Numero 40/2016
8 Ottobre 2016
I Contrabbandieri di Birra – Capitolo 2
Giuseppe osservava l’orzo.
Com’era rilassante guardare i campi di suo padre rigogliosi e fecondi!
L’alba era il momento della giornata che più gli piaceva.
In primavera gli uccelli migratori tornavano dai loro lunghi viaggi.
Le loro figure, così dolci ed aggraziate, ed al contempo imperiose e regali, si stagliavano nel cielo ancora solcato da soffici nubi.
Quando il sole, rosso e titubante, faceva capolino da dietro le lontane montagne, l’immagine dei cinguettanti animali diveniva un’ombra nella tiepida controluce: parevano piccoli angeli discesi dal Paradiso.
La sigaretta rollata, uno sbuffo di fumo a corollario di quella magnificenza.
Una folata di vento, di quel freddo vento invernale che ormai non faceva più paura, ma faceva ancora rabbrividire, sferzò il suo viso.
Il giovane tornò alla realtà; la mistica perfezione delle prime luci doveva tramutarsi in una giornata di produttivo lavoro.
Giuseppe spense la sigaretta sulla pietra sulla quale si era seduto a mangiare la sua frugale colazione: pane raffermo, formaggio e salame.
La pausa era finita.
Si diresse verso il cumulo di escrementi di bovini che aveva scaricato il giorno prima con il padre al limitare del campo.
Erano i giorni dell’ultima concimazione al cereale; da lì ad una settimana avrebbe concimato tutti i campi in cui, appunto, aveva depositato il puzzolente concime.
Vanga in mano, maniche di camicia arrotolate fin sopra il gomito e tanta, tanta resistenza.
Era un lavoro duro il suo, che lo impegnava costantemente dall’alba al tramonto. Quando non doveva occuparsi dei campi, d’inverno, si occupava della cantina dove c’era tutto il materiale utile a trasformare quella pianta in succulenta e beverina birra, oppure si prendeva cura del bestiame, o ancora potava le piante da frutto.
Il tutto per trecentosessantacinque giorni all’anno.
Una vita di sacrifici, beninteso, che però lo gratificava molto!
E poi, erano generazioni che la sua famiglia coltivava la terra, si poteva dire che fossero da sempre agricoltori!
Ma prima, fino a pochi anni addietro, erano al soldo di ricchi nobili, troppo altezzosi per sporcarsi le mani lavorando, ma sempre pronti a prelevare la maggior parte dei beni prodotti sotto forma di affitti, tasse e gabelle.
Addirittura il suo bisnonno era una specie di servo del Conte di allora e sua bisnonna, invece, era al servizio della Contessina; si conobbero e si sposarono proprio per questo motivo.
Ma le cose erano cambiate, ed erano cambiate in meglio negli ultimi anni!
Il Duce aveva emanato dei decreti, delle leggi che, finalmente, avevano dato dignità agli agricoltori di tutt’Italia!
Lui sarebbe stato il primo della sua famiglia nella Storia, una volta ereditati i beni di suo padre, ad essere dall’inizio legale della sua attività produttiva il padrone della terra che coltivava.
In realtà sarebbero stati in due, gli eredi.
Lui e suo fratello minore Pietro, quindici anni.
Poco male, comunque; la vita sorrideva loro.
Ed era anche una bella vita, in fondo!
Chi invidiava i poveracci che dovevano passare tutta la vita tra le quattro mura grigie e tetre di una fabbrica poco più a nord, nel Torinese?
Lui, almeno, era all’aperto e faceva un lavoro che gli piaceva!
In pochi erano così fortunati.
E chi era colui il quale aveva reso possibile tutto ciò?
Benito Mussolini.
E come poteva lui ricambiare questo dono?
Iscrivendosi al Partito e svolgendo al meglio ciò che il Regno gli avrebbe chiesto di lì a poco: partire per il Servizio Militare.
In realtà non era una richiesta, ma un obbligo di legge; ma a Giuseppe piaceva pensare che fosse un modo quasi volontario di ricambiare tutto ciò che era stato fatto per lui…
In fondo, si chiamava “Servizio”, non “Schiavitù”.
La giornata proseguì faticosa.
Quando il tramonto, di un rosso ancor più vivido di quello dell’alba imbrunì il cielo, Giuseppe seppe che la sua giornata era finita.
Aveva ancora da camminare per circa tre chilometri, prima di giungere a casa.
Doveva approfittare della poca luce rimanente per raggiungerla.
Di notte era molto più probabile trovarsi di fronte cinghiali, lupi e, a volte, anche orsi spinti a valle dalla fame accumulata durante il letargo invernale.
Tutti incontri poco raccomandabili, in vero.
La luce era l’unica cosa che, seppur in minima parte, lo avrebbe protetto.
Camminò per una mezz’ora buona, la vanga in spalla ed i vestiti lerci ed insudiciati di letame.
Giunse che solo più una strisciolina infinitesimale del cielo, là, all’orizzonte, non era ancora di colore blu scuro.
Il cielo stellato, la casa di pietra e mattoni, la luce tremolante del fuoco domestico che riverberava dalle finestre di casa sua.
Era giunto a casa sano e salvo.
Entrò sorridendo.
Suo padre, sua madre e suo fratello seduti al tavolo, una lettera al centro di esso.
Nessuno che lo salutò.
«Buonasera, famiglia! Già tutti a casa?»
«Giuseppe…»
«Cara mamma, cosa c’è che non va? Ho fatto qualcosa di male?»
«No, no… Figurati».
«Allora? Che cosa sono queste facce da funerale?»
«E’ arrivata questa lettera oggi, tuo fratello ce l’ha letta…»
«Beh, Pietro, cosa c’è scritto? Non ho voglia di leggerla anche io…»
«Giuseppe… il Regno ti ha chiamato alle Armi».
Senza levarsi neppure gli stivali, zuppi e lerci, il ragazzo si precipitò a leggere lui stesso la lettera; era convocato a Torino, presso il Comando Generale del Piemonte degli Alpini per essere poi dislocato in una delle tante realtà militari italiane.
Il modo di ripagare il Duce era infine giunto.
Giuseppe riusciva a stento a trattenere la gioia.
D’un tratto, però, si accorse che la sua famiglia non la pensava allo stesso modo.
Candidamente, quasi innocentemente, chiese:
«Mamma, papà… c’è qualcosa che non va?»
«Lo chiedi anche?» suo padre sembrava furioso.
«Non capisco che cosa ci sia che non va…»
«C’è che saremo solo in tre ad occuparci dei campi, delle bestie e di tutto, qui! E non per poche settimane!»
«Padre, il servizio militare è un obbligo ed un pregio e…»
«Fidati di chi ci è passato prima di te! È una grandissima stronzata! Ed in più ti porta via da quelli che sono i tuoi compiti e…»
«E cosa dovrei fare? Disertare? Mi sembra un’idea geniale! E’ un servizio per il Re e per il Duce e…»
La brocca dell’acqua scagliata contro di lui lo colpì in pieno volto.
Suo padre che si erse troneggiante sul figlio dolorante, a terra.
«Non ti permettere mai più di rispondermi! SONO TUO PADRE!»
Giuseppe non aveva mai mancato di rispetto ai suoi genitori.
Era la prima volta che rispondeva a suo padre alzandola voce.
La punizione era stata esemplare.
«Sei forse impazzito? Potevi accecarlo!» sbraitò la madre di Giuseppe.
«Zitta tu, donna! Come educo i miei figli è affar mio!»
«Sono anche figli miei! E li ho cresciuti io, mentre tu eri fuori a lavorare!»
«Avresti dovuto insegnargli il rispetto! Ed ora, Giuseppe, vattene a letto senza cena. Ringrazia il Re ed il Duce di tutto questo. Fallo anche da parte mia!»