Numero 42/2016
22 Ottobre 2016
I Contrabbandieri di Birra – Capitolo 4
La notte era calata, fredda ed oscura.
Tersa, invero, quindi rischiarata dalla luce fioca ed allo stesso tempo vivida del grande cerchio lunare, quasi nella sua pienezza mensile.
Giuseppe era lì, rannicchiato nella sua trincea, teso come una corda di violino che attendeva la sortita dei suoi avversari.
Lui ed i suoi compagni di squadra erano pronti, alla bell’e meglio, a respingere gli invasori.
Ad un tale, un ragazzo alto e snello della sua squadra era stato assegnato il grado di Sergente ed avrebbe comandato Giuseppe ed i suoi durante la battaglia. Giuseppe, in quell’esercitazione, era stato elevato al grado di Caporale. Aveva ai suoi ordini diretti tre soldati che stavano vicino a lui, come a formare un sol uomo.
I quattro confabulavano di tattiche e strategie di cui non conoscevano nulla.
L’esercitazione di quella notte serviva agli istruttori proprio a quello scopo: vedere se tra le fila di quelle reclute ci fosse qualcuno dal piglio geniale, qualcuno che fosse abile nell’arte del Comando in modo assolutamente innato.
I gradi sembravano esser stati assegnati a random, ma Giuseppe intuiva che nelle settimane precedenti, gli istruttori si fossero fatti delle idee su di lui e sui suoi compagni d’arme.
Sentiva orgoglio ed amarezza allo stesso tempo, poiché era vero che aveva ricevuto una promozione in quella esercitazione, quindi voleva dire che era riuscito a farsi notare, ma era altresì reale che non fosse stato scelto lui come Sergente caposquadra!
Giuseppe era deciso a dimostrare che era un uomo abile, un ragazzo che, nonostante le umili origini aveva la stoffa per diventare un capo!
«Bene, ragazzi!» esordì sottovoce, «vediamo di vendere cara la pelle!»
«E cosa dovremmo fare, se non aspettare che l’altra squadra attacchi?»
«Restare uniti, qui, per me non serve a nulla… per me il sergente sta facendo una grossa cavolata a farci stare tutti disposti nella trincea. Dovremmo dividerci, anzi!»
«Dividerci? In che senso? E poi… non è un’ottima cosa disobbedire agli ordini di un superiore…»
«Se l’ordine è giusto, si obbedisce. Ma io la vita non la getto perché il sergente è un demente! Per esempio: non sappiamo da dove il nemico attaccherà, giusto?»
«Sì!»
«Bene, allora dovremmo posizionarci in punti strategici. Lavoriamo noi come squadra, abbiamo bisogno di vedette! Per esempio: tu, come ti chiami?»
«Andrea».
«Andrea, tu andrai strisciando fino a lì!» Giuseppe indicò al commilitone una piccola altura posta alle spalle della trincea. Era completamente in ombra ed anche se il ghiaccio aumentava la visibilità riflettendo i tenui raggi luminosi provenienti dalla luna, quel luogo era in un cono d’ombra che rendeva impossibile da lontano la localizzazione di individui. Al contempo era un ottimo punto di osservazione… perfetto!
«Tu, invece, come ti chiami?»
«Gianbattista».
«Bene, tu striscerai un po’ più avanti rispetto alla trincea. Non essendo uno scontro a fuoco, il nemico dovrà ucciderti in uno scontro a breve distanza. Quindi, una volta che scorgerai il nemico che avanza potrai tornare qui inosservato, oppure, se non li vedessi fino all’ultimo, nel momento di “spirare” potrai urlare “Allarme”, rovinandogli l’effetto sorpresa».
«Ed io dovrei sacrificarmi e tornare al campo base a petto nudo? Non ci penso proprio!»
«Se un uomo o un coniglio?»
«Vacci tu, se proprio hai smanie da eroe! E per la cronaca, i conigli hanno la pelliccia… in questo momento pagherei per averne una!»
Giuseppe dovette riflettere sulle parole del compagno.
Prese una decisione:
«E sia, andrò io! Voi due, Gianbattista ed Alberto, starete qui, spalle contro spalle, in modo da coprirvi a vicenda sia a destra che a sinistra. Va bene per tutti?».
«Sì!»
«Bene, ora il codice!»
«Codice?»
«Beh, visto che ci stiamo organizzando per annullare il loro effetto sorpresa, sarebbe inutile urlare “arrivano da destra o da sinistra”, no? Loro potrebbero cambiare direzione, dividersi o fare chissà che altro!»
«Hai ragione!»
«Bene! Direi che, chi avvista il nemico dovrà comunicarlo agli altri in funzione della nostra attuale posizione, ossia circa il centro della trincea. Se il nemico avanza da destra faremo un ululato, tipo quello di un lupo, se avanza da sinistra faremo l’imitazione di un gufo, se avanza centralmente emetteremo un muggito, tipo quello delle vacche! Sta bene a tutti?»
«Sì!»
«E se il nemico sbucasse alle nostre spalle?» chiese Alberto.
«E’ una trincea… e poi non credo che siano così scaltri da arrivarci da dietro senza che li si scorga… se mi sbaglio… beh, che Dio ce la mandi buona!»
«Per sicurezza… potremmo miagolare…»
«Come dici?»
«Sì, non lasciamo nulla al caso! Se arrivano da dietro miagoleremo!» propose Gianbattista.
«Va bene, perché no!» si convinse Giuseppe, «Ora vado a comunicare il nostro piano al Sergente ed alle truppe, sperando che accetti almeno i segnali; tutti in posizione, ragazzi!»
Giuseppe si mosse accovacciato, pochi metri e giunse dal Sergente ad interim.
Un borioso deficiente, invero, la cui unica strategia di difesa era stata disporre tutti il riga ed attendere in silenzio il corso degli eventi.
Quasi come se lo sentisse, Giuseppe fece riunire tutti i Caporali attorno al Sergente e spiegò quel suo strano piano.
Tutti, eccezion fatta per il Sergente, furono entusiasti del piano, per quanto semplice e grezzo.
Era sicuramente meglio di quello proposto dal Sergente.
Il Sottufficiale più alto in grado disse apertamente che per lui era una cavolata di proporzioni bibliche e che chiunque avesse appoggiato quel piano non suo sarebbe stato denunciato agli istruttori! Un’insubordinazione già dai primi giorni di leva militare non sarebbe stata propedeutica per una fulgida carriera!
«Andiamo! Il tuo piano fa pena!» insorse Giuseppe.
«Come osi? Io sono il tuo Sergente!»
«Stai prendendo un po’ troppo sul serio questo gioco delle parti! Ma soprattutto non voglio tornare in caserma mezzo nudo per la tua inettitudine!»
«Sì!»
«Ha ragione Giuseppe!»
«Sì! È inutile stare fermi ed attendere gli eventi!»
«Così ci farai perdere!»
«Zitti tutti! Io sono il Sergente ed io decido!»
«Ascoltami, per favore! Io ed i miei uomini faremo come ho detto io!» disse con tono solenne Giuseppe, anche se sottovoce per non essere sentito dai nemici, «Tu sei libero di fare quello che ti pare. Da quanto vedo sono tutti con me, quindi: o accetti questo piano e ne prendi il merito se vinceremo, oppure…»
Giuseppe sentì una fitta alla bocca dello stomaco ed in seguito una pressione trasversale, lungo la pancia.
Un suono ruvido, una strisciata.
Giuseppe si guardò l’addome.
Una striscia rossa percorreva la sua divisa per metà.
Il Sergente lo aveva eliminato dal gioco colpendolo con la sua baionetta, ancora non attaccata al fucile:
«Hai capito chi comanda, brutto stronzo?» disse con un ghigno.
«Mi hai…»
«Ti ho eliminato! Non accetto di essere messo in ridicolo da un mio sottoposto! Comunque andrà, tu te la farai a petto nudo fino alla caserma!»
Giuseppe sentì una vampata di calore, un accesso immenso d’Ira!
«Brutto figlio di…» e cominciò a colpire il Sergente con numerosi pugni sul volto.
Lo trascinarono via gli altri caporali, non prima che i suoi colpi avessero ridotto il sergente ad una maschera di sangue.
«Visto? Anche la tua divisa è macchiata, ora!» il ghigno di Giuseppe era più ampio e sadico di quello che poco prima dipingeva il volto del Sergente.