Numero 22/2017
3 Giugno 2017
I Contrabbandieri di Birra: Capitolo 33
Giuseppe era lì, lo sguardo fisso nel vuoto.
Nella mente il ricordo più atroce.
Il volto di suo fratello, del suo fratellino, che piangeva.
Un pianto di dolore, senza dubbio, ma anche un pianto di vergogna.
Vergogna per non essere abbastanza forte per impedire al suo aggressore di fare di lui un burattino!
Il volto livido del fratello dominava i suoi pensieri.
‘O Gigante lo aveva anche picchiato.
Manrovesci gonfi di violenza…
Una crudeltà inenarrabile!
No, lui doveva vendicare Pietro!
Qualunque cosa fosse successa dopo non era minimamente importante!
Lui avrebbe ucciso quel colosso, quel figlio di cagna che non considerava neppure un uomo!
Lo aveva giurato a sé stesso.
Lo aveva giurato davanti a Dio!
Quel mattino si era svegliato presto.
Per meglio dire, non aveva proprio chiuso occhio, scioccato com’era dagli avvenimenti del giorno prima.
Il materasso su cui dormiva era uno di quelli moderni… Strano trovarlo in carcere, in vero!
Era un prodotto strano: era un agglomerato di ovatta e di lana, percorso da molle di acciaio, quasi come se esse fossero l’armatura del materasso, al pari dell’armatura del cemento.
A ben pensarci, la modernità era d’obbligo in prigione, per lo meno in quell’ambito…
Meglio spendere qualche soldo in più per comprare un materasso, che sostituire un giaciglio di paglia settimanalmente.
Il giovane aveva forato il rivestimento del materasso e si era messo a scavicchiare, quasi come durante una caccia al tesoro, con le unghie.
L’imbottitura era ruvida, a tratti tagliente o, per lo meno, graffiante, ma questo non lo fermò!
Espanse, strappò, maneggiò, finchè non fu in vista del suo obiettivo: una molla di ferro.
Iniziò a girarla, come per raggomitolarla su sé stesso, per indebolirne la struttura, per rendere più semplice strapparne una sezione.
Erano ore intere che lui vorticava il ferro.
L’intera notte.
Era ormai l’alba, quando le sue orecchie, unitamente alle sue mani, percepirono uno dei suoni più belli del mondo: STAC!
Il metallo, infine, aveva ceduto all’insistenza del ragazzo.
Preso così, il ferro risultava solamente un pezzo di metallo ripiegato.
Ma il progetto del giovane era ben diverso.
Avrebbe lavorato, incessantemente, per limarlo e renderlo appuntito.
Non una lama, non aveva né lo spessore, né il filo per esserlo, quel pezzo di metallo.
Uno stiletto.
Quello sì!
Avrebbe creato uno stiletto con cui pugnalare ‘O Gigante.
Lo avrebbe fatto quel pomeriggio stesso, sotto alle docce.
Ogni settimana ogni detenuto aveva diritto ad una doccia.
Quello era il giorno designato, glielo avevano riferito i suoi compagni di cella, ignari del suo piano.
Lui, agli occhi di tutti, si era offerto per divenire il nuovo “giocattolo” del detenuto, al posto del fratello.
Incuriosito da quell’altro giovane, ‘O Gigante aveva accettato.
Aveva ordinato al secondino di portare lui e Giuseppe alle docce alle quindici esatte.
A Giuseppe faceva ancora impressione come un detenuto potesse comandare a bacchetta le guardie.
Ma tutti lo sapevano, la camorra aveva occhi ovunque.
Se la guardia non avesse esaudito i desideri dell’affiliato, con ogni probabilità non avrebbe visto un nuovo giorno!
Ed ecco che, allora, anche da dietro le sbarre, ‘O Gigante continuava a comandare.
Se non fosse stato per “il sole a strisce”, la vita del boss sarebbe stata la medesima che aveva vissuto in latitanza.
Una vergogna tutta italiana, in vero!
Ma Giuseppe non era lì per elaborare filippiche o teorie socio-politiche….
Era lì, pronto ad andare alle docce con quell’energumeno per ucciderlo!
Passò ancora alcune ore di quella notte insonne a strusciare il ferro contro al muro, nel tentativo di affilarlo, facendo meno rumore possibile.
Il suo compagno di cella, quello che lo aveva già aiutato, si svegliò, disturbato dal ritmico stridio del ferro sulla pietra:
«Che diavolo fai?»
«Non si vede?»
«Io vedo solo un aspirante suicida, se ho capito bene…»
«Niente di tutto ciò! Io oggi ucciderò ‘O Gigante!»
«Tu sei pazzo! Come credi di fare?»
«Oggi faremo la doccia insieme. Lo pugnalerò allora…»
«E come pensi di fare? Non puoi portare un pezzo di ferro in doccia. Ti perquisiranno!»
«Questo pezzo di ferro è abbastanza corto da poter stare nella mia bocca. Nessuno mi scoprirà! »
«Anche se funzionasse… l’hai visto? È veramente un gigante!»
«Lui sarà distratto, attratto dal sesso facile. Io ne approfitterò!»
«E’ un suicidio!»
«Vale la pena tentare!»
«Per cosa? Per essere ammazzato subito dopo? Sei un pazzo!»
«Forse! Ma non permetterò che quel porco abusi ancora del mio fratellino!»
«Questa tua determinazione ti fa onore…»
«Fammi gli auguri!»
«Ti faccio le mie condoglianze!»
«Va bene lo stesso!»
«Ripensaci…»
«Non fare la spia, per favore!»
«Non farei l’infame neanche per far uccidere un mio nemico, figurati se lo farei per tradire uno che vuole vendicare l’onore del fratello!»
«Ti ringrazio!»
«Ora dormi un po’…»
«Devo finire!»
«Io dormo!»
Il dialogo era finito.
Il piano era svelato.
Il ritmico suono dello sfregare del ferro sulla pietra riprese; mancavano poche ore al suo destino, questo Giuseppe lo sapeva!