5 Gennaio 2015
DOKI E LA BEVANDA DEGLI DEI: terzo capitolo
La battaglia era cominciata.
Ed era stato proprio lui, Doki, ad innescare lo scontro.
Dalle retrovie un Leader osservava la scena.
Un Visir, le mani sulla bocca, in segno di sconcerto, venne interrogato.
«Chi è quel folle?» chiese il comandante dell’esercito.
«Mio Re, non lo so… non è in fila come tutti gli altri… e non possiede neppure una picca.»
«Potrebbe non essere un nostro soldato?»
«Potrebbe non essere neppure un soldato.»
«E quindi, chi è?»
«Un folle, presumo.»
«Oppure un messaggio Divino.»
«Non credo che gli Dei combattano questa battaglia.»
«Lo so bene, Visir. Ma se sopravvive, lo voglio vedere nella mia tenda.»
«Mio Signore… non credo che sia una buona idea…»
«Vorresti discutere i miei ordini?»
«Certo che no!»
«Fai in modo che la fanteria di prima linea riceva l’ordine di mantenere vivo e vegeto quel ragazzo.»
«La battaglia potrebbe essere difficile ed incerta già così… questo ulteriore compito…»
«Lo voglio utilizzare per la mia propaganda. Che il popolo abbia un suo idolo, un guerriero divino proveniente dalla casta più umile, che sia schierato al mio fianco. Quindi, te lo ripeto, prima che io perda la pazienza, fai in modo che quel piccolo selvaggio sopravviva.»
«Come il Sommo Narmer desidera.»
La battaglia infuriava, pochi istanti dopo il primo fendente portato da Doki ai danni di un fante dell’esercito rivale, il giovane era caduto a terra.
Il guerriero lo aveva liquidato con un solo, rapido gesto.
Un colpo preciso, sferrato con il bastone di legno della picca, ed il giovane era caracollato a terra, privo di sensi.
Nessuno degli altri soldato lo degnò della seppur minima considerazione.
Tutti erano tesi allo scontro con dei veri rivali.
Dei veri soldati.
Il clangore delle armi e le urla della battaglia si innalzavano fino alla volta celeste, laddove, sicuramente, Ra ed Amon osservavano impietriti il popolo da loro prediletto combattersi in una lotta intestina.
Tre soldati colossali, imponeti e determinati si erano fatti strada sul campo di battaglia falciando i guerrieri.
Avevano piantato picche nei toraci, staccato teste dai colli con un solo fendente, parato duri affondi con il proprio scudo e risposto con colpi netti e precisi… mortali.
Erano tre membri della guardia personale di Narmer, guerrieri d’elité. L’ultimo baluardo a protezione del proprio Re.
Dovevano per forza essere i guerrieri migliori.
Ed in quella occasione, i tre feroci soldati, erano stati inviati a recuperare un giovane nel bel mezzo del campo di battaglia.
E, nonostante essi non conoscessero l’identità di quel loro giovane obiettivo, speravano con tutto il cuore che fosse ancora vivo.
Essi stavano rischiando la propria vita per salvare un ragazzo che era divenuto interessante per il Re Narmer.
Scontentarlo non era contemplato nelle opzioni per mantenersi vivi.
Pochi metri.
Una miriade di cadaveri.
E poi Abshul, il capo del piccolo manipolo, lo vide.
Era un ragazzo troppo giovane per far parte dell’esercito e non indossava neppure l’armatura di cuoio o i candidi abiti di cotone che componevano la divisa dell’esercito.
Era sicuramente lui.
Si avvicinò e lo sollevò con un solo braccio.
Se lo caricò sulla spalla; gli altri in formazione, in modo da proteggere il proprio capo ed il suo prezioso fardello. «Sembra che sia ancora vivo.»
«Lo vogliano gli Dei!»
«Portiamolo via di qui il più in fretta possibile!»
Senza tergiversare ulteriormente il piccolo drappello si fece strada a colpi di spada nella folla, in modo da giungere nelle retrovie.
Doki era salvo.
Narmer stava vincendo la battaglia.
Il Re del Delta del Nilo sorrise.
Tutto sembrava volgere a suo favore.
Gli Dei erano con lui.
La battaglia era durata diverse ore.
Prima che il sole abbandonasse il limpido cielo, l’esercito di Narmer aveva guadagnato la vittoria.
Era il momento di incontrare il Re sconfitto.
Era la prassi.
I due sovrani, sotto il vigile occhio della Guardia personale di Narmer, avrebbero mangiato un frugale pasto discutendo i termini della resa del sovrano sconfitto.
Narmer non era famoso per concedere sconti agli sconfitti.
Questo il sovrano ormai in procinto di essere deposto lo sapeva.
«Ben arrivato, Am-Nefer.»
«Invoco pietà per me e per la mia gente. Abbiamo combattuto uno scontro che gli Dei avevano già deciso di far vincere a te, Narmer.»
«Ma questi presagi non ti hanno impedito di muovermi guerra, dico bene?»
«Ah, la cupidigia umana! Che stolto sono stato!»
«Dici ben. Stolto. Ma non sprovveduto.»
«Non ti seguo…»
«Oggi nasce un nuovo Egitto. Un Egitto unificato. Un Egitto di cui l’unico Signore e Padrone sono io, Narmer.»
«Certo, i miei territori sono da oggi tuoi. Ed i miei soldati ti serviranno, combattendo per te… Ma…»
«Ma?»
«Ma il mio popolo… loro godono di privilegi, quegli stessi privilegi dettati dalla presenza della capitale nei propri territori. Che ne sarà di loro quando dovranno eseguire ordini provenienti da lontano? Ordini di gente che non condivide la loro cultura, le loro abitudini e le loro tradizioni?»
«I tuoi vecchi sudditi si ribelleranno, dunque ,a me?»
«Narmer, non sei neppure tu uno sprovveduto. Non dirmi che hai supposto una transazione pacifica dal mio regno al tuo.»
«No, Am-Nefer. Ci ho sperato. Ma non ne ero sicuramente convinto.»
«Ed allora, se io ti giurassi fedeltà?»
«Vorresti avere salva la vita?»
«E vorrei governare le terre che da ora sono tue, sotto ai tuoi vessilli.»
«Tu, quindi, vorresti divenire mio vassallo, governare comunque i tuoi territori, ed insomma mantenere immutata la situazione?»
«Detto in altri termini… sì.»
«E credi veramente che io sia incline ad ottemperare alla tua richiesta? Non stai peccando di ingenuità?»
«Al contrario, la mia è una visione razionale.»
Narmer indossava un disco metallico sul capo, una corona.
Anche Am-Nefer ne indossava uno.
Quello appartenente a Narmer era rosso, mentre quella dell’altro sovrano era azzurro.
«Ti dirò esattamente quello che avverrà, Am-Nefer.»
Il re sconfitto deglutì rumorosamente. Era certo che le prossime parole che sarebbero fuoriuscite dalla bocca di Narmer sarebbero state quelle che lo condannavano a morte.
«Ti ascolto.»
«Organizzeremo due cerimonie, una nella tua capitale ed una nella mia. Durante queste cerimonie tu mi donerai la tua corona ed io indosserò questo doppio copricapo. Con questo gesto tu mi donerai il tuo regno. Ed il tuo popolo saprà di essere mio suddito.»
«Ed una volta che queste due cerimonie saranno compiute? Quale sarà il mio destino?»
«Come hai detto, non sono uno sprovveduto. Avevo ipotizzato da me che, in caso di vittoria, avrei dovuto fare i conti con una resistenza forte del tuo popolo. E non ho nessuna intenzione di far sprofondare il mio nuovo regno in una guerra civile.»
«Quindi?»
«Quindi in queste due cerimonie ti nominerò mio Visir del Nord.»
Am-Nefer non credeva alle proprie orecchie; sarebbe sopravvissuto ed avrebbe mantenuto intatto o quasi il suo potere!
Questo Narmer era più ingenuo di quanto potesse immaginare! Doveva solamente ringraziare gli Dei di possedere un esercito più numeroso del suo!
«Bada, Am-Nefer, non fare salti di gioia troppo alti. Non sono neppure stupido»
In un attimo l’euforia che lo sconfitto tratteneva dentro al suo petto si trasformò nel terrore più cupo:
«Non capisco…»
«Sarai il mio consigliere solamente di facciata. Il tuo popolo crederà che io sia un Re magnanimo e che tu continuerai a rappresentarli in seno alla mia corte. Sarai invece mio prigioniero, senza alcun potere. Vivrai a corte, sarai servito e trattato con rispetto. Ma non avrai poteri.»
«Sarò quindi condannato ad una prigionia dorata per il resto dei miei giorni?»
«Preferisci forse morire qui assieme alla tua famiglia?»
Con riluttanza, Am-Nefer si inginocchiò e, lo sguardo al suolo, disse: «Perdonami, mio Re. Sarò onorato di trasferirmi con tutta la mia famiglia nel tuo palazzo.»
«Eccellente. Per ora alloggerai nella tenda qua accanto, ovviamente sarai sempre sotto scorta. Non fare pazzie, mi raccomando. I miei soldati hanno l’ordine di sopprimerti, qualora tentassi di scappare o di ribellarti. Ed anche i tuoi figli seguirebberoil tuo destino.»
«Non avere dubbi, mio Re. Sarò mansueto come un agnellino.»
«Me lo auguro. Per il bene dell’intero Egitto.»
Con un gesto della mano Narmer congedò il suo nobile ospite.
«Mio Signore, posso permettermi di condividere con te un nettare divino?»
«Cosa intendi?»
«Vorrei festeggiare la tua lungimiranza e la tua benevolenza. Posso offrirti una bevanda che ho importato per me, quando ancora ero Re, dalle lontane terre della Mesopotamia?»
«Intrattenevi rapporti commerciali con quelle terre così lontane e barbare?»
«Lontane sì, ma barbare… assolutamente no. Pensa, mio Re, che hanno una bevanda che da secoli è utilizzata nelle feste, nei riti per gli Dei e per dissetare i Re. Un mercante proveniente direttamente da quelle zone, uno dei miei fornitori ufficiali, me ne fece assaggiare una giara quattro anni fa. Da allora non passa giorno in cui io non beva questo divino fluido. Mi permetti di offrirtene un po’?»
«Non vorrai avvelenarmi, vero?»
«Non sarei così vile e stupido. Berrò io per primo. Se non credi alla mia buona fede, fai portare qua il mio primogenito. Assaggerà anche lui questa bevanda prima ti te.»
Alcuni attimi di silenzio poi, Narmer, rese nota la sua decisione.
«E sia, festeggiamo questa vittoria.»
Diede ordine ad Abshul di seguire il paggio del sovrano decaduto, recuperare una giara di quella intrigante bevanda e di tornare con due coppe nella tenda.
Venti minuti dopo, il tempo che fu necessario per giungere nella tenda da guerra del re decaduto, eseguire gli ordini e tornate, i due assaggiarono quella bevanda.
Quella bevanda era di colore giallo intenso, paglierino.
Una leggera schiuma bianca si era sviluppata mentre quella sostanza veniva rovesciata nelle coppe.
«Che colore bizzarro… sembra…»
«Lo so che cosa sembra. Ma l’urina di cammello ha forse lo stesso odore?»
Narmer accostò il naso al calice: speziato, pungente….
Titubante, il re non seppe se assaggiare quella bevanda.
Il suo sguardo si fissò sul suo commensale che stava già degustando quel liquido così poco invitante.
«Come puoi vedere sto bevendo. Non vi è veleno, mio Re.»
«Sei sicuro che questo intruglio sia buono?»
«Prova, mio Re. Certo, ad alcuni non piace. Ma questa è una bevanda nobile, da Re. Sono sicuro che te ne innamorerai.»
Narmer accostò le labbra al fluido. Esso penetrò nella cavità orale.
In un attimo un misto di sapori nuovi ed afrodisiaci si presentarono alle sue papille gustative.
Era veramente buona, quella bevanda!
E quelle bollicine, quella schiuma…. Inebriante, senza dubbio!
«Per gli Dei!» esordì dopo l’assaggio, entusiasta «è veramente divina! Speziata, rinfrescante, dissetante! Una bevanda da Re, ne convengo!»
«Sono contento che ti piaccia!»
«E come si chiama?»
«Il suo nome è impronunciabile per noi egizi. Ma la sua traduzione è letteralmente, stando alle parole del mercante, “Bevanda degli Dei”»
«Bevanda degli Dei… una bevanda adatta ad un Re, senza dubbio. Una bevanda adatta ad un Dio. Un Dio come colui che ha riunito sotto ad un unico vessillo le Due Terre!»
«Certo, certo….»
«Voglio la ricetta. Come si fa?»
«Non lo so.»
«Dov’è il mercante? Lo chiederò a lui.»
«Ahimé è morto durante un assalto dei beduini, mentre tornava nella sua patria per rifornirsi di nuove merci.»
«Invierò un messo in quelle terre. Instaurerò un nuovo commercio, potenziato con quelle zone.»
«Non credo che sarà possibile, mio Re.»
«E perché?»
«Per editto, i Templi e la sola famiglia reale hanno ora il diritto di bere questo nettare. Me lo comunicò circa dieci mesi or sono il mio fidato mercante. Già allora mi comunicò che le giare che mi consegnò allora sarebbero state le ultime.»
«Oh, per gli Dei!»
«Mi dispiace, Narmer. Prendi tutte le giare in mio possesso. Dureranno almeno tre anni.»
«Conto di vivere più a lungo!»
«Mi dispiace.»
«Ora va. Risolverò questo problema.»
Il Re degustò ancora quel divino nettare, quella bevanda dei Re; quella che un giorno, millenni dopo, tutti avrebbero chiamato con un nome meno altisonante, ma sicuramente non meno nobile: Birra.