Numero 49/2016

10 Dicembre 2016

I Contrabbandieri di Birra – Capitolo 11

I Contrabbandieri di Birra – Capitolo 11

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«L’ufficio del Colonnello Marchisio è in fondo a sinistra, la prego di attendere seduto nella sala d’aspetto antistante. Verrà convocato». Il sottufficiale che svolgeva le mansioni di segretario per il Colonnello era un uomo grande e grosso, l’accento vagamente austriaco. Sicuramente era un colosso proveniente dall’Istria o da qualche territorio del Nord-est del Paese.

Un segretario tutto d’un pezzo e, sicuramente, una guardia del corpo molto dotata.

Giuseppe, che aveva preso appuntamento per un colloquio privato con l’alto Ufficiale ormai da più di un mese, era letteralmente elettrizzato.

Lo elettrizzava il fatto di incontrare quel potente personaggio, era curioso di vedere con i suoi occhi che aspetto avesse!

Era, magari, un colosso che faceva impallidire chiunque al proprio cospetto?

Era forse una specie di Golia moderno?

Oppure era un uomo mingherlino, inadatto al combattimento ma dotato di un cervello sopraffino, una mente geniale atta a comandare truppe d’elité?

Il ragazzo non sapeva che cosa aspettarsi…

Le storie da caserma che si narravano su quell’uomo avevano dell’incredibile.

Si diceva che avesse salvato dei nobili durante la Guerra,e su questo punto tutti erano concordi.

Il disaccordo nasceva sulle modalità di salvataggio.

C’era chi raccontava che avesse falcidiato decine di soldati nemici salendo eroicamente su una camionetta dotata di mitragliatrice e che avesse sparato all’impazzata, incurante dei colpi di risposta…

Altri sostenevano che a mani nude, giungendo di soppiatto alle spalle di uno dei soldati che stavano accerchiando i nobili, avesse rotto l’osso del collo dell’uomo derubandolo poi del fucile e facendo piazza pulita dei restanti uomini tra pallottole e fendenti di baionetta.

Altri ancora dicevano che, con una tattica degna di Giulio Cesare, egli avesse piazzato di nascosto degli esplosivi attorno ai nemici che tenevano in ostaggio gli italiani e che avesse calcolato perfettamente la distanza che avrebbe coperto la deflagrazione successiva degli ordigni, ponendoli nei punti esatti in cui l’onda d’urto avrebbe colpito i nemici e risparmiato i compatrioti e che poi, con un proiettile dalla distanza avesse centrato il primo ordigno innescando una reazione a catena.

Tutte storie fantastiche, in verità.

O per lo meno era quello che credeva Giuseppe, anche se era conscio che tutte le storie, comprese quelle troppo esagerate per esser vere, possedevano intrinsecamente un fondo di verità.

Qual’era, quindi, la narrazione più realistica?

Giuseppe si ripromise di chiederlo al Colonnello, qualora fossero entrati in sintonia.

«Prego, può andare» una voce fuori campo, fuori dalle sue fantasie fece breccia nei suoi pensieri.

«Come, scusi?»

«Può andare, il Colonnello la attende».

«Grazie, Maresciallo».

«Prego, vada. Al Colonnello non piace attendere».

Giuseppe si alzò in piedi, con le mani stirò alla meglio la propria divisa e riassestò il nodo della cravatta.

Bussò alla porta di legno e, aprendo un piccolo spiraglio chiese con un filo di voce “permesso”.

«Avanti, Caporale!»

Una voce imperiosa rispose alla sua flebile richiesta.

Giuseppe entrò nell’ufficio rapidamente, sull’attenti e la mano in alto per salutare.

«Riposo, Caporale…»

«Vinai, Colonnello! È un onore conoscerla di persona! Si narrano tante leggende sulle Sue gesta e…»

«E nessuna è vera» tagliò corto lui.

Era un uomo di media statura, un metro e settantacinque o poco più.

Nulla di simile a niente narrato nelle leggende.

Giuseppe cercò di nascondere il proprio disappunto nello scoprire che una tale personalità appariva come un normale essere umano e non come una specie di Arcangelo Guerriero, o come un Dio mitologico.

«Se non le dispiace, Caporale, avrei molti impegni oggi. Quindi vediamo di fare in fretta. Le concedo cinque minuti per esporre i fatti che l’hanno condotta ad esporre una lagnanza direttamente a me».

Giuseppe si schiarì la voce, visibilmente in soggezione nei confronti di un uomo dal così elevato spessore.

«Bene. Signore, non sono qui per esporre una lagnanza, bensì una supplica».

«Una supplica? Caporale, ho l’aspetto di un Santo? Non credo proprio! Ho visionato il suo fascicolo, ho l’abitudine di conoscere esattamente le persone che incontro. Qui vedo che ha notevoli doti tattico-strategiche e che anche negli addestramenti meramente fisici lei esprime un grande potenziale. Vedo anche che è incline a dare in escandescenza ma, sapendo com’è andato quell’episodio, credo di poterla in parte giustificare. Chiarito questo concetto, le comunico che quella zuffa non finirà nel suo stato di servizio; credo che lei sarebbe un buon sottufficiale. È uno di quelli selezionati per poter chiedere una ferma in servizio ed iniziare la carriera militare, ma tale comunicazione le è già stata senz’altro notificata. Dico bene?»

«Sì, Signore. Grazie Signore».

«Perfetto. Quindi non capisco perché sei qui. Quale supplica potresti rivolgermi giacché avrai solo note di merito e potrai proseguire questa carriera, se lo vorrai?»

«Signore… sono qui per via della mia famiglia. Una famiglia di agricoltori».

«Capisco, vorrebbero che tu tornassi a casa e rinunciassi alla carriera… eh, c’era da immagin…»

«No Colonnello, non è questo».

«E allora cosa? Veramente mi stupisci. Mi stupisci a tal punto che perdono il tuo comportamento scortese ed insubordinato. Non devi interrompermi mai più!»

«Chiedo scusa, Signore. Posso proseguire?»

Un cenno del capo dell’ufficiale.

«Colonnello, la mia famiglia, come molte famiglie contadine della pianura padana, versa in una situazione di disagio e di povertà. Ma questo non è dettato dall’inefficienza del proprio lavoro, anzi! Questo è causato da ordini del Governo che ha imposto, lo saprà anche lei, la coltivazione del Frumento duro anche al Nord. È noto a tutti gli agricoltori che non è possibile ricavare nulla di commestibile da una coltura del genere piantata qua, anche lei lo sa. Lei è figlio di contadini come me, a quanto mi è dato sapere».

Marchisio annuì, il volto serio, austero e concentrato.

Giuseppe iniziò, inconsciamente, a sperare in un miracolo al termine del suo racconto.

«Bene, io sono fermamente convinto che il Duce sia quanto di meglio potesse capitare all’Italia, glielo giuro! Ma forse, e dico forse, non può essere esperto di ogni cosa. Quindi, a prendere una decisione così sciocca in campo agrario… saranno stati sicuramente dei suoi consiglieri che nulla capiscono di campi! Ed il Duce, in buona fede e malconsigliato, ha firmato il decreto. Un decreto iniquo che condanna a morte la mia famiglia come tante altre! Ed ecco la supplica che le rivolgo: ho scritto di mio pugno una missiva che vorrei arrivasse nelle mani del Duce. Ovviamente necessiterà di qualche correzione e qualunque aggiustamento lei voglia proporre è benaccetto e…»

«E poi vorresti che utilizzassi le mie conoscenze da eroe di Guerra per giungere a lui e consegnargli, così, questa lettera?» terminò la frase il Colonnello mentre scorreva con gli occhi le lettere tracciate dal giovane in bella grafia.

«Sì, Signore, sapevo che…»

«Sapevi di essere un idiota?» l’uomo stracciò la lettera di Giuseppe, quella che aveva impiegato ore ed ore per scrivere, continuando a lavorarci sopra per settimane, per presentarla perfetta in ogni suo punto «Secondo te io dovrei rischiare la vita per andare a dire a Mussolini che ha sbagliato e che i suoi consiglieri più fidati sono dei caproni? Ti ha dato di volta il cervello, forse, ragazzo? Lo sai che è pericoloso anche solo pensarle certe cazzate? Dire ad alta voce o scrivere che Mussolini è ignorante è considerabile Alto Tradimento, te ne rendi conto? Dovrei farti frustare e sbattere in cella, in attesa di un processo che si concluderebbe certamente con una condanna a morte!»

Il Colonnello sfregò la testa di un fiammifero contro il muro rugoso del suo ufficio in modo da infiammarla.

« Tu non sai di che cosa è capace il Duce… raderebbe al suolo il tuo fottuto paesino se solo tu ed i tuoi osaste sfidarlo! LUI E’ STATO IN GRADO DI MANDARE NOI, DEI GIOVANI MILITANTI DEL SUOM MOVIMENTO, A PESTARE A MORTE I SUOI OPPOSITORI POLITICI! NOI ERAVAMO LE SUE CAMICE NERE, FACEVAMO DELLA RAPPRESAGLIA E DELLA MINACCIA VIOLENTA LA VIA PER COSTRINGERE LA GENTE A VOTARE PER IL PARTITO FASCISTA ALLE ULTIME ELEZIONI! LO SAI CHE HO DOVUTO UCCIDERE UN BAMBINO DAVANTI AGLI OCCHI DEL PADRE?»

Il colonnello smise di urlare e proseguì con un tono di voce più consono al proprio status e meno udibile da orecchi indiscreti «L’uomo era un capo seggio. Noi gli avevamo intimato di scrivere nel rapporto da inviare a Roma che il Partito di Mussolini aveva vinto con uno stacco abissale nel suo seggio. Avrebbe dovuto falsificare i documenti per noi… lui si è rifiutato, più e più volte. Saic che cosa ci ha ordinato uno di quei gerarchi che vuoi insultare con la tua lettera? Ci ha ordinato di uccidere il figlio minore dell’uomo, minacciandolo di proseguire l’opera con il primogenito e poi con la moglie! E così facemmo. E così lui cedette al ricatto. Ecco chi è l’eroe che ammiri, ragazzo. Ecco chi è il tuo Duce. Io ormai sono invischiato nella cosa, ragazzo. Ma vedo in te il mio stesso ardore politico della gioventù. Non ti immischiare con i giochi politici. Rischi la tua vita inutilmente! Ascoltami: faremo finta che questa conversazione non sia mai avvenuta. Pensa a fare il soldato, in quello sei bravo. La prossima volta che ti viene in mente un’idea malsana come quella di oggi… ti assicuro che ti ammazzo con le mie mani! Sono stato sufficientemente chiaro?»

 

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Alessio Lilliu
Info autore

Alessio Lilliu

Sono nato a Cuneo, ridente capoluogo di provincia piemontese.
Ho sempre amato la Natura e, seguendo questo amore, ho frequentato l’Istituto Tecnico Agrario ed ho proseguito i miei studi conseguendo, nel 2012, la Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie Alimentari a pieni voti.
Ho sempre adorato la cultura in ogni sua forma, ma ho sempre odiato gli stereotipi.
In particolare lo stereotipo che ho sempre rigettato è quello che riguarda la relazione tra “persone studiose” e “persone fisicamente poco attraenti”. Per ovviare a tale bruttissimo stereotipo all’età di 11 anni cominciai a praticare Judo e ad oggi sono cintura nera ed allenatore di questa disciplina marziale.

Dal 2010 gestisco un’attività commerciale, l’Edicola della Stazione Ferroviaria di Cuneo.
Ho ricoperto nel 2011 anche il ruolo di Vice-Responsabile della qualità all’ingresso in un macello del cuneese e, una volta terminato il mio percorso di studi, nel 2012 per l’appunto, ho deciso di rendere il settore alimentare parte ancor più integrante della mia vita. Creai la Kwattzero, azienda di cui sono socio e che si occupa di prodotti disidratati a freddo e di produzione di confetture ipocaloriche, ricavate tramite un processo brevettato di mia invenzione e di mia esclusiva proprietà. Obiettivo finale della ditta è quello di arrivare a produrre i propri prodotti con un consumo energetico pari a zero tramite l’installazione di fonti di energia rinnovabile, per esempio pannelli fotovoltaici.

Per quanto riguarda la mia passione per la scrittura, nacque in tenera età ed in particolare attorno ai sette anni, quando rubavo di nascosto la macchina da scrivere di mio padre, una vecchia Olivetti, per potermi sbizzarrire a sognare e fantasticare su terre lontane e fantastici eroi.

La mia passione per la scrittura venne ricompensata nel 2010 quando pubblicai il mio primo romanzo, “Le cronache dell’Ingaan”. La mia produzione letteraria prosegue a tutt’oggi con nuovi romanzi.

Dal 2012 sono Presidente di Tecno.Food, associazione che riunisce i Laureati e gli Studenti delle Scienze alimentari in seno all’Università degli Studi di Torino.

La nuova ed affascinante sfida che sto cominciando ad affrontare con enciclopediadellabirra.it mi permette di unire due mie grandi passioni: la scrittura e la birra!

Adoro sperimentare sempre nuove cose e nuovi gusti e questa è un’occasione davvero unica.