2 Febbraio 2015
DOKI E LA BEVANDA DEGLI DEI: quinto capitolo
«Mio Re, potrei chiedere un favore?» osò Doki.
«Chiedi, oggi è un giorno speciale. Forse acconsentirò.»
«Potrei rivedere mio padre, i miei amici e la mia casa un’ultima volta?»
Il re stette in silenzio, lo sguardo fisso negli occhi della sua giovane pedina per qualche secondo.
«E sia. In fondo… voglio conoscere l’uomo che dai suoi lombi ha generato un giovane dalla foga guerriera così indomita. Ma ti accompagnerò. Io e tutta la corte, beninteso».
«Tutta… la corte?»
«Così ho deciso.»
«Certo… e grazie, mio Re.»
Con un inchino il giovane si congedò dal Re.
Non appena uscito dalla tenda del Re, una figura leggiadra ed incantevole incrociò il giovane.
Fu come un colpo di fulmine.
Lei, una lunga tunica bianca di lino senza maniche, una cintura di cuoio con geroglifici ricamati sopra cingeva i suoi fianchi fini e perfetti.
Il collo decorato da un amuleto in ceramica rappresentante la Dea Opet, l’ippopotamo della fertilità femminile e della piena del Nilo. Il tondeggiante ciondolo cadeva in mezzo ai seni di lei, perfetti, tondi e pieni.
E quegli occhi, grandi e truccati…
C’era al mondo una figura più perfetta?
Ed ecco che la riconobbe, lei sembrò capire.
«Tu sei…»le chiese lei.
«Tu sei la ragazza del fiume».
«Allora ricordavo bene, sei uno di quelli che…»
Un energumeno in divisa militare pose una mano sul petto di Doki.
«Ragazzo, non è consentito parlare con la principessa»
«Principessa?»
«Tu sei…»
«Ehi, ragazzo! Non hai sentito quello che ti ho detto? Vuoi essere messo ai ceppi?»
«Chiedo scusa, io non…»
«Lascialo perdere, capitano. Lui è l’eroe della guerra. Durante la prima manifestazione pubblica del Re sarà insignito del titolo di Generale.» esordì il membro della guardia personale del Re uscito dalla tenda per accompagnare Doki nella sua tenda.
«Generale?»
«E’ un tuo superiore. Portagli rispetto.»
Preso alla sprovvista, l’energumeno non seppe che dire. Esibì solo un perfetto saluto militare, intimorito dalla rivelazione appena sentita.
«Chiedo scusa, Signore.»
«Non… non fa nulla…»
Anche Doki fu impressionato da quella notizia.
Fu stordito, incapace di muoversi ulteriormente.
«Credi di potermi far passare?» Chiese la Principessa, sorridendogli.
«Oh, ti chiedo scusa… io… io sono Doki»
«Ha comunque ragione, ragazzo.» disse il soldato della Guardia del Re a Doki.
«A che proposito?»
«A proposito della principessa. Le si parla solo per rispondere ad una sua domanda.»
«Ah, non… non sapevo… io…»
La bella ragazza aveva fatto due passi verso la tenda del padre, superando Doki. La giovane era comunque ancora abbastanza vicina per poter udire il dialogo tra Doki ed il soldato.
Lei si girò, sorrise al giovane e disse:
«Meryt-Ra»
«Come?» chiese l’ex contadino.
«Meryt-Ra. È il mio nome»
E poi sparì dietro al lembo della tenda che l’avrebbe condotta da suo padre.
«Meryt-Ra. La benedetta da Ra.»
«E’ il suo nome»
«E’ bellissimo.»
«E tu la devi dimenticare. Ora che il Re ha conquistato il Regno del suo rivale… Ora più che mai lui e la sua famiglia saranno innalzati ad un ruolo supremo. Quasi divino. E tu sei un tassello fondamentale di questo piano. Ma la Principessa… lei sarà considerata una Dea poiché derivante dal seme divino del Padre. Tu potrai esser insignito di ogni titolo, eroe compreso. Ma resti un Uomo. Non farti strane idee, non ti illudere. Saresti su di una forca prima del nuovo giorno.»
«Comprendo.»
«Me lo auguro. Ne va della tua stessa vita.»
La giornata di Doki procedette lenta. Nessun’altra visita.
L’indomani sarebbe andato nella sua vecchia e povera casa. Avrebbe salutato suo padre, vestito di tutto punto con le vesti da guerra di un generale.
Gli avrebbe detto addio.
Il destino gli aveva dato una grande opportunità e, ad ogni buon conto, non poteva certo disobbedire al Re.
Quindi la sua vita sarebbe cambiata, presumibilmente in meglio.
Ma avrebbe al contempo perso tutte le sue certezze, i suoi riferimenti, i pilastri portanti della sua giovane esistenza.
Sarebbe stato in grado di affrontare quella situazione, quella prova che sembrava tremenda?
Ma il volere degli Dei, il volere del Dio-Re erano stati espressi.
Chi era lui per rinuciare ad un’occasione del genere?
Chi era lui per disobbedire ad un Dio?
Si assopì, il giovane.
Il sole del giorno successivo sorse troppo presto.
Per lo meno per Doki.
Due serve giunsero nella sua tenda, lo svegliarono e gli servirono la colazione.
Poi lo aiutarono ad indossare un’armatura di cuoio rifinito e gli fecero indossare bracciali e collane d’oro e d’argento, simbolo della sua nobiltà.
«Questa roba… quando la dovrò restituire?»
«Mai, generale. Tu ora sei una delle più importanti personalità militari del regno. Molta gente di dovrà obbedienza e tutti, comunque ti dovranno rispetto.»
«Ma questa roba… non è mia.»
«Da adesso sì. Avrai ville e servitori zelanti. Questa sarà la tua vita.»
«Credo di capire. Tra quanto faremo visita a mio padre?»
«Non appena sarai pronto. Il Re ti sta già attendendo al centro dell’accampamento, nella piazza d’armi.»
«Allora non facciamolo attendere oltre.»
Un drappello composto da una cinquantina di soldati, un paio di centinaia di nobili vestiti come dei re, il re stesso, sua moglie e sua figlia ed una decina di generali dell’esercito stava giungendo lì, in quel piccolo agglomerato di catapecchie di fango e paglia che un tempo erano la casa di Doki e dei suoi amici e vicini.
Il padre del giovane era fuori, come tutti gli abitanti delle casupole che attendevano che quegli illustri, quanto mai inattesi ospiti giungessero lì.
Il capo villaggio, il capo della piccola comunità era in prima fila.
Dietro di lui gli anziani della piccolissima comunità, tra cui il padre di Doki.
Tutti tesi…chissà che cosa volevano da loro quei nobili guerrieri.
Loro erano solo dei poveri, poverissimi contadini.
«Buon giorno, Mio Re. E buongiorno a voi nobili d’Egitto. Che cosa possiamo fare per voi?»
«Buon giorno, miei cari sudditi. Siamo qui per un duplice scopo. Il primo è che l’eroe della battaglia, il Generale Doki giunge fin qui per salutare i suoi parenti ed amici. Egli si è distinto nella battaglia che ha portato alla vittoria l’esercito degli Dei, il mio esercito».
«Doki… figlio mio…»
«Padre!»
I due si abbracciarono teneramente, tutti e due piansero.
«Credevo che fossi morto. Sono andato in mezzo ai cadaveri, sul campo di battaglia, per… per cercarti…»
«Credevo di non vederti mai più!»
Dopo un paio di minuti, il Re riprese a parlare e tutti, compresi il padre ed il figlio, si voltarono ad ascoltare il Re.
«La seconda e più importante ragione che mi spinge qui, è la seguente: questo luogo, il luogo dove voi avete le vostre case, sarà il centro della mia nuova Capitale, qui dove i due regni si fondono. Questa sarà la città di Men-nefer. Voi avrete una casa vera, non di fango e fieno. E potrete coltivare una parte dei campi attorno alle mura della città. È un grande giorno per tutti.»
Tutti lodarono il nuovo Re.
Un paio di ore dopo il banchetto organizzato in fretta e furia dai sudditi del Re che vollero condividere con lui e con tutta la corte le poche risorse alimentari che possedevano, fu pronto.
«Mio Re» disse Doki «ti chiedo per cortesia di poter visitare le stalle di mio padre. Quegli animali che la abitano sono parte della mia vecchia vita. Vorrei salutarli come si conviene».
«Ti capisco. Andiamo».
«Nella stalla? Ma non credo che sia un luogo adatto ad un Re».
«Ragazzo, vi è forse luogo, nel mio regno, che mi è interdetto?»
«Certo che no! Ma una stalla…»
«Gli animali non sono forse una creazione ed una benedizione degli Dei, al pari della Piena del Nilo e del Nilo stesso? Non è forse grazie alla loro fatica che noi possiamo godere della carne, del latte e dei formaggi? E non è grazie alle doti che gli Dei hanno loro donato che possiamo arare e sotterrare in profondità le sementi?»
«Certo mio Re.»
«Allora non vi è luogo più adatto ad un Re che la stalla dove vivono delle creature così belle ed al contempo divine».
Doki, come tutti i contadini del villaggio, furono stupiti da quelle parole.
Mai si sarebbe potuto ipotizzare che un Re, un Dio, avesse un rapporto così profondo con la natura.
Certo, i sacerdoti ed il sovrano stesso pregavano ogni giorno perché il sole sorgesse ed il Nilo fosse colmo d’acqua.
Ma chi poteva immaginare che il Re considerasse divini quegli animali che venivano posti sotto ad un giogo e bastonati per rendere di più sotto al sole cocente?
«In verità, miei cari sudditi, le vacche ed i tori, i buoi ed i vitelli, sono gli animali sacri al Dio Api.»
Tutti furono sbigottiti da quella rivelazione.
« Quando Men-nefer, la mia città, sarà completata, tra i vostri animali, che hanno avuto il privilegio di abitare questa terra prima del Re, verrà scelto un toro. Esso sarà benedetto e sarà il Toro di Api. Vivrà nei recinti del tempio dedicato al Dio e sarà il tramite tra noi e la Divinità. Esso proteggerà il raccolto di tutti i campi del regno e sarà il protettore degli agricoltori. Ed i suoi figli dopo di lui. Trattate sempre con riguardo queste magnifiche creature. Loro sono depositarie di un segreto che ai mortali è negato conoscere. Andiamo, Doki?»
«C-certo, mio Re.»
I due, accompagnati da tre armigeri, si diressero verso la vicina stalla.
Entrarono e subito furono investiti da una zaffata di odore pungente: un misto tra sterco, odore di fieno e gas della digestione dei ruminanti. Un odore sgradevole sul momento che si sarebbe trasformato in una fragranza piacevole in pochi minuti.
L’odore tipico di una stalla, insomma.
«Così questi sono animali benedetti?» chiese Doki.
«Sì. Questa è la verità».
Doki accarezò uno ad uno i bovini che ricambiarono con muggiti, leccandogli le mani.
Lo sguardo del giovane indugiò su di un secchio.
Si avvicinò e vide una poltiglia relativamente informe che pochi giorni prima era orzo immerso in acqua.
Notò che i semi erano germinati ed ora piccole radichette si erano sviluppate da un’apice dei semi e dall’altra un piccolo germoglio faceva capolino.
«Eh, tutto da buttare».
«Che cosa?» chiese il Re, del tutto a suo agio in quell’ambiente insalubre.
«Quest’orzo. L’avevo messo ad ammollare in acqua prima della battaglia. Sono passati giorni e non credo che mio padre l’abbia notato. I semi son germinati. Ma non è periodo di semina. E gli animali non gradiscono l’orzo quando è così».
«Vorrei vederlo. Non ho mai visto l’orzo appena germinato».
«Certo Maestà. Ma devo avvrisarvi… l’odore non è buono».
«il profumo della vita non sempre ci è gradito. Anche l’odore del letame non lo è. Ma senza di esso non crescono le piante. Quindi è odore vitale ed anche se non ci piace è, a modo suo, un profumo squisito. Voglio vedere».
«Come desiderate.»
il ragazzo porse il secchio al sovrano, tentando di allontanare il volto dalle dirette esalazioni provenienti dal secchio.
Un odore strano ma non così sgradevole in vero.
Il Re allungò il collo e le sue nari finirono nella traiettoria diretta delle esalazioni.
Il Re inspirò una volta.
Due volte.
Fece un profondo respiro.
«Doki… che cos’hai messo qua dentro?»
«Orzo, mio Signore. Solo orzo ed acqua. Gli animali adorano l’orzo inumidito. Ma questo è stato troppo a mollo».
«Questo odore… tu, fai portare nella casa del padre di Doki una botte della bevanda degli Dei della Mesopotamia. Doki, porta questo secchio in casa. Voglio verificare una cosa».
«Comandi.» risposero in coro Doki ed il soldato.
Una volta che il Re ed il nuovo generale furono seduti in casa, assieme al re decaduto, donatore della Bevanda degli Dei, il Re porse un bicchiere di quella che un giorno si sarebbe chiamata birra ai due ed un altro bicchiere con all’interno il liquido derivato dallo sgrondo del secchio.
«Ditemi» incitò il sovrano, «in tutta onestà, non è un odore simile quello che emanano i due boccali?»
i due commensali accostarono le narici prima ad uno e poi all’altro fluido.
«Sì» rispose Am-nefer, il re caduto «ma vi è qualcosa di… qualcosa di diverso. Ma non saprei dire che cosa.»
Il Re sentiva dentro di se che il segreto della “bevanda degli Dei” era a portata di mano.
Possibile che dell’orzo in acqua potesse divenire così buono?
Possibile che fosse la base di quella bevanda?
«Ma noto che l’odore della bevanda… è diverso… prima di tutto credo che abbia un sentore di… di cotto. E poi… anche l’odore è in realtà più pungente… non saprei…»
«Dici che si deve cuocere?»
«Non so. Il mio mestiere era la politica, non la cucina, Narmer» disse Am-nefer.
Il Re si chiuse, le braccia conserte, in una profonda riflessione.
«Doki, ho deciso. Voi due vi occuperete anche della ricetta della bevanda. Voglio che la perfezionate. Sono sicuro che la base di questa bevanda nel boccale sia quell’intruglio che davi alle tue bestie. Lavorateci su. Quando Men-nefer sarà completata organizzerò un banchetto che non ha precedenti nella Storia. E voglio poter offrire a tutti i miei sudditi questa bevanda divina, simbolo della mia benevolenza. Quale modo migliore per esser amato dal popolo se non regalargli una bevanda degli Dei?»
«Avremo bisogno di aiuto, mio Re».
«Lo avrete. I miei cuochi sono a vostra completa disposizione. Ma fate in modo di terminare il vostro lavoro prima che io finisca la mia scorta, quella che tu mi hai donano Am-nefer».
«Come vuole il Re».
«Ed ora beviamo un po’ di questo nettare divino, che vi sia d’ispirazione».
Mentre beveva, Doki, non potè fare a meno di pensare a lei… alla figlia del Re.
Doveva riuscire a conquistare il padre per poter ottenere le grazie della figlia. Doveva trovare il modo di replicare quella bevanda.
Quel giorno fu decisa la Storia.
Quel brindisi, anche se non documentato, aveva sancito l’inizio di una nuova era.
Quel giorno l’Egitto unificato si preparava per produrre la propria prima bozza di birra.
La propria ricetta originale.
Quel giorno, per merito o per colpa di un giovane agricoltore, si incominciava a scrivere la Storia di una delle due bevande Divine per eccellenza: la Birra.