Numero 21/2019
20 Maggio 2019
Grandi birrifici d’Italia: Peroni
Tratto da La birra nel mondo, Volume I, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Francesco Peroni nacque nel 1818 a Galliate, in provincia di Novara, da una famiglia di pastai. Sul finire del 1845 si trasferì a Vigevano, dove cominciò a lavorare come bottigliere, per aprire l’anno dopo una fabbrichetta di birra che veniva venduta in un locale accanto all’impianto di produzione e col permesso speciale di prolungare l’apertutura fino alle 23.30.
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Vigevano era un piccolo centro del Regno Sabaudo che contava ben 57 birrifici. Ognuno di essi produceva le solite vienna, münchner e pilsner. E il mercato non era così ricettivo, perché mancava una cultura birraria. Sicché Francesco si ritrovò ben preso a dover fare i conti con la dura realtà. Dalla moglie, Matilde Merzagora, aveva avuto sette figli, tre femmine e quattro maschi. Questi ultimi lavoravano, sì, nell’azienda familiare; ma tra di loro non correva certo buon sangue.
Poi Vigevano passò alla Lombardia. E, anche se questa regione nel 1859 era stata annessa al Piemonte, venne a mancare il fermento della politica cavouriana.
Mentre i segni della vivacità economica arrivavano sempre più netti dalle grandi città, dove università, caserme, truppe straniere, e il flusso turistico, avevano preso a sprovincializzare i gusti e le abitudini alimentari. Roma poi, addirittura divenuta capitale d’Italia… senz’altro avrebbe offerto qualcosa in più.
Nel 1864 Peroni si trasferì dunque a Roma dove, accanto alla fabbrica, aprì un pub. Entrò poi in contatto con Francesco Malfatti e Pietro de Luca, due facoltosi commercianti romani. Nacque così la Ditta Francesco Peroni e Compagni per la fabbricazione della birra, della gassosa e dell’aceto, nel cuore della città “eterna”, in un palazzo di 111 stanze dei conti Mignanelli.
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Nel 1867 Giovanni, il primo dei figli maschi, appena diciottenne, fu chiamato a Roma dal padre, anche perché Malfatti era uscito quasi subito dalla società. Mentre l’azienda di Vigevano continuava a essere gestita da Francesco, coadiuvato dal figlio Ercole.
Nel 1871 l’attività della fabbrica, seguita da Giovanni in tutto e per tutto, venne trasferita nei pressi di San Pietro.
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Molto proficuo si rivelò il matrimonio di Giovanni con la figlia di Giacomo Aragno, proprietario del Caffè Pasticceria Aragno, nei pressi di via del Corso. Il locale, con la nuova denominazione Caffè Aragno-Peroni, portò a un’ampia diffusione del marchio birrario in tutta la città. E Giovanni, che ne aveva acquisito la maggioranza, prese a occuparsi principalmente di esso.
Nel 1886 arrivò per la Peroni il primo riconoscimento ufficiale di cui si abbia notizia: “menzione ufficiale” all’Esposizione e Fiera Nazionale dei Prodotti Alimentari di Roma.
L’anno successivo Giovanni fece venire a Roma il fratello più piccolo, Cesare, allora diciottenne, per dare un più sostanzioso contributo alla fabbrica.
Nel 1894 Francesco morì. Due anni dopo la ditta vigevanese chiuse per fallimento, ed Ercole si trasferì definitivamente a Galliate. Tutti gli interessi della famiglia Peroni si concentrarono così a Roma.
Cominciava una nuova era per l’azienda, con uno sviluppo che non avrebbe più conosciuto soste. Alla fine del 1800 la fabbrica aveva un valore da inventario di 280 mila lire. Nel 1901 avvenne la fusione con la Società Romana per la Fabbricazione del Ghiaccio, nei pressi di Porta Pia, e sorse una società per azioni, Società Riunite Fabbrica di Ghiaccio e Ditta F. Peroni.
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Nel frattempo erano cominciati i lavori per la costruzione di un nuovo stabilimento che, se pur terminato nel 1907, assumerà la struttura definitiva soltanto nel 1926 a causa di successivi ampliamenti e trasformazioni.
Nel 1905 la ragione sociale della ditta fu modificata in Società Ghiaccio e Birra Peroni. Compariva per la prima volta il termine Birra, a dimostrazione dell’importanza che questa bevanda aveva assunto in ambito societario.
A distanza di due anni la Società Ghiaccio e Birra Peroni fu messa in liquidazione. Venne costituita poco dopo la Società Anonima Birra, Ghiaccio e Magazzini Frigoriferi a cui, in meno di un mese, si aggiunse il nome Peroni.
Nacque quindi la Società Anonima Birra Peroni, Ghiaccio e Magazzini Frigoriferi.
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Nel 1908 l’organizzazione commerciale introdusse la figura del “viaggiatore”. Luigi Fontana, proveniente dalla Birra Metzger di Torino, ebbe il compito precipuo di “viaggiare” appunto per l’Italia centromeridionale allo scopo di procacciare nuovi clienti e redigere relazioni sulle condizioni del mercato.
Nel 1913 Giovanni Peroni diventò presidente della società che, a sua volta, figurava quale prima azienda nel settore birrario italiano.
Durante la prima guerra mondiale, la Peroni riuscì a mantenersi a galla con alcuni espedienti, come l’abbassamento del grado saccarometrico, l’uso di succedanei (riso, castagne, fichi secchi) nelle proporzioni naturalmente consentite dalla legge.
Alla fine del conflitto, nel territorio romano erano rimaste attive soltanto due imprese birrarie: la Peroni e la Società Anonima Birra Roma. La seconda, costituita nel 1913, non aveva certo le dimensioni e il giro d’affari della prima; aveva comunque saputo abilmente superare gli inconvenienti bellici. Purtroppo, nel 1918, fu costretta a sospendere la produzione, vuoi per i guai che le erano piovuti addosso da violazioni delle disposizioni fiscali sulla fabbricazione e sull’esportazione della birra vuoi per le difficoltà nel reperire le materie prime.
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Sembrava che la Peroni non dovesse più preoccuparsi di scomodi concorrenti… ma ecco arrivare da Firenze la Birra Paszkowski. Prima, acquistò un terreno in via degli Apuli per impiantarvi un centro produttivo e, nel 1920, rilevò addirittura la vicina Birra Roma inattiva. Chiaramente l’intento era quello di intraprendere un vero e proprio braccio di ferro con la leader romana per il controllo del mercato nell’Italia centromeridionale.
Alla morte di Giovanni, avvenuta nel 1922, il figlio non si fece trovare impreparato. Dopo aver gestito il Caffè Aragno-Peroni (poi venduto all’Alemagna), Giacomo era entrato da un anno attivamente nell’azienda familiare. E poteva senz’altro contare su una discreta formazione brassicola: un periodo di pratica presso la Birra Forst, il soggiorno di quattro mesi a Monaco di Baviera per seguire i corsi del professor Fries e visitare le principali fabbriche della città.
La Peroni andava assumendo dimensioni sempre più ampie: era dunque arrivato il momento di pensare a un decentramento. Nel 1924 decise di costruire un nuovo stabilimento a Bari. L’anno successivo acquistò un deposito di Napoli che diede in gestione ai soci Manfredi Pronio ed Egidio Maone.
Sul finire del 1926, in un caffè di piazza Esedra a Roma, fu inaugurata la campagna di acquisizione della proprietà di fabbriche concorrenti. In Umbria, la Birra Perugia apparteneva a due soci, Dell’Orso e Sanvico. La famiglia Sanvico era legata ai Peroni da vecchia data per via delle comuni origini lombarde. Da qui la facilità con cui Cesare Peroni riuscì a strappare l’attività alla vedova Felicina Sanvico. E, una volta assorbita, la Birra Perugia fu posta in liquidazione.
A Napoli, le Birrerie Meridionali, con l’unica concorrenza della Società Anonima Birra Partenope, non solo dominavano il mercato cittadino, avevano anche un forte radicamento in Campania e ramificazioni nelle regioni limitrofe.
Nate nel 1904 con capitale svizzero, belga e, in misura minore, italiano, già nel 1927 ebbero bisogno di un aumento di capitale per tamponare la crisi finanziaria. L’anno successivo si chiuse in perdita. Fu quindi un gioco, nel 1929, per l’azienda romana rilevarle e costituire la Birra Peroni Meridionale.
A Montenero, vicino a Castel di Sangro, la Birra Abruzzo, anche se piccola, si mostrava molto attiva. Aveva la sede amministrativa a Milano, come milanese era in prevalenza il suo capitale sociale. Col tempo, appoggiata dalla Banca d’Altafena, aveva saputo ben inserirsi nel tessuto locale. Appariva insomma un concorrente piuttosto scomodo. Nel 1930 la Peroni ne acquistò la quota azionaria di maggioranza.
Nel corso del 1930 anche in Italia cominciarono a farsi sentire gli effetti della crisi provocata da Wall Street. La Peroni si mise subito all’opera per cercare di contenere i danni tramite interessanti novità commerciali. Iniziò col rivoluzionare il concetto e l’immagine del prodotto “birra” lanciando il Peroncino, la bottiglietta da 20 cl. E il quintino riscosse tal e tanto successo che l’azienda fu costretta a toglierlo saltuariamente dal mercato per poter vendere gli altri formati.
Anche il messaggio pubblicitario, fino al 1924 affidato al ciociaretto (firmato da Romolo Tessari nel 1910) che si teneva ben stretto per strada lo spumeggiante boccale di birra, si era evoluto. Adesso un cameriere scapigliato si affannava nella corsa ai tavoli con tre boccali traboccanti per ciascuna mano, elevando l’espressione concreta della bevanda consumata al bar, al caffè, al ristorante.Mentre, per incentivare il consumo anche in casa, si ribatteva sulle proprietà nutritive della birra, confrontandole con quelle del pane, del latte, della carne.
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Seguì, dal 1934, una diversificazione merceologica, con l’immissione nel mercato della limonata, dell’aranciata e del tamarindo Peroni.
Nel 1936 l’impresa romana, che già esportava in Palestina, Siria, Albania, entrò a far parte della Compagnia Imperiale per la Birra in Etiopia, la neosocietà per azioni in cui la quota maggioritaria era detenuta dalla Dreher. Nello stesso anno riprese la politica degli assorbimenti di altre birrerie, cominciando dalla Società Anonima Birra Partenope che non aveva mai perduto di vista.
L’azienda appena menzionata occupava la sede di un’antica fabbrica inglobata, la Birra Carbone, fondata da Enrico Carbone. Aveva una potenzialità notevole per quei tempi: 300 ettolitri di birra e 600 quintali di ghiaccio al giorno. Ma i grossi debiti contratti con il Banco di Napoli, il Consorzio Sovvenzioni e altri istituti di credito locali l’avevano portata, nel 1934, al fallimento. All’asta, la Peroni poté così comprare l’immobile e i macchinari.
Nel 1938 fu acquistata la piccola fabbrica di Macerata, la Birra Cioci.
L’anno successivo toccò alla Birra Livorno dei fratelli De Giacomi, fondata intorno al 1892, rilevando una precedente attività, da Giuseppe de Giacomi, di origini svizzere e proveniente da Borgofranco d’Ivrea dove lo zio aveva una modesta impresa birraria.
Arrivò pure il secondo conflitto mondiale. I danni maggiori, la Peroni li subì a Napoli dopo l’armistizio del governo Badoglio con gli Alleati. Le truppe tedesche, da un normale rapporto di fornitura, passarono a requisire le scorte e a pretendere poi la consegna gratuita della birra. Alla fine, prima di andar via, fecero saltare in aria gli impianti. Si salvarono alcuni macchinari e una parte della bevanda che erano stati nascosti. Sicché la produzione poté riprendere solo verso la fine dell’inverno del 1944.
Nel 1953 avvenne l’acquisto della Birreria Dormisch di Udine. Il fondatore, Francesco Dormisch, proveniente da un territorio sloveno, nel 1881 aveva cominciato a produrre birra in un paesino a una cinquantina di chilometri dal capoluogo friulano.
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Più tardi, si era trasferito in città per costruire una fabbrica moderna che alla sua morte, nel 1939, “sfornava” ben 14 500 ettolitri all’anno. Requisita, prima, dalle truppe tedesche e, poi, da quelle alleate, la Dormisch si era subito ripresa negli anni della ricostruzione: nell’esercizio 1952-53 aveva superato i 31 mila ettolitri. Addirittura, dall’immediato dopoguerra, aveva cominciato a intrufolarsi nelle Marche, in Abruzzo, nel Molise, arrivando sino a Foggia.
Per la prima volta nella sua storia, la Peroni ritenne opportuno di continuare a commercializzare il prodotto della Dormisch, nel territorio dove era più radicato, con il marchio d’origine. Nello stesso tempo, iniziò la fornitura gratuita di materiale pubblicitario che divenne presto merce di scambio tra i collezionisti.
Dal 1946 gli sforzi dell’azienda si erano concentrati sul potenziamento dei centri d’imbottigliamento. Due anni dopo, con la morte di Cesare, la direzione aziendale passò nelle mani di Franco, il figlio maggiore. Quest’ultimo, recatosi negli Stati Uniti, insieme ad Alberto Canali e Gaetano Latmiral, per un viaggio di studio, scoprì, nell’avanzata tecnica di produzione americana, un nuovo modello organizzativo della logistica interna e una sorprendente velocità delle macchine di confezionamento. Maturò quindi l’idea di costruire un nuovo stabilimento a Napoli, precisamente a Secondigliano.
Franco ritornò negli Stati Uniti e, dopo vari scandagli, affidò la progettazione degli impianti allo studio degli architetti Harley Ellington & Day di Detroit, specialisti nel settore. Comprò tutti i macchinari, eccetto il Sudhaus fornito da una ditta tedesca, presso aziende statunitensi. Nacque così, nel 1955, la più moderna fabbrica di birra in Europa che adottava il modello di confezionamento americano utilizzando macchine molto veloci.
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Di notevole importanza si rivelarono i due accordi tra le birrerie italiane per unificare i formati delle bottiglie. Si recuperavano, in tal modo, i vuoti e senz’altro il prodotto ci guadagnava nella sua presentazione complessiva. Fu addirittura realizzata, dal 1958 al 1965, una campagna pubblicitaria collettiva su tutti i mezzi di comunicazione con messaggi affidati a testimonial del calibro di Anita Ekberg, Fred Buscaglione, Mina, Ugo Tognazzi.
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Seguirono, nel 1960, l’acquisto di metà del capitale azionario della Birra Itala Pilsen e, nel 1961, l’assorbimento della Birra Raffo di Taranto, due imprese di medio calibro. Quanto alla seconda, poiché il suo prodotto era commercialmente molto affermato in Puglia e in Basilicata, e abbastanza in Campania e addirittura in Calabria, fu mantenuto anche in questo caso il marchio d’origine.
In provincia di Cuneo, a Savigliano, la Birra Faramia (di Francesco ed Enrico Faramia) aveva una modesta capacità produttiva e nel 1959 era andata appena oltre i 4400 ettolitri; ma alla Peroni interessava entrare nel mercato piemontese, e la comprò nel 1961. In ogni modo, opportuni potenziamenti e ammodernamenti porteranno a superare, nel 1968, gli 11 mila ettolitri annui.
Benché inaugurato due anni dopo, nel 1963 il nuovo stabilimento di Bari risultava già in funzione, con notevole contributo alla crescita aziendale.
Nel 1958, quando la televisione cominciò a dedicare il primo spazio ufficiale alla pubblicità, “Carosello”, la Birra Peroni entrò nelle case di tutti gli italiani. Solo che il felice slogan “Birra sì però Peroni” nel giro di poco tempo dovette essere abbandonato, avendo la bergamasca Perolari, un’azienda che produceva fazzoletti, fatto valere i propri diritti di anteriorità nell’utilizzo della frase “Però Perolari che fazzoletto”. Ma, nel 1965, arriveranno le “bionde” Peroni, eleganti, allegre, comunque sempre improntate al buon gusto; anche se qualcuno intravvedrà l’esaltazione della donna oggetto, non tardando a suscitare polemiche.
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Il 1963 fu anche l’anno in cui cominciò un decisivo cambiamento organizzativo, sostenuto fervidamente dalla Peroni: si passò dal “franco domicilio” al “franco fabbrica”, con il concessionario nella funzione di anello di congiunzione tra azienda e cliente; nonché dal “vuoto a perdere” al “vuoto a rendere”. Lo stesso anno morì Franco Peroni. Il fratello Carlo affiancò l’anziano Giacomo al timone dell’azienda.
Le difficoltà in cui venne a trovarsi il gruppo Luciani permisero nel 1970 all’impresa romana di entrare in possesso al 100% della Birra Itala Pilsen. Nel febbraio del 1973 lo stabilimento rimodernato di Padova riprese la produzione, con molti tecnici dell’ex Itala Pilsen appunto. Intanto, nel 1971, era entrata in funzione anche la nuova fabbrica romana di via Birolli.
Grazie all’organizzazione manageriale, all’avanguardia nell’innovazione tecnologica, alla qualità dei prodotti, alla capillare diffusione commerciale, e, non da meno, alle campagne televisive, affissioni e stampa, negli anni Settanta la popolarità della birra Peroni ebbe una crescita esorbitante rispetto al decennio precedente.
Nel 1976 si ritirò, un anno prima di morire, Giacomo. La presidenza fu assunta da Giorgio Natali, e uno dei due posti di amministratore delegato fu assegnato a Rodolfo, uno dei figli di Franco Peroni.
Nel 1980 nacque la società operativa per azioni Birra Peroni Industriale. A fine anno, in cambio della distribuzione su tutto il territorio italiano della Amstel, l’azienda romana concesse alla Heineken la licenza di produrre e commercializzare la Birra Peroni nell’Ontario attraverso la Amstel Brewery Canada Limited. Agli inizi degli anni Ottanta lanciò la nuova birra speciale Black. Nel 1982 cominciò la fabbricazione, per la linea di prodotti Punto Weight Watchers, della Peroni Analcolica, che sarà sostituita nel 1988 dalla Tourtel. Nel 1983 inaugurò l’esportazione della birra Raffo negli Stati Uniti.
Col sopraggiungere della recessione, la Birra Peroni intraprese una maggiore razionalizzazione della produzione, chiudendo, nel 1984, le fabbriche di Livorno (ormai ridotta a deposito) e di Savigliano, con la concentrazione del servizio commerciale per l’Italia settentrionale su Padova. La stessa triste sorte toccò agli stabilimenti di Taranto, nel 1985, e di Udine, nel 1988.
Il 1986 segnò, grazie anche all’indovinata campagna affidata a Renzo Arbore, una forte ripresa dei consumi. L’anno dopo morì Carlo.
Gli anni Ottanta videro anche l’assalto dei colossi internazionali al settore birrario italiano. Risultato: delle industrie di antica tradizione, rimasero in mano alle famiglie fondatrici soltanto la Peroni e la Forst. Da parte sua, la società romana, nel 1986, rilevò il 35% delle azioni nella Birra Von Wunster di Seriate per poi cederlo alla Interbrew nel 1991. Ma il traguardo più importante sul piano strategico e industriale, lo raggiunse nel 1988, con la fusione per incorporazione della Wührer che, con tre marchi (Wührer, Crystall e Kronenbourg in tre stabilimenti) produceva annualmente 1 milione 200 mila ettolitri. Chiaramente aveva dovuto cedere, in cambio, il 24,5% delle azioni della Birra Peroni Industriale. Quota che riscatterà dopo la vendita, da parte della Danone, delle attività brassicole alla Scottish & Newcastle.
Proseguendo invece sulla strada della razionalizzazione, l’azienda romana chiuse, nel 1988, la fabbrica di Brescia e, nel 1993, quella di San Cipriano Po. Sicché la produzione venne a concentrarsi negli stabilimenti di Roma, Padova, Napoli e Bari, affiancati dall’impianto pilota di Battipaglia, a cui furono affidate birre di nicchia e le sperimentazioni tecnologiche.
Un’altra mossa altamente strategica fu il partenariato del 1993 con la Anheuser-Busch per la distribuzione in Italia, con futura possibilità di produrla su licenza, della Bud, la birra più venduta al mondo. In conseguenza degli ottimi risultati pervenuti dal mercato, il colosso americano onorò la promessa, e dal 1996 la Bud cominciò a essere fabbricata a Padova.
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Sempre negli anni Novanta la Peroni affiancò, nella distribuzione, alla propria gamma prestigiosi brand di partner stranieri (Fuller, Smith & Turner, Inghilterra), (Alken Maes, Belgio), (König Ludwig, Germania). Poi con la costituzione, nel 1996, della Heineken Italia, che nel 1987 aveva ottenuto anche il marchio Henninger in Italia, si dovette accontentare del posto di secondo produttore nel Paese.
Infine, nel 2003, Isabella, figlia di Giacomo Peroni e ultima proprietaria dell’azienda, cedette il 60% delle azioni alla SAB Miller. Due anni dopo i pessimi rapporti degli azionisti e del management romano con il colosso sudafricano determinarono la vendita del restante 40%. Ma non era del tutto finita. Nell’autunno del 2015 la AB InBev acquistò la SABMiller. Per evitare quindi contestazioni da parte dell’Antitrus europeo, dal momento che già possedeva altri marchi decisamente importanti, come Corona e Stella Artois, dovette mettere sul mercato i due marchi premium Peroni e Grolsch, comprati nel 2016 dalla giapponese Asahi.
Attualmente la Peroni, dopo la chiusura, nel 2005, dello stabilimento di Miano, in provincia di Napoli, opera con le unità di Roma, Padova e Bari, a parte la Malteria S.A.P.L.O. di Pomezia. La sua produzione annua arriva a 4 milioni 800 mila ettolitri, con una quota di mercato del 19%. Fabbrica anche la Miller Genuine Draft e la Tourtel. Importa la ceca Pilsner Urquell; le inglesi Fuller’s Golden Pride e Fuller’s London Pride; le olandesi Grolsch Herfstbok e Grolsch Weizen; le belghe Saint Benoit Ambrée, Saint Benoit Suprême, Saint Benoit Blanche e St. Stefanus.
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La società romana ha sempre rivestito un ruolo distintivo nel settore promozionale. S’è fatto cenno delle campagne pubblicitarie ispirate al concetto di “bionda=birra+donna”, una geniale idea del creativo Armando Testa. Le iniziò (1965), la svedese Solvi Stübing, vestita da marinaretta e incantando il pubblico con lo slogan “Chiamami Peroni, sarò la tua birra”; continuarono tipi come la biondissima americana Jo Whine (1973), l’inglesina dagli occhi di ghiaccio Michelle Gastar (1974), la sudafricana dal volto innocente Anneline Kiel (1977), l’americana Lee richard (1981). Fu poi la volta della prima e unica testimonial italiana, Milly Carlucci (1984); la seguirono le top model degli anni Novanta, la svedese Philippa Lagerbäck (1993), Adriana Skleranikova (1997, la “slovacca dalle gambe più lunghe del mondo”), l’americana Jennifer Driver (1997) e infine la danese Camilla Vest.
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Poi la Nastro Azzurro partì all’attacco del segmento premium, dominato da brand stranieri, e le campagne pubblicitarie, per rilanciare la sua immagine, puntarono sulla conoscenza e sull’apprezzamento di cui godeva il prodotto oltreconfine. Protagonisti degli spot furono personaggi stranieri giunti diversamente al successo ma sempre grazie alla passione per il nostro Paese e per Nastro Azzurro. Nel 2005, Mike, un ragazzo di colore di New York, si faceva largo nel traffico con una Fiat 500 gialla trasformata in taxi offrendo ai clienti Nastro Azzurro da un frigobar a bordo. Nel 2006, John, un ragazzo di Londra che aveva avviato un’attività di home italian cooking, trasportava con la sua Vespa una valigetta contenente i migliori ingredienti italiani accompagnati invariabilmente da Nastro Azzurro. Nel 2007, Dan, un giovane croupier di Las Vegas, introduceva il sette e mezzo nel blackjack; mentre in casa, durante le feste ispirate all’Italia, offriva Nastro Azzurro agli amici.
Anche il calcio per la Peroni rappresentava un’attività strategica troppo importante. Dalle sponsorizzazioni di Milan e Napoli passò infatti a quella della nazionale nel quadriennio 2003-06 e per il campionato europeo del 2008; e in entrambe le occasioni emise in edizione limitata una confezione speciale, la seconda addirittura con la firma di Giovanni Peroni. Quanto allo sport su due ruote invece, dal 1997 legò il suo brand di maggior prestigio, Nastro Azzurro, all’immagine del campione Valentino Rossi in una forte associazione tra marchio e personaggio: Nastro Azzurro HMS (sigla che stava per Honda Motorcycling Series) era la versione da collezione appunto della Nastro Azzurro. È stata pure, fino al 2009, sponsor ufficiale della nazionale italiana di rugby.
Nel 1995 inaugurò il primo Crazy Bull Café, tipo American Restaurant & Music Bar, ispirato ovvero all’America degli anni Cinquanta. Ne seguirono altri, fino a diventare una trentina su tutto il territorio nazionale, con la formula del franchising. Altri locali sponsorizzati: i Peroni Music Café, tipo Italian Cafè. Ma, nel 2005, l’azienda romana cedette la società di gestione dei Crazy Bull alla Ranafin, riservandosi per tre anni l’esclusiva nella fornitura di birra (Crazy Bull Classic, premium lager chiara; Crazy Bull Red, vienna ambrata; e Crazy Bull Dark, lager scura).
Da ricordare infine un altro brillante piano aziendale, realizzato con l’Istituto Cerealicolo e il Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura di Bergamo: la ricerca e il controllo della filiera con l’utilizzo di un tipo di mais autoctono, no OGM, Peroni, coltivato da un network di aziende agricole tra le rive dell’Adda e del Brembo.
Nastro Azzurro, premium lager di colore giallo paglierino (g.a. 5,1%). Con una media effervescenza, la spuma si presenta fine, compatta e tenace. L’aroma è leggero, pulito, di cereale crudo con delicate note di luppolo erbaceo a malapena pungente. Il corpo medio si accosta morbido e frizzante al palato. Nel gusto il ritorno, dopo l’ingresso amabile, dell’amaricante viene bilanciato molto bene dal solido fondo di malto. È ancora il luppolo a chiudere, con la propria ruvida secchezza, la corsa regolare, lasciando nel retrolfatto una lunga suggestione dolceamara. Fu elaborata nel 1963 e così chiamata per commemorare l’assegnazione di questa onorificenza, il Blu Ribbon, al transatlantico italiano Rex, che nel 1933 effettuò la traversata dell’Atlantico in 4 giorni e meno di 14 ore, strappando il record detenuto dal transatlantico tedesco Bremen. Mentre la commercializzazione iniziò solo dopo un anno di prove, sostenuta da una forte campagna promozionale. C’è da precisare che nacque come pilsner, ma, per soddisfare il gusto degli italiani, cambiò ricetta nel corso degli anni, fino all’aggiunta di un quarto di granturco Peroni. Nel 2002 rinnovò anche la confezione con una raffinata operazione di restyling. Marchio di punta della Peroni, è da molti esperti considerata la migliore birra italiana. E i prestigiosi riconoscimenti internazionali (fra cui tre medaglie d’oro della Monde Sélection di Bruxelles, nel 1965, nel 2003 e nel 2006) ne certificano la qualità. Senz’altro risulta la premium italiana più venduta all’estero, soprattutto in Gran Bretagna, dove viene importata fin dal 1965. La SAB Miller aveva visto in essa l’italianità, capace di esercitare attrazione sia in patria che all’estero, e, insieme, un elemento di diversificazione rispetto alla concorrenza. Per farne quindi uno dei marchi di maggior prestigio in tutto il mondo, la rilanciò col nome di Peroni Nastro Azzurro nel 2005, impegnandosi in una campagna globale da 50 milioni di dollari. Una delle operazioni comunicazionali più importanti oltreconfine fu l’Emporio Peroni a Londra, in Sloane Street, inaugurato nel 2005 appunto. Tra gli showroom dei più famosi creatori di moda italiani, il punto di esposizione costituito soltanto da una vetrina con al centro una bottiglia illuminata su un piedistallo: un modo inedito per far conoscere Peroni Nastro Azzurro, non semplicemente come un brand birrario, bensì come l’Italian style applicato alla birra. L’anno successivo, sempre dalla Gran Bretagna (per poi proseguire negli Stati Uniti, nella Repubblica Sudafricana e in Romania), partì una campagna pubblicitaria (cinema, stampa e affissioni) della durata di 18 mesi ispirata a La dolce vita, con Peroni Nastro Azzurro che si affiancava alle icone italiane dell’epoca. I russi, si sa, hanno la passione per tutto ciò che è Italian brand. E Peroni Nastro Azzurro organizzò presso l’Arsenal, uno dei locali più lussuosi di Mosca, una festa nel corso della quale Antonio Berardi, primo stilista italiano a mettere piede in Russia, presentò alcuni capi innovativi della sua collezione autunno-inverno 2008-09. Peroni Nastro Azzurro “sbarcò” anche in Giappone, grazie all’accordo della SAB Miller con Nippon Beer, importatore leader di birre in bottiglia nel Paese. Per i locali serali più esclusivi d’Italia invece, fu creata una confezione speciale in edizione limitata, chiamata Members Only: bottiglia in vetro di colore verde scuro, etichetta trasparente dalle tinte rosse e argento, tappo argentato col marchio dell’azienda. Nel 2014 invece avvenne il lancio internazionale, in edizione limitata per l’estate, della Piccola, la bottiglia da 25 cl dal design esclusivo, per conquistare con stile il rituale dell’aperitivo. Furono commercializzate in Italia solo 400 mila bottiglie.
Peroni, lager più leggera (g.a. 4,7%); lavorata con orzo primaverile distico. Sinonimo di birra dal 1846, risulta, sia per il conveniente rapporto tra qualità e prezzo sia per il giusto equilibrio tra l’aroma e il gusto, la lager più bevuta dagli italiani. A essa è legato lo slogan “Chiamami Peroni, sarò la tua birra”. Come riconoscimento di eccellenza, le fu assegnata a San Francisco la medaglia d’oro dall’American Tasting Institute per il biennio 2000-01. Viene prodotta in tutti gli stabilimenti del gruppo per poter arrivare fresca a qualsiasi punto di vendita. Senz’altro risulta attraente la nuova bottiglia lanciata nel 2007: etichetta dal forte impatto visivo e la firma di Giovanni Peroni in rilievo sul vetro. Il colore è paglierino carico con sfumature dorate. La schiuma, fine e cremosa, non ha però tanta durata. L’aroma si apre con cereale, pasta di pane, vaghe note di luppolo; ma, soprattutto, con un malto deciso. Il corpo, leggero e armonico, possiede anche una discreta tessitura. Il sapore defluisce con l’amarore misurato da non compromettere il giusto equilibrio tra luppolo e malto. Il finale amarognolo si rivela di sufficiente persistenza. Dal retrolfatto esalano sensazioni secche, pulite, e a malapena amare.
Peroncino, premium lager di colore giallo oro (g.a. 5%). Studiata per più occasioni di consumo (aperitivo, pasto leggero, dopocena), fu lanciata nel 2002 riprendendo il quintino degli anni Trenta. Viene quindi offerta in un’originale ed elegante confezione mignon. La finezza olfattiva è gradevole, col suo malto intenso e duraturo. Dal corpo leggero prende l’avvio un gusto dalle grate note amare che rende la bevanda particolarmente dissetante e di facile beva.
Peroni Gran Riserva Doppio Malto, doppio malto (g.a. 6,6%); creata nel 1996, secondo un’antica ricetta di Giovanni Peroni, per celebrare il 150° anniversario dell’azienda. Inizialmente in bottiglie da mezzo litro senza etichetta, si presenta oggi in una bottiglia speciale, alta e abbellita con figure in rilievo. Su per giù in stile maibock, è, dal punto di vista qualitativo, il fiore all’occhiello della ditta che si è aggiunto alla gamma delle specialità in forma più corposa. Parlano i riconoscimenti: primo premio nel 1999 (International Beer & Cider Competition) e medaglia d’oro l’anno successivo (The Brewing Industry International Awards). Prodotta in quantitativi limitati, viene commercializzata dopo due mesi di affinamento. È di colore dorato con riflessi ambrati. L’olfatto, di attraente finezza, propone deliziosi aromi di malto tostato impreziositi da vaghi sentori di luppolo, miele, spezie. Il corpo ha una struttura rotonda, morbida. Il gusto, spiccatamente di malto, reca lievi venature di fiori e di cereali. Il finale asciutto e di un amaro moderato introduce le impressioni di luppolo della discreta persistenza retrolfattiva.
Peroni Gran Riserva Puro Malto, lager chiara (g.a. 5,2%); prodotta con puro malto 100% italiano. È caratterizzata da un aroma delicato con prevalenza di sentore di malto e fini note di luppolo aromatico. La decisa presenza di amarore fine e non persistente compensa la dolcezza del malto, dando vita a un prodotto di altissima qualità.
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Peroni Gran Riserva Rossa, versione rossa della precedente (g.a. 5,2%); proposta nel 2006 per ampliare la gamma delle referenze di casa Peroni. Viene prodotta a tripla cottura, metodo tradizionale oggi quasi in disuso ma che favorisce un gusto morbido e di straordinaria piacevolezza. Ha corpo più leggero e un “sapiente” finale che bilancia il caramello iniziale con una sufficiente secchezza e qualche spunto di amarognolo.
Peroni Chill Lemon, radler chiara (g.a. 2%); realizzata con malto e limoni 100% italiani. All’aspro profumo di limoni appena colti fa da pendant un lungo gusto rinfrescante.
Peroni Senza Glutine, lager chiara (g.a. 4,7%); presentata a dicembre 2014 e disponibile da gennaio 2015. È garantita dal marchio Spiga Barrata dell’AIC (Associazione Italiana Celiachia). Benché sia una gluten free, risulta buona come una Peroni classica e con lo stesso gusto rotondo e ben bilanciato.
Peroni Forte, strong lager di colore giallo oro (g.a. 8%); nata, a marzo 2015, per offrire un’esperienza di consumo totalmente nuova. L’accattivante packaging insinua subdolamente il fascino della notte. All’aroma di malto e di caramello tiene dietro, in un corpo di struttura possente e calda di alcol, il gusto piacevolmente dolce che scivola ritmicamente su discreto fondo di luppolo amarognolo.
Wührer, lager dorata tipo pilsner (g.a. 4,7%). Fu la prima birra a essere prodotta in Italia. Viene offerta in bottiglia a collo lungo con singolare visibilità del logo. La spuma scarsa mostra buona stabilità. La finezza olfattiva è gradevole, a base di lievito e di cereali. Il corpo medio-leggero appare fresco e scorrevole. Il gusto di luppolo ha una amaro delicato, piacevole, che si perde nel breve finale asciutto e detergente.
Crystall Wührer, lager nello stile delle export tedesche (g.a. 5,6%). Ha tutti i numeri per poter essere esportata nei paesi di lunga tradizione brassicola. La denominazione è il vecchio marchio della Wührer. Molto elegante nella nuova veste, presenta anche una formula d’avanguardia, con orzi primaverili e luppoli particolarmente aromatici. Ha colore giallo oro. L’effervescenza media ma gradevole dà vita a una schiuma fine, abbondante e di lunga durata. I profumi freschi e di luppolo evidenziano note erbacee e vegetali. Il tenore alcolico si cela bene in un corpo di solida struttura. Il ricco gusto di malto scorre lineare e pulito sino all’energico finale aromatico, asciutto e vivacizzato da un pizzico di speziatura.
Itala Pilsen, lager regionale di colore paglierino (g.a. 4,7%). Risale al 1890 (prodotta originariamente dalla Cappellari di Padova) ed è diffusa in particolare nel Nord-Est del Paese. Per la scarsa luppolizzazione, non può essere definita pilsner. La spuma sbocca fine, corposa e resistente. All’olfatto i profumi di luppolo si schiudono tenui ma durevoli. Il corpo fluisce leggero, piacevolmente frizzante. Il gusto particolare, secco e di un amaro contenuto, propone il prodotto come buon dissetante.
Raffo, altra lager regionale della zona di Taranto, di colore giallo oro (g.a. 4,7%). La schiuma erompe sottile, densa, stabile. L’aroma libera gradevoli profumi erbacei e floreali. Il corpo leggero si rivela abbastanza soffice. Il gusto pieno scivola asciutto, con moderato e piacevole amarore. È un prodotto di facile bevibilità, nonché ottimo dissetante. Non per nulla riscuote un buon indice di gradimento anche presso i difficili consumatori anglosassoni.
Birra Itala Pilsen/Padova
Le sue origini risalgono al 1890, anno della fondazione a Padova della Premiata Fabbrica di Birra a Vapore Luigi Cappellari, rilevata nel 1916 da Arrigo Olivieri. Tre anni dopo, dalla fusione della Birra Cappellari e della Birra Maura (seconda fabbrica padovana) e con l’ingresso del socio Giovanni Battista Frigo, nacque la Birra Itala Pilsen di A. Olivieri & Co.
Dopo aver assorbito numerosi birrifici veneti minori, la nuova ditta, in compartecipazione con i gruppi Dreher e Wührer, acquisì la proprietà di altre piccole aziende locali. E, nel 1948, divenne società in accomandita semplice.
Grazie a una produzione annua di circa 170 mila ettolitri, risultava quarta azienda birraria in Italia, con una quota del 7% nel mercato nazionale. Aveva per giunta dotato di un impianto d’imbottigliamento i suoi 90 concessionari dislocati lungo la penisola.
La Peroni non poteva certo ignorare il pericolo che veniva da tanta intraprendenza commerciale, messa in atto già dalla fine del secondo conflitto mondiale. Cominciarono i contatti con gli eredi di Arrigo Olivieri, morto nel 1958.
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Nel 1960 la Birra Itala Pilsen fu trasformata in società per azioni; il capitale, diviso in due quote uguali, andò alla Birra Peroni Meridionale e alla famiglia Luciani (proprietaria della Pedavena). Due anni dopo venne inaugurato il nuovo centro d’imbottigliamento della fabbrica di Padova con tre efficientissime linee moderne.
Nel 1970, in difficoltà finanziarie, i Luciani non poterono rispettare gli impegni assunti per il rinnovo dello stabilimento e preferirono cedere il loro 50% alla Peroni, che divenne così unica proprietaria.
Birra Raffo/Taranto
Azienda fondata nel 1919 da Vitantonio Raffo con l’intento di produrre nel Meridione una birra capace di tener testa a quelle delle altre fabbriche italiane. Divenuta poi società in nome collettivo, nel 1961 fu trasformata in società per azioni allo scopo di cedere il pacchetto azionario alla Birra Peroni, che però conservò, non solo lo stabilimento e le maestranze, anche la ricetta della birra.
Negli anni Settanta, grazie alla diffusione anche in Basilicata, Lazio e Campania, la birra Raffo raggiunse la produzione di 48 mila ettolitri annui.
Poi, nel 1987, la Peroni decise di chiudere lo stabilimento di Taranto e di trasferire la produzione a Bari. Ma la birra Raffo continuò a essere la birra di Taranto e la più bevuta de “La città dei due mari”, come riportato in etichetta. Nel 1999, in occasione della festa dei suoi 80 anni, si presentò in veste rinnovata.
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Nel 2008, in seguito al risultato del sondaggio “Sono Tarantino, quindi decido IO”, organizzato dal Gruppo Peroni, venne deciso un rinnovamento grafico dell’etichetta della birra, che ora prevede come novità la presenza del logo di Taras, simbolo della città di Taranto, al di sotto della scritta “Raffo” e l’introduzione dei colori rosso e blu che dividono l’etichetta creando un effetto sole e mare.
Ultimamente poi, prendendo spunto dal progetto di Assobirra, dedicato alle persone che si mettono alla guida in stato di ebbrezza, la Birra Raffo, in collaborazione con il comune di Taranto, si è anch’essa impegnata nella campagna di sensibilizzazione creando il logo “Raffo e il comune di Taranto promuovono il consumo responsabile”, con al centro un sorriso.
Tratto da La birra nel mondo, Volume I, di Antonio Mennella-Meligrana Editore