Numero 30/2017
29 Luglio 2017
I Contrabbandieri di Birra: Capitolo 41
Fossano, Cancellata d’ingresso della Prigione, anno 1942
Due giovani erano lì, assiepati in mezzo alle due pesanti cancellate in pesante metallo.
In piedi, vestiti stropicciati ma puliti.
Uno aveva una barba abbastanza folta, castano scuro, ben curata, l’altro, il più giovane, era rasato di fresco.
Da lì, in attesa di poter uscire, due agenti controllavano la regolarità dei documenti di scarcerazione.
«Tutto regolare.»
«Possono uscire?»
«Sì, attendiamo solo più il nullaosta firmato della Direzione che prende atto di quello inviato dalla Magistratura. Questione di qualche minuto, non temete».
«Bene… senza offesa ma abbiamo voglia di uscire… sapete com’è!»
Gli ormai ex detenuti e gli agenti in guardiola scherzavano, gli uni felici di poter uscire, finalmente, di prigione, gli altri educati nello svolgimento del loro ruolo.
Ed il loro ruolo era, appunto, aprire ai ragazzi le porte della libertà e far loro le ultime raccomandazioni di rito.
«Ragazzi, la vostra libertà sarà breve, lo sapete?»
«Ci stai augurando di tornare qui?»
«Niente affatto! Non ve lo auguro! Ma… beh, in cella non lo potevate sapere, vi abbiano tenuto all’oscuro di tutto… ordini da Roma…»
«Quindi?»
«L’Italia è in guerra, ragazzi miei!»
«In guerra? Con chi? Per cosa? Sul serio?»
«Sì! Italia, Germania e, sembra, quei nani gialli dei Giapponesi contro… beh, più o meno contro il resto del mondo!»
«Cosa? E come sta andando?» chiese Pietro.
«Bene ma non troppo… servono braccia giovani e capaci al fronte. Con i documenti della scarcerazione, vi consegneremo anche il “foglio di marcia”. Vi è concesso di passar la notte a casa vostra, con la vostra famiglia. Poi, visto che tutti e due siete in età da battaglia, dovrete presentarvi, domani mattina, presso la caserma di Fossano, sapete dov’è, vero?»
«Sì… certo… guerra… accidenti avrei preferito farmi altri dieci anni in cella… almeno sarei stato al sicuro!» disse Giuseppe con un tono che lasciava intendere che non era uno scherzo, ma che la frase appena pronunciata era il suo vero pensiero.
La guerra… il terrore di ogni madre, l’incubo di ogni padre…
Che sfortuna pazzesca! Avevano appena terminato la loro prigionia ed ora?
Cosa avevano guadagnato dall’aver terminato di scontare la propria pena?
Una condanna a morte in differita, su di un campo di battaglia!
No, il destino non poteva essere così crudele con loro!
Non avevano, forse, pagato già abbastanza?
Giuseppe serrò i pugni, ma si rese conto di essere impotente.
Gli anni trascorsi in prigione erano stati, tutto sommato, meno peggio di come se li sarebbe attesi alle prime settimane.
Il rispetto guadagnato con l’assassinio di O’Gigante aveva procurato ai due fratelli, ma a Giuseppe maggiormente, una certa fama.
Tale fama si era trasformata in gratitudine.
Una gratitudine che si era tradotta in piccoli favori, piccole agevolazioni elargite però, a differenza di quelle fatte a O’Gigante, come segno di rispetto e non a causa del terrore.
«Cazzo! Così ci mandate a morire, dico bene? Non potevate farci fuori tre anni fa, quando eravamo in isolamento?»
«Perché dici così? Non è detto che moriate, in fondo… siet già stati graziati dal destino una volta, no? »
«So che fine fanno gli ex galeotti, nell’esercito di sua Maestà… fanteria di prima linea, oppure esploratori… carne da macello, comunque!»
«La guerra è la guerra, ragazzo… e a meno ché tu non sia un alto ufficiale, il rischio di crepare è uguale per tutti!»
«Palle! Altrimenti voi non sareste qui, dico bene?»
«Le forze di Polizia servono a mantenere l’ordine pubblico anche in tempo di guerra… quindi noi siamo esentati dal combattere sul campo. Ma voi, invece, dovrete presentarvi domani mattina in caserma…»
«E se non lo facciamo?» chiese impetuoso Pietro.
«Sarete accusati di Alto Tradimento e di Diserzione in tempo di Guerra. Sareste ricercati, catturati e condannati a morte per fucilazione. In quel caso, sì che avreste la certezza di morire…»
Dal cortile interno, dalla piazza d’armi della prigione, dove si addestravano le guardie, giunse un altro agente in divisa, recante con sé due fogli.
Entrò nella guardiola, i fogli nella mano destra ed un timbro in ottone nella sinistra.
STUMP!
STUMP!
«Ecco a voi, ragazzi! I documenti che vi rendono liberi. Buona fortuna e fate in modo che non ci rivediamo più, mi raccomando!»
Giuseppe, stizzito, afferrò quei pezzi di carta così violentemente che quasi li strappo di mano all’agente.
Si voltò senza salutare, furioso per quel tiro mancino che il destino aveva giocato loro.
«Aprire le porte!»
L’ordine fu eseguito, i due uomini in guardiola girarono la chiave nella toppa e tirarono a sé il pesante cancello.
Giuseppe notò che scricchiolava in modo ancor più assordante e snervante rispetto a tre anni prima, quando si era chiuso alle loro spalle, invece di aprirsi dinnanzi a loro.
I due uscirono, passo incerto, quasi come se avessero timore di quel mondo esterno che da tanto non frequentavano.
Erano cambiate tante cose, durante la loro prigionia?
Come stavano i loro genitori?
Non li vedevano dal giorno da quattro mesi, giorno dell’ultimo colloquio concesso loro…
Ed ecco che lì, mentre il timore di quello che li avrebbe attesi li fuori li stava divorando da dentro, un volto caro, familiare, gioioso li fece sorridere.
La loro madre era lì, in piedi, l’abito della festa indosso.
Piangeva e rideva nello stesso tempo.
Tutti e tre, invero, piansero e risero contemporaneamente!
Un incubo era, finalmente, terminato!
Ma la vita dei due ragazzi stava per mutare radicalmente…
Loro non lo sapevano, ma il loro Destino, quello che li aveva legati fin dalla nascita alla birra e all’orzo prodotto dal loro padre, era ancora lì, pronto a far intrecciare nuovamente le loro vita con quella bevanda, così buona e così bistrattata dai gerarchi…