Numero 21/2017
27 Maggio 2017
I Contrabbandieri di Birra: Capitolo 32
Giuseppe spalancò gli occhi.
La testa confusa, lo sguardo perso nel vuoto.
Questa volta ricordava.
Ricordava tutto!
Era finito in prigione!
Qualcuno lo aveva denunciato ai Carabinieri di Sua Maestà.
Questo era certo!
Già, ma chi?
Nella sua mente i ricordi di mille clienti, di tanti amici e di tanta gente invidiosa.
Chi, tra tutti loro, aveva deciso di venderlo?
La testa gli scoppiava, questo non era cambiato dall’ultima volta che si era risvegliato; ma in questa occasione, forse perché aveva dormito e non era svenuto per le percosse, lui ricordava.
Come se il cervello, anche se sedato, avesse riposato.
Poi, ad un tratto, il flash di suo fratello che ipotizzava che la sua ragazza, la sua bella, adesso che si sentiva tradita, potesse progettare effettivamente di tradirli, denunciandoli.
Giuseppe ricordava distintamente che, nonostante avesse rassicurato il fratello sul fatto che lei non avrebbe mai potuto farlo, quando i carabinieri li fermarono, lui stesso, in quello stesso attimo, si fosse ricreduto!
«Merda!» esclamò a mezza voce, rauco ed ancora intontito.
I ricordi riaffioravano velocemente, violenti come una valanga di emozioni che caracollava giù dalla montagna!
Ricordò le minacce del carceriere, sulle cose inenarrabili che sarebbero accadute a Pietro e ricordò le ultime parole che aveva sentito prima di cadere sotto l’effetto del narcotico somministratogli dalla crocerossina:
“ E pensate cosa farà quando scoprirà del fratello!”
«Oh, porca… Pietro!»
Con uno sforzo quasi sovrumano, il giovane si mise a sedere.
Fu uno scatto fulmineo, pensava di essere ancora legato.
Troppo slancio, il giovane cadde riverso a terra!
Si guardò intorno: era senza dubbio in una cella: le pareti spoglie, i letti a castello, un bagno a mo’di turca senza nessuna parete che lo delimitasse il luogo di decenza.
L’ambiente lugubre, sporco, insano… sì, sicuramente era in una cella.
Fece per rialzarsi, ma un ennesimo capogiro lo costrinse nuovamente prono a terra, su uel pavimento che non vedeva una ramazza da almeno vent’anni.
L’odore che respirava era forte, intenso.
Un misto di urina, feci, sudore acre e povere, sporco, lerciume vario… probabilmente in quel mix nefasto vi erano anche tracce di fango e di letame…
Letteralmente invivibile!
Sentì delle voci, dapprima non capì quali parole stessero pronunciando, poi, il cervello ritornò ad interpretare più o meno correttamente i segnali:
«Ehi, Ehi! Calmati! Ragazzo! Ragazzo!»
Giuseppe ignorò quella voce roca e profonda, tentando ancora di alzarsi in piedi.
Una mano forte, ruvida e possente gli afferrò la spalla e lo mise a sedere, obbligandolo in quella posizione.
Il sangue cominciava a defluire dalla testa che, in pochi attimi, fu subito più leggera.
«Va meglio, ragazzo?»
Giuseppe percepì di essere in grado di rispondere a quella domanda:
«Sì… credo…»
Poi, di nuovo, nella mente l’immagine di Pietro.
«Mio fratello…»
Si alzò in piedi.
Questa volta, anche se barcollante, riuscì nell’impresa; si diresse, il passo incerto alle sbarre di acciaio e vi si appoggiò:
«Pietro! Pietro!» iniziò ad urlare…
Nessuna risposta.
«Pietro! Dove sei!»
La stessa mano forte che poco prima lo aveva aiutato, ora si era appoggiata sulla sua spalla, uasi a confortarlo:
«Ragazzo… tuo fratello…»
Giuseppe si voltò e vide un uomo grande e grosso, un metro e ottantacinque che lo guardava:
«Chi sei tu? Cosa sai di mio fratello? Cosa gli hai fatto?»
«Calmati! Mi chiamo Andrea. Sono uno dei tuoi compagni di cella. Il secondino mi ha ordinato di stare con te, per vedere che non morissi… gli altri sono tutti fuori. A lavorare. Qui tutti lavorano. Lavori forzati, si intende.»
«E mio fratello? Come fai a sapere di lui?»
«Il secondino, quando lo ha portato qui, in sezione, lo ha presentato come la nuova puttanella di Ciro… Un Napoletano. Lo chiamano Ciro ‘O Gigante. Effettivamente è molto più alto di me, ma non è per questo motivo che lo chiamano così…»
«E dove sta? Cos’ha fatto a Pietro?»
«Loro due stanno nella cella di fronte a questa. E tuo fratello… mi dispiace, ragazzo… ‘O Gigante è veramente un animale!»
«Pietro è…»
Giuseppe non aveva neppure il coraggio di pronunciare quella parola che gli bruciava sulla lingua più ardente di un tizzone.
«No, lui è vivo… ma ‘O Gigante ha apprezzato molto il dono del secondino. E tu sei stato sbattuto in questa cella perché ti potessi “godere” lo spettacolo…»
«Figlio di…»
«Silenzio! Stanno rientrando… ragazzo, non fare pazzie. ‘O Gigante è uno dei capi di questa sezione… tutti gli portano rispetto… se te lo fai nemico… potrebbe uccidere Pietro, te e tutti noi e nessuno interverrebbe! Lui ha molti appoggi fuori da ui, ed i secondini hanno paura per l’incolumità delle loro famiglie! Ripeto: zitto e non fare cavolate!»
I detenuti rientrarono in fila indiana, mesti mesti, luridi e sudati.
D’un tratto, Giuseppe lo vide: Pietro!
Sembrava il più abbacchiato di tutti.
Lo chiamò.
Il fratello volse lo sguardo verso di lui: l’immagine raggelò il sangue nelle vene di Giuseppe.
Pietro, il suo fratellino, aveva il volto disseminato di lividi, tagli ed escoriazioni.
Lo avevano malmenato…
Lo avevano pestato a sangue!
Un colosso era subito dietro a Pietro, si girò anche lui verso Giuseppe. Mentre camminava, iniziò a salutarlo:
«La principessa si è svegliata, Cumpa’! Guardate come è bella! Se il mio amichetto, col passare degli anni diventasse così… mmm che bella cosa!»
Giuseppe tirò le sbarre, come se volesse spezzarle; ovviamente fu un vano tentativo.
Tutti rientrarono in cella.
«Vieni, piccolo mio,» disse il colosso una volta che le celle furono chiuse, posizionandosi proprio davanti agli occhi di Giuseppe, «Vien’acca! Mostriamo a tuo fratello cos’hai imparato in sua assenza!»
Tutti nella sezione risero.
Tutti tranne Giuseppe ed i suoi compagni di cella.
«Sei pronto per lo spettacolo?» chiese con un ghigno ‘O Gigante a Giuseppe.
La scena che Giuseppe vide dopo fu una cosa inenarrabile.
La brutalità di quel gigante poteva considerarsi solamente opera del Demonio stesso!
Giuseppe urlò, pianse, inveì, bestemmiò!
Giurò e spergiurò a sé stesso che avrebbe ammazzato ‘O Gigante, quei cani dei secondini e tutti quelli che si fossero messi in mezzo, tra lui e la sua vendetta!