Numero 20/2017
20 Maggio 2017
I Contrabbandieri di Birra – Capitolo 31
Il brusio che il giovane sentiva nelle orecchie, dapprima fu un semplice sottofondo, quasi piacevole.
In un lasso di tempo che per Giuseppe fu non quantificabile, quella specie di stridio leggero leggero, di venne un suono spaventosamente intenso, capace di risvegliarlo, con un mal di testa fuori dal comune.
Il ragazzo aprì gli occhi, in modo così repentino da sembrare innaturale.
Fisso, inamovibile, nel suo essere conscio ma silenzioso, il giovane fissava il grigio soffitto, butterato ed adorno solo di un lampadario di pessima fattura.
Dove si trovava?
Che cosa era successo?
E quel mal di testa…
La domanda che più gli attanagliò la mente, nonostante già le altre lo lasciassero perplesso ed interdetto, fu: che cosa mi sono perso?
Il ragazzo non si sentiva bene, ma no ricordava perché si sentiva così spossato.
Aveva forse contratto qualche misterioso male?
Era per caso svenuto per strada?
Piano piano, qualche breve e fugace sprazzo di memoria gli stava tornando.
Ricordava delle divise…
Ricordava la faccia impaurita del fratello, Pietro.
Ricordava che aveva colpito qualcuno…
Già, qualcuno di grosso…
No, non di grosso… la mente gli giocava brutti scherzi…
Lui non aveva colpito un uomo enormemente imponente, no…
In realtà aveva colpito un uomo grasso, non grosso!
Il giovane, ancora sotto choc, si rese conto che qualcosa non andava…
Stava tentando di portare le mani alla fronte, nel vano tentativo di contenere, forse, il mal di testa che si era impadronito di ogni fibra del suo essere.
Il ragazzo si agitò.
Subito nella sua mente alcuni altri ricordi riaffiorarono: l’uomo che aveva colpito era leggermente grasso, niente di enorme, in vero, e non era neppure così “grosso”…
Grosso…
Il giovane si ricordò quella scena: aveva associato la “grossezza, o grandezza” al grasso e, ora, si ricordava che in realtà la “grandezza” era una rappresentazione del Potere che quell’uomo, quello che lui aveva colpito, aveva nei suoi confronti.
Quel piccolo bastardo, in realtà aveva quasi potere di vita e di morte su di lui!
Certo, la confusione svanì!
Lui si chiamava Giuseppe, era svenuto in seguito ad una colluttazione avvenuta contro un agente di custodia!
Un verme, in vero!
Anche se non si ricordava i dettagli, Giuseppe era conscio di aver fatto più che bene a malmenare quell’uomo!
Già, ma per quale assurdo motivo si era trovato a picchiare un Carceriere?
Cioè, era un suo collega con il quale aveva litigato?
Oppure…
Oppure era…
Nella mente offuscata del giovane stava palesandosi l’opzione peggiore, quella che nella confusione nessuno vorrebbe mai ideare…
E se lui fosse stato un detenuto?
Un carcerato, un poco di buono!
Ma che reato aveva mai commesso per trovarsi in una prigione?
Che cosa era successo?
Ma che diavolo ci faceva lui in prigione a litigare con le guardie?
Ricordava a sprazzi di essere stato un militare, un Alpino… un a persona onorevole, insomma!
Ricordava di essere un fervente Fascista, uno che le divise le rispetta, non le colpisce!
La testa gli scoppiava…
Non riusciva più a resistere…
Che diavolo stava succedendo?
Voleva portarsi le mani alla fronte, voleva prendersi il capo e stringerlo forte, nell’ancestrale, forse animalesco istinto di circoscrivere il dolore lancinante che gli attanagliava le meningi!
Per Dio, non riusciva a portare le mani alla fronte!
Lui era sicuro di dare l’ordine giusto, ma le sue mani non si muovevano.
Il panico.
Che diavolo gli stava succedendo?
Perché non riusciva a muoversi come desiderava?
Chiuse gli occhi e, con uno sforzo sovrumano, si levò, in modo da assumere una posizione stabilmente seduta.
Il giovane continuava a sentire le braccia pesanti, come se non riuscisse a governarle bene.
Riusciva ad alzare un pochino, proprio qualche millimetro le braccia e poi, d’improvviso, era impossibile muoverle, come se un pesante macigno fosse crollato su di esse.
Riaprì gli occhi, la testa girava, come se avesse la pressione bassissima.
Girò il cavo, ponendo il proprio sguardo dapprima sulla mano sinistra ed in seguito sulla destra: erano incatenate!
Ecco perchè non riusciva a muovere le mani, a portarle al capo! Era legato, prigioniero, su di un letto in una specie di tristissima camera che sembrava ospedaliera!
«Auito…» sussurrò con un filo di voce.
Tossì.
«Aiuto!» quasta volta, la voce roca ebbe un tono più elevato.
Il giovane deglutì e riprovò:
«AIUTO! AIUTO!» urlò.
Giuseppe cercò di divincolarsi, di distruggere quelle catene metalliche per potersi liberare…
Un vano tentativo, come si poteva supporre.
Ma il ragazzo continuava a non capire che cosa diavolo ci facesse lì, incatenato manco fosse il peggiore degli assassini!
Un uomo con un camice bianco accorse e gli mise le mani sul petto:
«Ehi, Ehi! Calmati! Che fai, sta’ buono!»
Giuseppe percepiva le parole, ne capiva anche il significato, ma il suo cervello lo obbligava, in quella situazione, a tentare di fuggire disperatamente.
Istinto di sopravvivenza, forse…
Altri due uomini arrivarono per fermarlo.
Erano due ragazzi, due giovani poco più vecchi di lui, in divisa.
La divisa delle Guardie Carcerarie di Sua Maestà.
La stessa divisa che lui, ora se lo ricordava distintamente, aveva insozzato di sangue… del sangue del servo dello Stato che la indossava!
Quale onta, quale disonore per un Vero Fascista!
Eppure… qualcosa, quel carceriere, doveva pur avergli fatto, per costringerlo ad un così brutale provvedimento!
Il giovane si agitò ancora di più!
Quello che Giuseppe aveva classificato come medico, chiamò un’altra persona.
Una donna, una crocerossina.
Il ragazzo non riuscì a comprendere appieno le parole, gli ordini che il dottore le impartì.
Ma capì il loro senso: “calmante, presto!” ed ancora “infra-muscolare”.
Il giovane percepiva distintamente il dolore che le sei mani dei tre uomini gli infliggevano in tutto il corpo, nel vano tentativo di immobilizzarlo.
Ma riuscì a percepire un altro dolore…
Più intenso e localizzato nel braccio sinistro.
Lui, si volto.
Vide la crocerossina che aveva piantato l’ago metallico nella sua carne e che ora, con energia, premeva lo stantuffo della siringa.
Il ragazzo provò ancora a ribellarsi…
Che mal di testa!
Pochi attimi.
Il suo sguardo si alzò al cielo o, per meglio dire, al grigio e butterato soffitto.
Prima che l’incoscienza lo cogliesse, percepì poche parole.
Parole che sembravano pronunciate dal medico ed indirizzate ai suoi carcerieri:
«E pensate cosa farà quando scoprirà del fratello!»
Sentì delle persone ridere.
“Fratello”, pensò Giuseppe, “ Ah, già! Pietro! Chissà come sta…”