Numero 33/2019
12 Agosto 2019
La birra trappista in Italia: Abbazia delle Tre Fontane
Tratto da La birra nel mondo, Volume I, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Abbazia delle Tre Fontane
Roma/Italia
È l’unico complesso religioso della Capitale che possa fregiarsi del titolo di abbazia, e conta ben tre chiese: quella di San Paolo alle Tre Fontane, quella di Santa Maria Scala Coeli e quella abbaziale dei Santi Anastasio e Vincenzo.
Membro effettivo inoltre dell’Associazione Internazionale Trappista dal 2014, nel mese di maggio del 2015 ottenne il marchio Authentic Trappist Product per i propri prodotti, diventando così l’undicesima birreria trappista al mondo, l’unica in Italia. Vale quindi la pena spendere per essa qualche parola in più, a cominciare dalla nascita.
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Nella campagna romana (attuale zona dell’EUR), sul tracciato dell’antica via Laurentina, in una piccola valle, tra ulivi ed eucalipti, c’è un luogo chiamato “alle Acque Salve”, in latino ad Aquas Salvias: nome dovuto, secondo alcuni, alla famiglia Salvia, che vi possedeva una tenuta in epoca tardo-latina; secondo altri, alla presenza delle abbondanti e salutari sorgenti tuttora attive.
Presso le Acque Salvie, il 29 giugno del 67 d.C., sarebbe stato decapitato, per ordine di Nerone, l’apostolo Paolo. Dai tre rimbalzi a terra della testa del martire sarebbero, secondo la leggenda, scaturite altrettantei fonti di acqua. Sicché l’edificio sacro eretto sul luogo in memoria di san Paolo prese la denominazione di Chiesa di San Paolo alle Tre Fontane.
Nella seconda metà del secolo VI il generale bizantino Narsete, governatore d’Italia in nome dell’imperatore Giustiniano, fece costruire un monastero annesso alla piccola chiesa dedicata a san Paolo che prese il nome ad Aquas Salvias. E nella prima metà del secolo successivo, in seguito all’invasione della Cilicia da parte degli Arabi, arrivarono a Roma monaci greci che costituirono il primo insediamento.
Forse proprio per la presenza di monaci greci, l’imperatore Eraclio, mandò in custodia al monastero delle Acque Salvie le reliquie di sant’Anastasio, monaco persiano martirizzato per volere di Cosroe nel 624. Appartiene a quest’epoca anche la fondazione della chiesa dedicata alla Madonna, che diventerà di Santa Maria Scala Coeli in seguito alla visione, avuta da Bernardo di Chiaravalle, delle anime del purgatorio che salivano al cielo condotte dagli angeli.
Alla fine del secolo XI, i cluniacensi stavano diventando il più potente ordine monastico del tempo, e il papa aveva bisogno di alleati del genere nella lotta contro l’imperatore. Sicché, intorno al 1080, con la scusa che era decaduta, Gregorio VII affidò loro l’abbazia e i suoi possedimenti.
Ma, nel 1140 Innocenzo II, allontanati gli ultimi cluniacensi sopravvissuti alla malaria, restaurò il gruppo di edifici ridotto in stato di abbandono e lo assegnò alla congregazione cistercense, per gratitudine verso Bernardo di Chiaravalle che, durante lo scisma di Anacleto II (difeso dai cluniacensi), aveva ottenuto per lui il riconoscimento imperiale. Risale a questo periodo la costruzione della chiesa dedicata a sant’Anastasio che, nel il 1370, quando giungeranno dal Portogallo alcune reliquie dello spagnolo Vincenzo di Saragozza, prenderà il nome di entrambi i santi. Infatti già in un documento del 1161 vengono menzionate per la prima volta tutte e tre le chiese del monastero che, col completamento, assumerà nel 1306 la struttura giunta fino ai nostri giorni.
Finita l’epoca del monachesimo, nel 1408 l’abbazia fu trasformata in commenda da Martino V; ma continuò a essere tenuta dai cistercensi.
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Con l’occupazione napoleonica dello Stato pontificio e la soppressione delle fondazioni religiose, i monaci cistercensi nel 1808 abbandonarono le Tre Fontane e, trovandosi lontano, non vi tornarono neanche dopo la restaurazione. Sicché quando, nel 1826, Leone XII, in visita all’abbazia, la trovò in un raccapricciante stato di abbandono, con una bolla impose ai cistercensi di affidare le Tre Fontane ai francescani minori di san Sebastiano con l’obbligo di riprendere il culto e ricostituire una comunità. Purtroppo, di fronte a un tale stato di abbandono degli edifici e al clima malsano del luogo, i frati francescani si limitarono a riaprire il complesso abbaziale solo parzialmente per chiuderlo la sera.
Nel 1855 Pio IX, insieme con il Procuratore Generale dei trappisti, Francesco Regis, che era in visita a Roma, tentò di varare un progetto per il restauro delle Tre Fontane, ma il costo previsto ne impedì l’attuazione. Attuazione, che si rese invece possibile nel 1867, in occasione del giubileo straordinario per il 18° centenario del martirio dei santi Pietro e Paolo e, soprattutto, per una considerevole donazione da parte del conte francese De Moumilly.
Con la bolla del 21 aprile 1868, fu ripristinata una comunità residente (che doveva avere almeno 14 componenti) e l’abbazia venne affidata ai trappisti, perché provvedessero al restauro degli edifici e alla bonifica del territorio, altamente malarico.
I monaci intrapresero radicali opere di restauro del complesso monastico; e, soprattutto, operarono una bonifica integrale della zona, con la costruzione di sistemi di drenaggio delle acque stagnanti, un vero pericolo anche per le fondamenta delle strutture edificate.
La lotta alla malaria invece trovò un valido alleato nell’eucalipto, in particolare dopo la liquidazione dell’asse ecclesiastico, quando i trappisti ottenero in enfiteusi perpetua 450 ettari del territorio delle Acque Salvie, con la condizione di mettervi a dimora, per la bonifica, 125 mila piante di Eucalyptus. I lavori di bonifica continuarono fino ai primi del Novecento, allorché la copertura di uno stagno nei pressi del monastero e l’uso di zanzariere e di chinino, risolsero il problema malaria.
Ecco perché l’eucalipto è uno dei simboli dell’abbazia delle Tre Fontane. E non solo. L’Eucalipto (o Eucalitto) è un genere di piante delle Mirtacee (Eucalyptus) con 600 specie dell’Australia e della Tasmania. La classificazione delle specie è generalmente fatta in base all’aspetto della corteccia: l’Eucalyptus globulus e l’Eucalyptus camaldulensis, comuni in Italia, hanno corteccia liscia e lucida. Le foglie contengono oli essenziali costituiti principalmente da composti terpenici e usati come antisettici, profumi e flottanti. Ebbene, i trappisti delle Tre Fontane sono riusciti a sviluppare una grande conoscenza di tutte le 600 specie di eucalipti esistenti.
Dal 1873 l’abbazia realizza una vasta serie di prodotti; in particolare, quelli del liquorificio che sfrutta ampiamente l’eucalipto. In passato l’Eucalittino era uno degli amari più diffusi a Roma; mentre ancora oggi, sempre con la ricetta originale del 1873, viene prodotto, mediante infusione a freddo delle foglie dell’Eucalyptus globulus, l’Estratto di Eucalipto, un forte liquore senza zucchero, balsamico e corroborante.
Poi quattro anni fa, nei sotterranei del monastero, fu trovata una ricetta dei trappisti francesi venuti a dare una mano nella bonifica del territorio dalla malaria. Ebbe così inizio il progetto birra, con la produzione presso un birrificio vicino alla comunità. Ovviamente, essendo prodotta al di fuori della comunità, la birra prese la denominazione di Birra dei Monaci.
Alla fine l’abbazia si dotò di un impianto di produzione interno, sfruttando l’antica cantina un tempo utilizzata per la lavorazione e la produzione del vino (ora dislocata in un’altra ala dell’abbazia); operò un accurato restyling dell’etichetta ed, essendo membro dell’Associazione Internazionale Trappista, avanzò domanda per ottenere il marchio Authentic Trappist Product che, al termine della procedura di valutazione, le fu attribuito, come detto, a maggio del 2015.
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Ovviamente la birra che oggi si chiama Tre Fontane è la Birra dei Monaci creata dalla comunità dei trappisti delle Tre Fontane che si è però perfezionata sfruttando la consulenza e la vasta esperienza dell’Associazione Internazionale Trappista e ottenendo magari il lievito da un’altra birreria trappista (una delle gentilezze non rare nell’ambito di questa comunità).
La produzione invece è volutamente ridotta a mille ettolitri l’anno, sufficiente al sostentamento della comunità, per opere di carità e per preservare il patrimonio storico culturale del complesso abbaziale.
La Tre Fontane può essere acquistata presso il negozio monastico, dove vengono venduti direttamente i prodotti trappisti, e in alcuni ristoranti della Capitale. L’abbazia infine non si è limitata a sfruttare la propria birra per produrre la gelatina, ha perfino creato un esclusivo bicchiere per la degustazione.
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Tre Fontane, abbazia tripel di colore oro intenso (g.a. 8,5%). C’è da precisare subito che, questa, è diversa da tutte le altre birre trappiste, nel senso che usa, come aromatizzante, anche l’eucalipto. È il secondo caso di una trappista che non si limiti al luppolo. Il precedente, peraltro recente, è quello dell’abbazia autriaca di Engelszell che iniziò la produzione di birra e ottenne il logo di Authentic Trappist Product solo nel 2012, pur facendo ricorso al miele. Nonostante l’elevato contenuto di etanolo, l’effervescenza media sviluppa una schiuma fine, densa e di ottima tenuta. L’olfatto offre attraenti aromi floreali, fruttati e speziati, con un lontano sentore di eucalipto. La consistenza del corpo sprigiona un calore alcolico che riempie la bocca di dolcezza. L’equilibrio gustativo, realizzato dall’armoniosa combinazione del dolce, dell’amaro e dell’acido, risulta perfetto. Chiude la corsa, deciso e secco, l’eucalipto. Dal retrolfatto esalano fresche impressioni vegetali, balsamiche, amarognole.