Numero 19/2017
13 Maggio 2017
I Contrabbandieri di Birra: Capitolo 30
Il cigolio dei cardini di acciaio aveva un ché di sinistro.
Il pesante cancello metallico, lentamente e rumorosamente, si stava chiudendo dietro alle spalle dei due fratelli.
Il moto lento creato dall’agente penitenziario che spingeva, non senza fatica, il metallo, era incredibilmente lento ma ai due ragazzi sembrò velocissimo.
Veloce come la libertà che si stavano lasciando alle spalle.
Veloce come quegli anni della loro giovinezza, quelli che, con ogni probabilità, avrebbero trascorso dietro alle sbarre.
Il clangore metallico dell’acciaio che cozzava violentemente ed inesorabilmente su altro acciaio li fece rabbrividire.
Pietro ebbe un sussulto che coinvolse tutto il corpo, Giuseppe lo percepì con la coda dell’occhio.
Erano lì, manette ai polsi, in piedi di fronte alla guardiola del penitenziario di Fossano.
Le grigie divise dei loro carcerieri, nulla lasciavano all’immaginazione: si prospettavano anni terribili!
«Avanti, muoversi!» ordinò l’uomo in divisa che stava di piantone.
«Un attimo, arrivo anche io!» rispose, non senza affanno, il collega militare che aveva chiuso il cancello.
Mentre pronunciava quelle parole, girò la mandata per diverse volte, con un pesante chiavistello in ottone.
CLANG!
CLANG!
CLANG!
Ogni mandata era come una pugnalata al cuore per i due.
Ogni mandata li allontanava sempre di più dalla libertà.
Giuseppe aveva spesso sentito battute al riguardo, c’era chi parlava della prigione come un luogo dove si “prendeva il sole a strisce”, da altri aveva sentito che era l’unico luogo dove si lavorava veramente, siccome si era spesso sottoposti ai lavori forzati ed altri ancora indicavano i nuovi “arrivati” come le prostitute di tutti gli altri detenuti.
CLANG!
E, sicuramente, a Giuseppe e a Pietro non era sfuggito la triste realtà: erano loro due i nuovi venuti, le nuove prostitute!
CLANG!
Pietro aveva i lucciconi agli occhi, stava per scoppiare a piangere.
«Non piangere! Ridi, fa quello che ti pare ma non piangere!» gli ordinò sottovoce il fratello maggiore.
«Ho paura…»
«Lo so… lo so…»
CLANG!
Terminate le mandate la guardia, un po’ sovrappeso ma molto muscoloso, si girò verso i due e sorridendo con un ghigno beffardo esordì:
«Bene, signorine! Adesso ci facciamo un bel giro in ufficio per immatricolarvi, poi una bella doccia per togliervi le pulci e poi un giro in sezione, fino alle vostre celle!»
Ingenuamente, Pietro, rispose:
«Avremo due celle separate?»
Infastidito, il carceriere, smise di sorridere ed avvicinandosi al ragazzo rispose acidamente:
«Sì, ma non credere che siano celle singole! Ci saranno altre cinque persone ad attendervi! Persone a modo, naturalmente, tutti Marchesi e Conti, per capirsi!»
«Non saremo in cella insieme?» chiese ancora il ragazzo.
Giuseppe diede un calcetto allo stinco del fratello;avendo svolto il servizio di leva, lui sapeva che quelle cortesi risposte da parte di un superiore erano il preludio per una punizione… figurarsi se uno era un galeotto!
«No, mio giovane amico! I parenti non vengono mai messi insieme… sarebbe un modo per addolcire la detenzione… e noi non vogliamo che vi sentiate in villeggiatura, dico bene, caro collega?» disse rivolgendosi all’altro militare che rispose ridendo ed annuendo.
L’uomo corpulento continuò:
«Vedi, caro giovanotto… capisco che tu non sia mai stato in prigione, sul serio! Ma credo che tu immagini che ci siano delle regole, no?»
«Certo…»
Non appena ebbe ricevuto quella risposta, il carceriere levò il manganello metallico e colpì Pietro al volto.
Il sangue cominciò a fuoriuscire.
Giuseppe fece per reagire; un semplice istinto di protezione nei confronti del fratellino.
Istinto che gli costò lo stesso trattamento da parte dell’altra guardia.
Giuseppe cadde in ginocchio, ma la guardia che si era rivolta a Pietro continuò il suo monologo.
Arringa che si rivelò particolarmente istruttiva fin da subito:
«Vedi, ragazzo, la prima regola è semplice: a noi ti devi rivolgere chiamandoci Signore!»
«Scusi, Signore! Non volevo mancarle di…» un altro colpo, questa volta alla bocca dello stomaco, impedì al ragazzo di terminare la frase:
«La seconda regola è presto detta: PARLI SOLO PER RISPONDERE SESEI INTERPELLATO!» un altro colpo sul costato, Pietro cadde a terra senza fiato.
«Rialzati!»
Pietro non ce la faceva.
«RIALZATI, CANE ROGNOSO!» Urlò sferrando ancora un calcio al giovane che, forse per il terrore di essere colpito ancora, trovò l’energia per alzarsi.
«Bene, hai capito, quindi, come funziona?»
Pietro, capita la lezione, evitò di rispondere ed annuì abbassando lo sguardo.
Anche Giuseppe si era rialzato ed anche lui, nonostante l’odio che provava, si costrinse a guardare a terra.
«Bene, direi che le ragazzine sono state domate!»
«Beh, sono giovani, anche per gli standard a cui sono abituati i nostri ospiti veterani!»
«Oh, già! Due belle ragazzine come voi… non arriveranno intere a domani mattina!»
I due risero di gusto, Giuseppe rialzò lo sguardo.
Il carceriere se ne accorse e si mise naso a naso con lui, che ostentava in un certo ual modo una sicurezza che non aveva:
«Cosa ti turba? Non vuoi che tanti cattivoni giochino con te?»
Nessuna risposta da parte di Giuseppe.
«Ah! Ho capito! Hai paura di quello che può succedere al tuo fratellino! Dico bene?»
Nuovamente Giuseppe non rispose.
Inconsciamente, però, il ragazzo abbassò lo sguardo per un attimo, distogliendolo da quello del suo aguzzino.
Al corpulento uomo non serviva sapere altro.
Giuseppe gli aveva dato la risposta affermativa a quel quesito infame.
«Non temere, caro mio!» rispose sarcastico, non velando minimamente la minaccia che stava per trasformare in realtà, «Visto che questo è quello che ti preoccupa di più, ti assicuro che sceglierò personalmente la sua cella… e sarà di fronte alla tua. E vedrai, oh, se vedrai! Osserverai tutto quello che gli faranno! E ti assicuro, Piangerai e ti dispererai! Ahahahah!»
Giuseppe vide rosso dalla furia cieca; il naso dell’agente ancora a pochi millimetri dal suo.
Il ragazzo gli sferrò una poderosa testata, rompendo il setto nasale dell’aguzzino.
Fece per sorridere, tronfio del suo stupidissimo gesto.
L’immagine del militare a terra, insanguinato e dolorante, fu l’ultima cosa che vide prima del profondo, oscuro ed impenetrabile nero.
L’altro agente lo colpì così violentemente alla nuca da farlo svenire all’istante.