22 Giugno 2015
DOKI E LA BEVANDA DEGLI DEI: quindicesimo capitolo
Il ragazzo giaceva prona nella sala dei colloqui del Nomarca di Djeka, lo sguardo fisso sul pregiato pavimento in pietra dipinta.
Era fredda quella superficie, ma non come le segrete del palazzo.
E Doki, nelle celle, aveva trascorso tutta la notte.
Due soldati della Guardia Reale lo obbligavano a quella scomoda posizione appoggiando la punta di rame delle loro lance alle costole di lui.
Sporadiche gocce di sangue defluivano dal costato del giovane; le acuminate estremità delle armi graffiavano al contatto le carni di lui.
Era in attesa, le mani ed i piedi incatenati.
Era in attesa del Faraone.
Era in attesa del suo Destino.
Provò a sollevare il capo per vedere chi stava assistendo alla sua pubblica umiliazione.
Una delle lance che gli stavano punzecchiando il costato smise di stuzzicare quel lembo di pelle per far sentire la propria presenza all’altezza della nuca:
«Piccolo bastardo, la testa a terra.» sussurrò la guardia.
Doki non poteva obiettare.
Lui non era più un Generale.
Era un prigioniero.
Un condannato a morte in attesa della condanna e della sentenza capitale annessa e connessa.
Si prostrò di nuovo.
Inerme.
In attesa.
I minuti trascorsero; a Doki sembrarono ore.
Dopo altri minuti, che Doki non riuscì a contare, il Faraone entrò nella sala.
Un araldo, uno degli Alti Scriba Reali, annunciò ai presenti che il Signore delle Due Terre stava per fare il suo ingresso in quel luogo.
Tutti i civili abbassarono lo sguardo a terra, mentre i militari si misero sugli attenti, lo sguardo rivolto verso l’alto.
Solo i soldati di guardia al prigioniero non staccarono gli occhi di dosso.
Ma neppure loro guardarono il Faraone mentre entrava.
Nessuno, per decreto Reale, poteva fissare negli occhi il Re, a meno ché lui stesso non lo ordinasse esplicitamente.
Narmer giunse nella sala di gran carriera, il passo deciso di un conquistatore guidato da quella che sembrava l’ira più nera.
«State comodi. Per la particolare situazione, concedo a tutti i presenti di guardare dove vogliono. Il protocollo non mi interessa, oggi».
Tutti si rilassarono ed i fortunati che avevano a disposizione una panca dietro alla schiena, ne approfittarono per sedersi.
I soldati piegarono le lance a circa trenta gradi ed abbassarono lo sguardo, fissandolo dinnanzi a loro stessi.
Quella era la posizione del “riposo”, ossia, semplicemente, la possibilità di muoversi pur mantenendo il Decoro Marziale.
«Generale Doki, in ginocchio dinnanzi a me!» ordinò il Re.
Obbedendo, seppur con fatica, dato che era legato mani e piedi, il ragazzo si mise in ginocchio, lo sguardo basso.
«Guardami in volto, Generale. E bada, ti chiamo con il tuo titolo solo perché la legge impone che nessuno sia colpevole fino a dimostrazione del contrario. Non ti chiamo Generale perché ti rispetto. Chiaro?»
«Cristallino, mio Faraone».
«Sei accusato di aver tentato di stuprare mia figlia, il sangue del mio sangue. La Principessa d’Egitto. La tua Principessa. Cosa hai da dire a tua discolpa?»
Doki scotò lo sguardo dagli occhi del Re.
Fece, con lo sguardo, un giro della sala, una perlustrazione.
Voleva capire se in mezzo alla folla vi fossero sia i due Visir, sia il loro complice.
Nel qual caso, Meryt-Ra sarebbe stata sola nella sua prigione o comunque non debitamente protetta.
Fece una rapida panorameica e vide i due Visir al fianco del Faraone e, contestualmente, non riuscì a scorgere il loro complice.
Quindi le parole di Am-nefer erano state veritiere.
Avrebbe dovuto confessare.
Durante la panoramica esplorativa, Doki scorse un volto strano.
Conosciuto…
forse, addirittura, un volto…
Amico.
Non lo riconobbe precisamente, non lo seppe associare ad una sua conoscenza, questo no…
Ma sapeva di aver già visto quella persona in qualche altro luogo.
Indugiò per alcuni secondi con lo sguardo fisso su quel volto.
Per un attimo a Doki parve che una smorfia fosse comparsa tra le rughe di quel viso anziano e scavato dall’incedere degli anni.
«Generale Doki! Sto parlando con te!» la voce del Faraone interruppe la sua meditazione su quel volto.
Subito il ragazzo, in modo quasi istintivo, girò di scatto il capo per fissare nuovamente il proprio sguardo in quello del sovrano.
Già, la paura gli fece compiere quel gesto.
La paura…
Ma la paura di che cosa?
In fondo lui avrebbe dovuto confessare.
Sicuramente la pena che il Re gli avrebbe comminato sarebbe stata quella capitale…
Quindi perché obbedire al Re?
La sua sorte era già stata scritta!
Scritta dal destino, dagli Dèi o da quei maledetti rivoluzionari e traditori dei Visir!
Ma poco importava come fosse giunto fin lì e per colpa di chi…
L’unica cosa importante era quella che, con la rassegnazione di un innocente, si apprestava a fare.
Doveva confessare.
Doveva assumersi la colpa di gesti ignobili ed infami, gesti che non aveva mai compiuto.
Gesti che mai, neppure per sbaglio, gli sarebbero venuti in mente.
Ed ancor meno se essi fossero stati rivolti a Meryt-Ra, la sua amata!
Ma il suo scopo non era salvare la propria vita.
Lui si sarebbe sacrificato per salvare la sua amata principessa.
L’unica cosa che gli importava era quella: salvare Meryt-Ra.
Si sarebbe sacrificato per lei.
Certo, fidarti di quel cane di Am-nefer non era sicuramente la più ovvia delle opportunità… nulla era certo con quel traditore.
Ma Doki non aveva nessuna possibilità.
Non poteva scegliere.
Il Faraone era sempre più spazientito:
«Generale Doki, come ti dichiari? Ti ricordo che mentire dinnanzi a me e agli Dèi costerà alla tua anima un’eternità di sofferenze. Se invece confessi e ti penti, gli Dèi, forse, avranno pietà di te. Le accuse che ti sono contestate sono state avanzate da tutti e due i miei Visir. Se ti dichiarerai innocente, verrà istruito un processo regolare. La sentenza potrebbe essere l’assoluzione oppure la condanna. Ma in caso di condanna, saresti maledetto per l’eternità e la tua morte sarebbe lenta e dolorosa. Se invece sei colpevole e confessi, ti concederò una morte rapida ed indolore e, nonostante l’odioso crimine, ti concederò di morire senza alcuna maledizione a tuo carico. Ora hai il quadro particolareggiato. A te la parola».
Gli accordi che il giovane aveva preso con il crudele Am-nefer erano chiari: avrebbe dovuto confessare.
Doki inspirò profondamente.
Era giunto il momento.
Inspirò nuovamente.
Non c’era più speranza.
Incrociò ancora una volta lo sguardo di Am-nefer: lo sguardo del consigliere del Faraone era eloquentemente teso.
Perfino il suo nemico non era certo che Doki confessasse.
Ma il giovane non intravvedeva altra possibilità.
Doki fissò il suo sguardo in quello del Re, gli occhi imperlati da calde lacrime:
«Maestà, io confesso».
Un vociare scandalizzato si sparse per la sala, ove era stata riunita tutta la corte più alcune decine di popolani selezionate.
«Che cosa confessi, Generale Doki?» volle sapere il Re.
«Confesso di aver intrattenuto una relazione con la figlia del Faraone. Confesso di aver tentato di sedurla carnalemente e, al suo espicito rifiuto, l’ira si è impadronita di me. Allora l’ho stuprata e poi, per evitare di essere scoperto, l’ho uccisa».
Il silenzio invase la sala.
Perfino il Faraone restò ammutolito.
Pochi attimi dopo, il sovrano, riacquistò le proprie facoltà intellettive:
«Doki, dove hai nascosto il cadavere? Le prove a tuo carico sono la testimonianza di Am-nefer che ti ha trovato in stato di shock con in mano le vesti che la principessa aveva indosso. Allora dimmi: dov’è il corpo di mia figlia? Dimmelo, sicché io possa donarle una degna sepoltura».
Doki fu travolto dal panico: Am-nefer non gli aveva specificato che cosa rispondere ad un quesito del genere!
Per un attimo lo sguardo del giovane si posò sui visi dei due Visir che, prontamente e quasi inconsciamente, abbassarono lo sguardo come colti in fallo.
Doki doveva riprendere la situazione in mano…
In fretta…
«M-Maestà… io…»
«Avanti, Doki! Dimmi dov’è!» il Faraone non lo chiamava più con l’appellativodi Generale… dopo la confessione non lo era più.
Il ragazzo doveva trovare una soluzione.
Rapidamente.
Poi, quasi come se il Dio Horus, il Falco, gli avesse bisbigliato all’orecchio una risposta credibile, Doki giunse alla soluzione:
«Avevo paura di essere scoperto, mio Re. Ho tagliato il corpo con un’ascia da guerra rubata dall’armeria del palazzo ed ho mutilato il corpo di Meryt-Ra più e più volte».
«Per gli Dèi!» fu la frase che si diffuse tra le masse.
Perfino Narmer sembrò scosso da quella dichiarazione.
Doki continuò:
«Il corpo della principessa è sparso in diversi campi vicino alle mura ed in alcuni pozzi fuori città. Credevo che fosse il modo migliore di occultare il cadavere. E poi sono stato colto con ancora in mano le vesti della principessa. Stavo per bruciarle, mio Re».
Diversi minuti di silenzio.
Un silenzio surreale.
Poi, il Faraone procedette:
«Doki, ti sei macchiato del reato peggiore e più ignominioso che ci sia: l’omicidio di un membro della Famiglia Reale. Per questo, nonostante l’odio che provo per te, rispetterò la parola data prima, durante questa assemblea: io ti condanno a morte per decapitazione. Non sei maledetto e ti sarà data degna sepoltura… quella che tu stesso hai negato a mia figlia. La condanna sarà eseguita in pubblica piazza domani all’alba. Che sia preparato il patibolo. E a voi, soldati della mia guardia… trovate, se possibile, tutti i pezzi di mia figlia, sicché io possa seppellirne le spoglie mortali».
Mentre pronunciava le ultime parole, il Faraone si alzò, gli occhi che luccicavano; si voltò subito e se ne andò rapidamente.
Tutti i presenti erano consci che il Re, per quanto granitico e Divino, era fuggito per piangere la morte della figlia in solitudine.
Per Doki si aprirono nuovamente, e per l’ultimo giorno, le porte delle prigioni di Djeka.