schifose! Forza, sei ancora qui?»
«Io…»
«Non ti voglio più vedere! E ringrazia gli Dèi se non ti faccio…»
Lui la spinse contro il muro e la baciò con passione.
Lei tentò un tenue resistenza, calde lacrime solcavano le sue gote e pugni troppo deboli per poter far male al giovane si abbatterono sulla schiena di Doki.
Pochi attimi.
Poi lei si abbandonò.
«Amo solo te. È chiaro?»
«E quelle ragazze?»
«Mi hanno costretto… io non avrei mai voluto!»
«E non ti è piaciuto?»
«L’ho odiato!»
«Devo crederti?»
«Lasciami, Merit-Ra, ed io mi ucciderò! Oppure sposami ed allora saremo per sempre io e te… e basta!»
«Tu cosa?»
«Sposami!»
«Io…»
«Non vuoi?»
«Non possiamo… vorrei, solo gli Dèi sanno quanto!»
«Dimmi solo di sì. Il metodo lo troveremo».
«Sì. Voglio essere tua moglie».
I due suggellarono quella promessa di matrimonio con un bacio lungo un sogno… il loro.
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