Numero 14/2017
8 Aprile 2017
I Contrabbandieri di Birra – Capitolo 26
Il momento era giunto!
Era giugno, il 26, per l’esattezza.
Pochi giorni e la banca avrebbe iniziato a depredare la famiglia di una parte dei propri possedimenti.
Era quello il primo e l’ultimo momento in cui si doveva agire.
Giuseppe, Pietro ed i loro genitori lo sapevano bene.
O la birra che avevano prodotto in quel mesetto scarso sarebbe andata a ruba nei bar e nelle taverne locali, oppure loro stessi sarebbero finiti sotto al proverbiale ponte.
Giuseppe e Pietro erano in un bar di Marene, un paese lontano circa venti chilometri da fossano.
Un luogo dove nessuno li conosceva.
Il luogo migliore per fare affari.
Avevano un bottiglione pieno di birra che tenevano nascosto in uno zaino.
Si sedettero al bancone, erano appena le tre del pomeriggio.
Il locale stava riaprendo, in realtà la clientela sarebbe giunta solo un paio di ore dopo.
«Oste, ce le farebbe un paio di birre, per cortesia?»
«Certo, ragazzi! Niente lavoro oggi?»
«In un certo senso…»
«Vi devo dire,però, che costa cara eh! Li avete i soldi?»
«Se lei ha la birra, noi i soldi li abbiamo!»
Giuseppe levò dalle brache il suo portafoglio, drucido e malconcio.
L’oste servì ai due il biondo liquido.
I due osservarono la birra, nel tentativo di capire quali fossero le differenze più visibili rispetto al loro prodotto.
Quella “bionda” era simile alla loro: poca schiuma, persistente ma dalle bolle piccole. Non era filtrata, come quella prodotta da loro.
I profumi erano meno marcati di quelli della loro birra che, a quel punto il giovane Giuseppe ne fu certo, odorava molto di più di pane.
Tolta quella caratteristica, dovuta sicuramente dal lievito usato, all’aspetto le due birre erano del tutto simili.
I ragazzi passarono all’assaggio vero e proprio.
Quel nettare divino scendeva giù per la gola, fresco e dissetante.
Molto luppolata, forse un po’ più della loro, essa era la bevanda perfetta da consumare in un caldo pomeriggio estivo.
Tutto sommato, si convinse Giuseppe, le due birre erano simili.
Ed allora, senza ulteriori indugi, dovevano provare a concludere l’affare con l’oste:
«Mi scusi, ma questa birra da dove la prende? È molto buona!» esordì Giuseppe.
«Buonina, in vero… ma questa è la tipologia che i tedeschi preferiscono. Considerando che sono i miei migliori clienti… beh, devo pur soddisfarli, no?»
«Giusto! Gli affari prima di tutto!»
«Mi piace come ragioni, ragazzo! Tu sei?»
«Mi chiamo Andrea e questo è mio cugino Flavio» mentì il giovane.
Se la trattativa non fosse andata nel giusto verso, nessuno avrebbe dovuto sapere i loro veri nomi.
«Tanto piacere ragazzi! Chiamatemi Ostu! Il mio vero nome è Marco, ma i clienti mi chiamano così, anche i crucchi!»
i tre risero.
Quel soprannome che veniva dato ai tedeschi, “crucchi”, destava sempre molta ilarità.
«Bene, Ostu… ti stavo chiedendo, da dove prendi la birra amata dai crucchi?»
«Da dove vuoi che la prenda? Mussolini ha imposto che l’acquisto di bevande alcoliche avvenga solo negli spacci autorizzati, con tanto di sorveglianza armata da parte dell’esercito».
«Ti costerà un occhio della testa, immagino!»
«Puoi dirlo forte, ragazzo! Ma che ci vuoi fare… sono tempi difficili!»
«Senti, hai un foglietto di carta ed una penna?»
«Certo, ecco a te!»
Giuseppe scrisse una cifra sul pezzetto di carta sporco e sgualcito e lo porse al commerciante.
«Che cos’è?»
«Per ora tieni a mente questo numero, va bene?»
«Sì, dove vuoi arivare?»
«Adesso lo vedrai!» rispose il giovane sorridendo.
Pietro, nel frattempo, aveva estratto dallo zaino il bottiglione pieno di birra.
«Potrebbe darmi un bicchiere vuoto, per favore?»
«A che gioco state giocando, ragazzi? In questo locale si beve solo quello che si compra. Non è un circolo dove la gente si porta il vino da casa!»
«Non ti innervosire, Ostu. Ecco, tieni» Giuseppe allungò una banconota al barista «Dacci retta un secondo. Questo è per il tempo che ci dedichi. In fondo non ci sono altri clienti, quelli sono soldi guadagnati solo facendo due chiacchiere con noi!»
«Va bene, ma fate in fretta!» rispose l’oste, intascando i soldi con fare scorbutico.
Pietro versò la loro birranel bicchiere fuoto e lo spinse verso il padrone della taverna.
«Cos’è?»
«Secondo te? Assaggia!»
«E’ birra, credo…» lui, ancora un po’ titubante, assaggiò la bevanda.
«Che te ne sembra?»
«Direi che non è buonissima, ma se la bevessi dopo altre tre… non sentirei la differenza con quella buona…»
«E’ esattamente questo il punto a cui vogliamo arrivare».
«Ammetto di essere incuriosito, va avanti…»
«Bene! Ti ricordi la cifra che ti ho scritto prima?»
«Sì. Quindi?»
«Quella è la cifra a cui ti venderemmo una botte da dieci litri di questa birra. Niente tasse e tutto guadagno tuo, sul prezzo finale!»
«Questo è… un reato… non so…»
«Amico mio, il prezzo che ti obbligano a pagare la birra è un furto! Questo prodotto, a questo prezzo, garantirebbe un equo guadagno a te e a noi. Che ne dici?»
Il commerciante si mise a riflettere… era visibilmente ingolosito dall’offerta!
«Dico che se togli ancora tre lire da quella cifra possiamo concludere l’affare!»
«Non essere troppo esoso, caro Ostu! Se vuoi che ti tolga tre lire al barile me ne devi ordinare almeno cinque!»
«se te ne ordino tre? Per provare un paio di serate?»
«Ti tolgo una lira… massì, crepi l’avarizia! Ti tolgo due lire e questo vale come gesto di fiducia e di buona volontà! Che ne dici?»
«Qua la mano, ragazzi! Avete un nuovo cliente!»
«Ottimo! E sia chiaro… questa conversazione non è mai avvenuta!»
«Quale conversazione?» i tre risero.
I ragazzi avevano il loro primo cliente.
Erano divenuti ufficialmente dei fuorilegge.
Erano divenuti dei contrabbandieri di birra!