19 Gennaio 2015
DOKI E LA BEVANDA DEGLI DEI: quarto capitolo
Il giovane si svegliò di soprassalto.
Doki si trovò di nuovo catapultato nel mondo dei vivi, in un luogo che non conosceva e solo.
Estremamente solo.
Era seduto su di un letto.
Un letto vero, si intende! Con un materasso vero composto da un sacco di cotone largo un metro e mezzo ed alto circa due, riempito di morbida paglia e di soffici piume.
E quel comodo giaciglio era posto sopra ad una stuoia di canne di papiro intrecciate legate a dei piedi, anch’essi in papiro. Almeno quindici steli di quella canna erano legati insieme da fili ricavati dalle stesse piante per formare un solo piede del magnifico letto.
E questi tronchi erbacei erano stati tagliati all’altezza di circa un metro e settanta ed al di sopra di quei quattro pilastri di piante era stato posto un lenzuolo, anch’esso di cotone, che cadeva sui quattro lati ed isolava chi dormiva dall’accecante luce del sole e dalle fameliche zanzare. Inoltre, mitigava anche il calore proveniente dal sole, il divino cerchio nella volta celeste.
Un antesignano dei letti a baldacchino, insomma.
E da quel bozzo laddove era isolato, Doki, intravvedeva solamente forme strane e non meglio definite… offuscate…
La testa gli pulsava, il dolore accecante.
Fece leva sul braccio sinistro e tentò di scostare un lembo del primitivo giaciglio.
Ma la testa gli faceva troppo male.
La percezione della profondità non gli apparteneva ancora; troppo poco tempo era passato dal suo risveglio.
Caracollò in avanti, il viso sprofondato nel morbido materasso.
Il giovane non riuscì a rialzarsi, non ne aveva le energie.
Si assopì nuovamente.
«Piriamanku, credi che si riprenderà presto? »
«Mio Signore, di per sé si è già svegliato. Ma credo che il dolore sia stato troppo intenso. E che quindi sia tornato nell’oblio.»
«Il regno di Anubi… molto male.»
«Già. Se il Dio decide di tenerlo con sé, rapirà la sua anima immortale e lascierà in questo mondo solo le sue spoglie mortali.»
«Fai in modo che viva. Mi serve per la mia propaganda. Lui deve diventare un Eroe.»
«Narmer, mio Signore… io non posso far altro che dargli da bere una pozione con latte di papavero per attenuare il dolore e al massimo posso fasciare le sue ferite con garze imbevute di miele.»
«E questo basterà?»
«Lo spero, mio Re.»
«Deve vivere.»
«Con tutto il rispetto, mio Re, non posso vincere contro un Dio…»
«Hai detto bene, Piriamanku. Scegli tu quale Dio sfidare. Anubi o me.»
Sapendo di non potersi spingere oltre nel levare perplessità e critiche nei confronti di Narmer, il medico di corte abbassò lo sguardo.
«Vivrà, lo giuro sugli Dei.»
Il giovane Doki si svegliò nuovamente di soprassalto.
In pochi secondi si rese conto che quel letto, quel giaciglio da re, non era un sogno.
L’ultima cosa che ricordava era…
La paura…
La tensione…
La sua spada, rubata, il cozzare goffo della sua lama sulla picca saldamente retta da quel soldato esperto…
E poi il nulla, il buio.
Passò una notte ed un altro giorno ed infine, all’alba del terzo, Doki si svegliò.
Era ancora lì, in quel letto a baldacchino.
Il dolore era ancora intenso, ma decisamente sopportabile.
Il ragazzo si mise a sedere; sia il senso dell’equilibrio che il senso della profondità sembravano intatti.
Era comunque ancora intontito e, soprattutto, non sapeva dove fosse.
Scostò il telo di cotone.
Poggiò un piede al suolo: un tappeto di lana separava il suo piede nudo dalla sabbia del deserto.
N on si era accorto di non essere solo nella tenda.
«Ragazzo, finalmente ti sei svegliato! Sia lode agli Dei!»
«Chi… chi sei? Cosa ci faccio io qui? Dove sono?»
Doki, in un attimo, fu colto da un attacco di panico.
L’uomo, avanti con gli anni ma ancora in salute e robusto, lo prese per le braccia e lo obbligò a sedersi.
«Rilassati, giovane! Sono Piriamanku, il capo dei medici al servizio di Sua Maestà, Narmer»
«Narmer? Chi è quindi?»
«Il nuovo Re di tutte le terre d’Egitto. Il Tuo Re. Quando ti sei lanciato all’attacco hai scelto con cura la parte dalla quale schierarti. Era l’esercito di Narmer. Ed ora sei tornato dall’oblio di Anubi. Per servire il tuo Re.»
«Cosa… Cosa è successo? Ricordo che stavo attaccando e poi… nulla.»
«Sei stato ferito. Ma il Re, vedendo lo slancio con cui ti sei gettato a capofitto nella battaglia, solo contro al nemico, ha deciso di premiarti. Ma non temere, sarà lui a spiegarti tutto.»
«Il Re sprecherebbe il suo tempo con un umile contadino?»
«Se così ha deciso lui, chi sei tu per dubitare delle sue scelte?»
«Chiedo scusa, non volevo essere impertinente.»
Il medico, nel frattempo, aveva osservato la reazione agli stimoli del giovane e, resosi conto che si era completamente ristabilito e che non sembravano esserci danni, riprese a parlare, con tono mellifluo e caritatevole.
«Hai fame giovane…»
«Doki. Vivo nella casa che… O per gli Dei! Mio padre? È stato coinvolto nella battaglia? Come sta? Dov’è?»
«Stai tranquillo, Doki. Nessun civile è stato coinvolto negli scontri.»
«Oh, grazie, grazie mille! E dov’è ora mio padre? Ed i miei amici?»
«Sono dove dovrebbero essere, nelle loro case!»
«Devo andare, da quanto tempo non mi vedono? Per quanto ho dormito? Io…»
«Tu, se non la finisci di dire sciocchezze, sarai di nuovo addormentato. Ora mangia qualcosa. Poi verrai lavato e preparato per andare a colloquio con il Re. Sono stato abbastanza chiaro?»
«C-certo.»
Doki dovette fare buon viso a cattivo gioco. Era ancora troppo debole per tentare di scappare e, ad ogni buon conto, se quelle persone e se quel medico lo avessero voluto morto… beh, lo avrebbero ucciso ben prima.
Non lo avrebbero di certo salvato e curato!
Mangiò, mangiò di gusto.
Il cibo era squisito e l’acqua era fresca e dissetante.
Venne poi lavato e vestito da delle ancelle: una leggera tunica di lino con decorazioni argentate ricamate su di essa ed una cintura di cuoio finemente lavorata. Pregiati sandali bianchi come la tunica erano stati posti ai suoi piedi ed infine era stato profumato.
Sembrava un principe, comodo ed elegante nei suoi nuovi abiti.
O per lo meno, Doki, aveva sempre immaginato che un principe si vestisse così.
Due guardie vennero a prelevarlo e lo condussero nella tenda del Re.
Entrarono anche loro con lui, onde garantire la sicurezza del sovrano.
Doki, terrorizzato all’idea di comparire dinnanzi al Re, procedette per tutto il breve tragitto nel deserto a testa bassa.
«Ben arrivato, ragazzo. Come ti chiami?»
«D-D-D…»
«Non aver paura, giovane! Sei tra amici. Alza dunque lo sguardo, così che io possa vederti.»
Doki, lentamente, obbedì.
Aveva paura di essere fulminato dallo sguardo di un uomo così potente, un Re, un Dio tra i mortali.
«D-Doki, mio Re. Mi chiamo Doki, e sono un tuo fedele suddito e…»
«Lo ben so. Doki… Sai perché sei qui, mio giovane amico?»
«No, mio Re. Ma se ho commesso qualche delitto nei tuoi confronti io…»
«Al contrario, giovane uomo. Tu non hai esitato a lanciarti a capofitto nella battaglia. Qualunque soldato ha paura prima e durante la battaglia. Qualunque mortale ne ha. A volte perfino un Dio ha timore. Ma tu… Tu non sembravi aver paura. Tu sembravi posseduto da Sethi in persona!»
«Mio Signore, il Dio della Distruzione non abita il mio cuore, lo giuro, io sono puro e…»
«Tranquillo. Il mio era un complimento. L’ardore con cui ti sei lanciato nella battaglia, tu, semplice contadino… ha dato nuova lena e vigore ai miei soldati, la furia con cui hai combattuto e mozzato teste, tu, ragazzo mio, sei stato tu a vincere questa battaglia!»
«Ma…»
«Sì?»
«Io non ricordo molto bene quello che è successo, mio Re… ma sono abbastanza sicuro di essere crollato sotto ai colpi nemici… sotto al primo in particolare.»
«E’ verità quella che dici, ma non la verità che desidero che sia detta. Tu sei il più umile tra gli uomini, il più umile tra i miei sudditi. Un contadino. Ma tu, da oggi, diverrai un simbolo: sarai il guerriero che, senza nessuna esperienza militare ha sbaragliato un intero esercito! Sarai il baluardo del mio Regno, sarai il messaggero Divino! Tu mi servi ragazzo mio.»
«Felice di servirti, ma non capisco ancora come, mio Re. Io sono un fedele suddito, ma resto comunque un contadino.»
«Non più! Tu da oggi sei un Eroe.»
«Un eroe?»
«Sì. Vedi, nell’arte della politica, un buon governante deve ingraziarsi il popolo. È vero, le rivolte si soffocano nel sangue, ma è anche vero che, se si riesce, evitarle è meglio. E tu servi proprio a questo scopo, giovane Doki. Tu e il mio avversario, il deposto Re dell’altra metà del mio regno. Voi viaggerete con me, al mio fianco, e lui consegnerà, durante le cerimonie che si svolgeranno nei più grandi centri abitati di tutte le mie terre, il suo scettro e la sua corona a te, il guerriero Divino al mio servizio, e tu le darai a me.Così sanciremo il passaggio di potere volontario dal vecchio sovrano a quello nuovo, il tutto veicolato da un guerriero Divino.»
Il Re fece una pausa e guardò l’espressione turbata sul volto del giovane.
Doki non stava più seguendo le parole del Re, troppo complicate, forse.
Riprese a spiegare.
«Questo viaggio, questi riti, fanno parte di un gioco di potere ed in particolare, questa azione si chiama: Propaganda. Essa garantisce che le masse, che il popolo, sia convinto della bontà delle azioni del proprio sovrano. Ed il tuo ruolo è quello di impersonare un messo degli Dei che, da umile contadino è stato trasformato dagli stessi Dei in guerriero potente ed invincibile, per poter garantire a me, Dio fra gli uomini, la vittoria militare ed il dominio di tutto l’Egitto. Hai capito, adesso?»
«Credo di sì. Dovrò fingere di essere un altro uomo.»
«No. Dovrai essere un altro uomo. Non tornerai mai più nella tua casupola. Sarai per sempre un membro della mia corte, verrai educato, imparerai a leggere e a scrivere e a fare di calcolo. Quando sarai pronto, se ti dimostrerai abbastanza intelligente, forse, ti verrà affidata qualche carica.»
Quelle parole che per tutti significavano riscatto sociale, vita agiata e gioia eterna, per il giovane Doki suonarono più come una condanna. Avrebbe dovuto lasciare la sua terra, i suoi amici e suo padre. Ed in più non avrebbe rivisto quella splendida fanciulla.
Ad onor del vero, forse, non l’avrebbe rivista comunque, ma se lui se ne fosse andato anche la flebile speranza di un altro fugace incontro se ne sarebbe andata con lui.
Aveva voglia di piangere, il ragazzo divenuto uomo tutto ad un tratto.
Ma non poteva, non dinnanzi al Re.
E chi era lui per disobbedire al Sovrano?
Chi era lui per sputare su di un’offerta tanto generosa?
Un folle?
Un ingrato?
No, lui era un fedele suddito del Re.
Lui era Doki… L’eroe della battaglia del villaggio di Men-Nefer.
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