Numero 13/2017

1 Aprile 2017

I Contrabbandieri di Birra – Capitolo 25

I Contrabbandieri di Birra – Capitolo 25

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Come tutti gli anni le operazioni di mietitura iniziarono puntuali.

Il lavoro nei campi, sotto al sole a picco era duro.

Massacrante, a dir poco!

Ma quell’anno la famiglia Vjnai lavorava con una lena particolare…

Sembravano i più contenti del vicinato.

E nessuno capiva che motivo avessero per essere felici.

Il frumento duro era cresciuto stentato e di brutto aspetto, come a tutti.

Ma loro affrontavano la mietitura di quel magro raccolto con il sorriso sulle labbra.

A loro, le lettere di ingiunzione al pagamento del mutuo dei terreni non erano forse giunte come a tutti gli altri?

Che avessero ricevuto qualche eredità da un misterioso zio d’America?

Nessuno lo sapeva ma, era palese, la loro ilarità destava sospetti ed invidia..

Ma i quattro lavoravano, sotto il sole cocente, instancabilmente.

Le operazioni di mietitura durarono diversi giorni.

Per conservare le granaglie, la famiglia aveva scavato una buca poco profonda ma molto larga proprio a fianco della casa padronale.

Un telo di materiale plastico di notevoli dimensioni era stato posto sul terreno e sarebbe stato usato per coprire il raccolto in attesa di esser portato al mulino per essere sfarinato.

Durante la notte, setacci alla mano, i quattro compivano la seconda fase della loro giornata.

La raccolta vera e propria, se così la si vuole chiamare!

I semi di orzo hanno mediamente un diametro più piccolo rispetto a quelli di grano.

Bastava costruire dei setacci con una rete a maglia abbastanza fine da far passare l’orzo e trattenere il grano.

Ed allora, poco prima della raccolta, i quattro si erano ingegnati nella costruzione di utensili che nient’altro erano se non un telaio in legno di circa cinquanta centimetri con dei teli plastici forati attaccati al telaio stesso.

La famiglia setacciava tutta la notte e, nonostante la fatica e la carenza di sonno, riusciva a reggere bene la stanchezza durante le ore diurne.

Dopo dieci giorni circa, le operazioni di mietitura e di setacciatura erano concluse ed i semi di orzo erano tutti raggruppati in quella che, una volta, al tempo del nonno di Giuseppe, era una stalla per pecore.

La vasca da bagno di casa non era mai stata per così tante ore piena di acqua.

I quattro andavano a lavarsi al fiume, come i barboni, pur di lasciare che l’azione del cristallino fluido agisse sulle cariossidi di orzo.

I semi, a mollo per ore, si gonfiavano, impregnandosi di acqua.

Il risultato?

Quello sperato da Giuseppe e famiglia!

I semi germinavano e delle piccole, fragili, foglioline verdognole emergevano da un’estremità del seme.

Dall’altro lato delle radichette, degli abbozzi anemici che non sarebbero arrivati al momento di essere utilizzati dalla pianta.

Il miracolo della Natura andava, nuovamente, incontro all’uomo: i semi stavano maltando.

A mano a mano che i giorni si susseguivano, le foglioline crescevano, consumando gli zuccheri presenti nel seme.

Giuseppe sapeva che si doveva interrompere il processo di crescita in acqua quando il numero di foglioline sbucate dall’apice del frutticino divenivano troppe.

Allora, prelevando i semi a manciate intere, le persone li bollivano nei pentoloni rubati alla festa a Centallo, quella dove Giuseppe aveva conosciuto la sua bella…

La stessa bella che non vedeva più, ormai, da quasi due settimane.

Beninteso, lui glielo aveva detto che sarebbe cominciato un periodo di lavoro molto duro e che non si sarebbero visti per alcune settimane, ma comunque lei, a lui, mancava da morire.

Dal canto suo, Beatrice, aveva deciso di fare “il pieno di coccole” del suo uomo, sfiancandolo ogni sera a più non posso, fino alla data dell’inizio della raccolta.

Giuseppe non sentiva minacciata la relazione con Beatrice, anzi!

Ma era una persona in più per la quale doveva lavorare bene e non farsi scoprire dai soldati del Duce!

Che vita sarebbe stata, quella che lo avrebbe potuto vedere in prigione, lontano da lei?

Non lo poteva permette, assolutamente!

La bollitura finiva poco dopo; grazie ad essa la maltazione veniva interrotta ed il seme smetteva di germinare.

A quel punto, con un lavoro che avrebbe dovuto essere più certosino, si procedeva ad eliminare i germogli e le radichette da ogni singolo seme.

Per risparmiare del tempo e non impazzire dietro ad ogni singolo seme, il padre di Giuseppe propose di usare le stesse reti usate nella setacciatura, tolte dai telai ed usate come sacco.

Lo sfregamento dei semi germogliati l’uno sull’altro avrebbe trascinato via, per abrasione, le parti germinate, lasciando libero il seme di cadere nuovamente dai fori della maglia.

Funzionò, anche se in modo grezzo e non perfetto.

Ma tanto bastava a Giuseppe, che era divenuto, nel frattempo, il capocantiere del progetto.

Pigiati, decorticati e lavorati in tutti i dovuti modi, i semi venivano poi posti  nelle botti comprate nell’albese, assieme ad una data quantità di acqua e lievito acquistato dal fornaio.

Una volta chiuse le botti, iniziavano i giorni di attesa.

La speranza.

L’inizio della fermentazione ad opera degli lieviti…

Funzionava!

Il processo funzionava!

Dopo tre o quattro giorni, a seconda di uante ore ci impiegava il composto ad iniziare la fermentazione, ecco che Giuseppe aggiungeva dei pezzetti sminuzzati di luvertin, il luppolo selvatico raccolto ai bordi dei binari ferroviari.

In cuor suo, il giovane, sperava di non averne messo troppo, nelle prime cotte.

Solo il tempo gli avrebbe risposto.

Lo stesso tempo che trascorse rapido, e che portò al giorno in cui la famiglia procedette all’assaggio della prima birra autoprodotta.

Giuseppe versò un bicchiere generoso a tutti i suoi familiari ed uno per sé stesso.

La schiuma non era abbondante, ma sembrava abbastanza persistente.

Il profumo non sembrava nulla di ché, ma per lo meno assomigliava a quello di una normale birra.

Si sedette di fronte al padre.

«Vuoi avere tu l’onore?» chiese al genitore.

«Così se è veleno muoio io per primo?»

Tutti risero alla battuta.

Di colpo, quasi in sincronia, tutti ripresero un piglio serio e l’uomo afferrò il bicchiere con all’interno il liquido paglierino non filtrato.

Il vecchio portò alle narici il vetro, per saggiarne i profumi.

Senza proferir verbo, dopo pochi attimi avvicinò il tutto alle labbra.

Ne ingurgitò un sorso.

Stette lì, fermo, a muovere la bocca, la lingua e a fare versi strani, come se fosse un grande intenditore di birra.

Tutti impietriti, nell’attesa di un responso.

Le loro vite dipendevano dalle prossime parole di quel padre.

«Allora? Com’è?»

«Beh, figliolo… ti dirò… nulla di speciale, veramente! Ma comunque sa di birra! E sembra proprio quella che bevono i tedeschi! Ottimo lavoro, famiglia! Questa brodaglia si può vendere!»

Tutti brindarono gioiosi proprio con quella brodaglia che, in quel momento per loro, era più squisita del migliore champagne d’annata!

 

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Alessio Lilliu
Info autore

Alessio Lilliu

Sono nato a Cuneo, ridente capoluogo di provincia piemontese.
Ho sempre amato la Natura e, seguendo questo amore, ho frequentato l’Istituto Tecnico Agrario ed ho proseguito i miei studi conseguendo, nel 2012, la Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie Alimentari a pieni voti.
Ho sempre adorato la cultura in ogni sua forma, ma ho sempre odiato gli stereotipi.
In particolare lo stereotipo che ho sempre rigettato è quello che riguarda la relazione tra “persone studiose” e “persone fisicamente poco attraenti”. Per ovviare a tale bruttissimo stereotipo all’età di 11 anni cominciai a praticare Judo e ad oggi sono cintura nera ed allenatore di questa disciplina marziale.

Dal 2010 gestisco un’attività commerciale, l’Edicola della Stazione Ferroviaria di Cuneo.
Ho ricoperto nel 2011 anche il ruolo di Vice-Responsabile della qualità all’ingresso in un macello del cuneese e, una volta terminato il mio percorso di studi, nel 2012 per l’appunto, ho deciso di rendere il settore alimentare parte ancor più integrante della mia vita. Creai la Kwattzero, azienda di cui sono socio e che si occupa di prodotti disidratati a freddo e di produzione di confetture ipocaloriche, ricavate tramite un processo brevettato di mia invenzione e di mia esclusiva proprietà. Obiettivo finale della ditta è quello di arrivare a produrre i propri prodotti con un consumo energetico pari a zero tramite l’installazione di fonti di energia rinnovabile, per esempio pannelli fotovoltaici.

Per quanto riguarda la mia passione per la scrittura, nacque in tenera età ed in particolare attorno ai sette anni, quando rubavo di nascosto la macchina da scrivere di mio padre, una vecchia Olivetti, per potermi sbizzarrire a sognare e fantasticare su terre lontane e fantastici eroi.

La mia passione per la scrittura venne ricompensata nel 2010 quando pubblicai il mio primo romanzo, “Le cronache dell’Ingaan”. La mia produzione letteraria prosegue a tutt’oggi con nuovi romanzi.

Dal 2012 sono Presidente di Tecno.Food, associazione che riunisce i Laureati e gli Studenti delle Scienze alimentari in seno all’Università degli Studi di Torino.

La nuova ed affascinante sfida che sto cominciando ad affrontare con enciclopediadellabirra.it mi permette di unire due mie grandi passioni: la scrittura e la birra!

Adoro sperimentare sempre nuove cose e nuovi gusti e questa è un’occasione davvero unica.