Numero 29/2017

22 Luglio 2017

I Contrabbandieri di Birra: Capitolo 40

I Contrabbandieri di Birra: Capitolo 40

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«Non capisco… come mai tutti applaudono? E come mai io e Pietro siamo stati messi nella stessa cella?»

Gli applausi, i fischi e l’acuto tintinnio delle sbarre stavano ancora animando la sezione del carcere ove i due fratelli avrebbero dovuto trascorrere ancora parecchio tempo.

Il vecchio compagno di cella di Giuseppe, dopo aver terminato il lungo abbraccio, sorridendo,iniziò a spiegare:

«Mio caro Giuseppe, siamo tutti contenti perché hai ucciso O’Gigante!»

«Ma lui non era il capo qua dentro? Quello che in America chiamano “Boss”?»

«Sì. E lo era in funzione della potente famiglia criminale che aveva alle spalle!»

«E quindi… non capisco, non dovrei essere… non so, in pericolo di vita? Nessuno vuole vendicarsi?»

«Normalmente sì… infatti, se ricordi, siete stati sbattuti per giorni e giorni in isolamento!»

«Come dimenticarlo!»

«Appunto. Sai perché siete stati rinchiusi lì?»

«Per la nostra pericolosità?»

Il detenuto tirò un sospiro, quasi di rassegnazione.

«Possibile che tu sia così ingenuo?»

«Ingenuo?»

«Si vede che vieni dalla campagna…»

«Non capisco…»

«La galera, come avrai capito, non è un posto dove sono in vigor le regole fasciste, non tutte per lo meno. Qui, la situazione è complessa. Gli uomini che ci devono sorvegliare sono pagati una miseria e non è previsto che abbiano protezioni particolari in caso di… minacce… O’Gigante, per esempio, era un esponente di una importante famiglia del sud. Gente potente, che è diventata ricca grazie a furti, rapine, minacce ed omicidi. Questo ti è chiaro?»

«Qualcosa avevo intuito… ma non capisco cosa c’entra con me e con mio fratello…»

«O’Gigante aveva tutto quello che voleva, qui dentro. Se avesse voluto delle donne, eserciti di puttane sarebbero entrate nottetempo per soddisfare i desideri di quell’uomo. Purtroppo per Pietro… beh, i suoi gusti erano differenti…»

Sia Giuseppe che Pietro fecero una smorfia e serrarono i pugni.

Ancora troppo vivido, in loro, il ricordo, per poter restare impassibili di fronte a quella frase che riportava alla luce tragedie inenarrabili.

«Quindi? Veniamo al dunque, per favore…»

«Sì, vi chiedo scusa per la mia uscita un po’cruda…»

«Dai, continua…» il tono di Giuseppe era quello di una persona che si stava spazientendo e che non vedeva l’ora di cambiare argomento.

«Bene. Beh, O’Gigante usava i metodi con cui aveva vissuto fuori da qui, anche dietro le sbarre…»

«Vuol dire che vi minacciava e vi malmenava? Sai che scoperta!»

«Non solo a noi! Anche alle guardie!»

«E loro non facevano nulla? Cioè, un detenuto è un detenuto! Potevano malmenarlo come hanno fatto più volte con me!»

«I primi tempi della sua prigionia, membri della famiglia allargata del Gigante passavano regolarmente a fargli visita… portavano dolci, arrosti ed oggetti reputati innocui: fotografie… »

«Fotografie?»

«Sì! Fotografie delle madri, delle mogli, dei figli di tutti… sia dei detenuti, ma, soprattutto, degli agenti!»

«Ora capisco…»

«Lui, forte di amici e familiari ancora fuori dalle celle, faceva vedere le foto ai carcerieri… quando quelle persone, vedendo le immagini di un proprio caro, gli chiedevano che cosa significasse tutto ciò… beh, lui rispondeva in modo pacato, gentile… quasi cortese. Gli faceva notare quel dettaglio particolare, la lunghezza dei capelli, il vestito che la persona nella foto indossava il giorno prima… cose così, giusto per far capire loro che le foto erano state scattate da poco tempo. E poi… beh, chiedeva cose. Non c’era bisogno che lui minacciasse apertamente gli agenti… bastava incutere in loro la paura che, in qualunque momento della giornata, la “famiglia” di O’Gigante fosse lì, pronta a decidere della vita o della morte di un loro caro!»

Per un minuto i due fratelli restarono in silenzio.

Stavano comprendendo la gravità e la cruenza dei metodi di quel “Boss”.

A Pietro, ora, bruciava una domanda in gola.

Non riuscì a trattenerla, anche se la paura di quella che avrebbe  potuto essere la risposta lo assillava con ancor più veemenza:

«C’è… c’è mai stato qualcuno che…»

«Che si è rifiutato? Oh, sì! Un pazzo… un ragazzetto, appena arruolato. Un fascista convinto, uno ch si reputava incorruttibile…Ma èproprio grazie a quel ragazzo che voi siete vivi»

«Come? E… e come andò?»

«Andiamo con ordine… Alla vista della fotografia della sua giovane moglie incinta, il ragazzo impazzi e massacrò letteralmente di botte O’Gigante. Risultato? Il giorno dopo venne convocato nell’ufficio del Direttore per rispondere ad una telefonata proveniente dall’ospedale: sua moglie era stata pestata a sangue, sfregiata in volto, le erano state spezzate tutte le dita e, cosa più terribile, aveva perso la creatura che aveva in grembo!»

«Mio Dio! E’ terribile!»

«Già… ma, come vi dicevo, questa storia è stata la vostra salvezza!»

«Com’è possibile?»

«Ora vi spiego: da quel giorno, nessuno della famiglia di O’Gigante venne più a fargli visita; nessuna nuova foto, nessuna torta, nulla di nulla! Sembrava come se lo avessero abbandonato. Nessuno ne era certo, però, e lui continuò ad incutere terrore solo più a parole… ma dopo quell’atroce dimostrazione di bestiale forza… nessuno osò più mettersi contro di lui!»

«Fino a quando non lo abbiamo ucciso, immagino…»

«Esatto!»

«E come mai nessuno vuole vendicarsi su di noi o sulla nostra famiglia?»

«Nessuno di noi lo sapeva… ma “la Famiglia” ha un codice d’Onore molto rigido. La Regola da non infrangere MAI, qualunque sia l’onta subita è questa: NON SI TOCCANO I BAMBINI! Gente molto Cristiana, in vero, nonostante le violenze… e come disse Nostro Signore, “ciò che fate al mio fratello più debole è come se lo faceste a me!”… Adesso capite, vero? Facendo abortire quella donna, O’Gigante aveva, volontariamente oppure no, “Ucciso Gesù Cristo in persona!”»

«Accidenti!»

«Quindi, la famiglia, lo abbandonò al suo destino, poiché aveva macchiato l’Onore dell’intera casa! Ma nessuno di noi lo sapeva, neppure le Guardie. Voi siete stati sbattuti in isolamento per essere tenuti lì, in caldo per la vendetta della “famiglia”. Dovevate morire!»

I due ebbero dei brividi gelidi…

«E come mai non siamo morti?»

«Quando il Direttore del carcere telefonò al Padre di O’Gigante, il capo della Famiglia, per comunicargli che era stato assassinato, aveva egli stesso il terrore di morire per vendetta. Ma il capofamiglia, tranquillo come se nulla fosse successo, rispose al Direttore che un assassino di bambini non meritava né pianti né vendetta, anzi, si dispiaceva che nessuno lo avesse ammazzato come un cane prima!»

I due fratelli rimasero a bocca aperta, increduli.

«Quindi, miei cari ragazzi, dovete la vita a quel bambino non ancora nato… e noi, dobbiamo a voi la libertà dal giogo di quella bestia! Perfino gli agenti ed il direttore, per evitare processi, nel caso questa brutta vicenda fosse arrivata alle orecchie di qualche gerarca Fascista molto zelante, hanno deciso di insabbiare tutto, facendo risultare la morte di O’Gigante, come avvenuta per cause naturali. Quindi non verrete processati per l’omicidio! La vostra buona stella non smette di brillare!»

«La fortuna è un’altra cosa… ma nel male, almeno, siamo ancora vivi… e forse gli anni che ci attendono dietro alle sbarre non saranno così terribili come immaginavamo…»

 

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Alessio Lilliu
Info autore

Alessio Lilliu

Sono nato a Cuneo, ridente capoluogo di provincia piemontese.
Ho sempre amato la Natura e, seguendo questo amore, ho frequentato l’Istituto Tecnico Agrario ed ho proseguito i miei studi conseguendo, nel 2012, la Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie Alimentari a pieni voti.
Ho sempre adorato la cultura in ogni sua forma, ma ho sempre odiato gli stereotipi.
In particolare lo stereotipo che ho sempre rigettato è quello che riguarda la relazione tra “persone studiose” e “persone fisicamente poco attraenti”. Per ovviare a tale bruttissimo stereotipo all’età di 11 anni cominciai a praticare Judo e ad oggi sono cintura nera ed allenatore di questa disciplina marziale.

Dal 2010 gestisco un’attività commerciale, l’Edicola della Stazione Ferroviaria di Cuneo.
Ho ricoperto nel 2011 anche il ruolo di Vice-Responsabile della qualità all’ingresso in un macello del cuneese e, una volta terminato il mio percorso di studi, nel 2012 per l’appunto, ho deciso di rendere il settore alimentare parte ancor più integrante della mia vita. Creai la Kwattzero, azienda di cui sono socio e che si occupa di prodotti disidratati a freddo e di produzione di confetture ipocaloriche, ricavate tramite un processo brevettato di mia invenzione e di mia esclusiva proprietà. Obiettivo finale della ditta è quello di arrivare a produrre i propri prodotti con un consumo energetico pari a zero tramite l’installazione di fonti di energia rinnovabile, per esempio pannelli fotovoltaici.

Per quanto riguarda la mia passione per la scrittura, nacque in tenera età ed in particolare attorno ai sette anni, quando rubavo di nascosto la macchina da scrivere di mio padre, una vecchia Olivetti, per potermi sbizzarrire a sognare e fantasticare su terre lontane e fantastici eroi.

La mia passione per la scrittura venne ricompensata nel 2010 quando pubblicai il mio primo romanzo, “Le cronache dell’Ingaan”. La mia produzione letteraria prosegue a tutt’oggi con nuovi romanzi.

Dal 2012 sono Presidente di Tecno.Food, associazione che riunisce i Laureati e gli Studenti delle Scienze alimentari in seno all’Università degli Studi di Torino.

La nuova ed affascinante sfida che sto cominciando ad affrontare con enciclopediadellabirra.it mi permette di unire due mie grandi passioni: la scrittura e la birra!

Adoro sperimentare sempre nuove cose e nuovi gusti e questa è un’occasione davvero unica.