Numero 44/2016
5 Novembre 2016
I Contrabbandieri di Birra – Capitolo 6
La licenza per il periodo natalizio per Giuseppe trascorse lentissimamente.
A dire il vero, non solo per lui, anche per quell’altro…
Quello che era stato il suo Sergente durante l’esercitazione in alta montagna…
Tale Agamennone Terrismondi; un nome, un programma.
Agamennone…
Il nome del borioso Re dell’antica Grecia che decise di partire con l’esercito più imponente che la Storia avesse mai visto fino a quel momento alla volta di Troia, una città considerata inespugnabile.
Borioso, arrogante, presuntuoso… si poteva presumere che il nome avesse in Sé tutte quelle caratteristiche, trasposte più di duemila anni dopo nelle mortali spoglie di quel demente che era stato il suo Sergente!
Però non tutte le caratteristiche dell’Agamennone Greco erano state trasposte… di tutte, al momento, mancava “vittorioso”, in quanto, a differenza dell’arcaico sovrano che, dopo anni ed anni riuscì a conquistare Troia, l’Agamennone moderno aveva al suo attivo una sonora sconfitta ed il naso rotto.
Nella base vi erano pochi uomini, quelli che, per turnazione, avrebbero trascorsola Pasqua a casa e che quindi sarebbero restati a presidiare la caserma in quel periodo natalizio, scambiandosi con i colleghi che in quel momento godevano della licenza.
Giuseppe ed Agamennone, forse, avrebbero goduto di tre giorni a Pasqua e non di dieci come i loro commilitoni.
Per il loro stupido battibecco, la punizione era stata esemplare: niente licenza natalizia e quella pasquale ridotta ad un terzo!
Giuseppe aveva come unica consolazione che, quell’anno, la Pasqua sarebbe caduta a Marzo.
Solo tre mesi per riabbracciare i suoi cari!
In quelle giornate fredde ed innevate, Giuseppe decise di tentare una riappacificazione con Agamennone.
Giacché erano gli unici del loro plotone a dover passare il natale lontano da casa, tanto valeva tentare di trascorrerlo chiacchierando con qualcuno.
I Nonni, ossia i militari di leva più anziani non li consideravano minimamente e, dal canto loro, onde evitare di spezzare quella tradizione militare, anche loro non consideravano i nuovi arrivati.
Figurarsi, poi,se i militari di carriera li degnavano di uno sguardo!
Erano tutti e due in camerata, quel pomeriggio del ventiquattro dicembre, uno agli antipodi dell’altro.
Giuseppe posò il libro che stava leggendo, un libro di poesie di uno degli autori più in voga in quegli anni, un certo Luigi Pirandello.
Si alzò dalla branda e si diresse verso il commilitone, intento anche lui a leggere, ma Agamennone leggeva un libro di un autore straniero, Francese, del 1800: Jules Verne. Il libro che stava leggendo era un famosissimo romanzo ambientato in un futuristico mezzo sottomarino, un capolavoro dal titolo: Ventimila Leghe sotto i mari.
Sull’immagine di copertina, però, troneggiava un nome italiano, sempre per sommo desiderio del Duce, ed allora, l’autore conosciuto in tutta la penisola era divenuto Giulio Verne.
Non sapendo come attaccare bottone, Giuseppe, una volta giunto in prossimità del letto del rivale, esordì:
«Beh, meno male che almeno i libri ce li concedono, durante questa specie di prigionia!»
«Ehi, tu, coso… cerchi rogne?»
«Io mi chiamo Giuseppe e…»
«E sai quanto me ne frega!sparisci e lasciami leggere in santa pace!»
«Ehi, non sono qui per litigare!»
«Non si direbbe! Che diavolo vuoi?»
«Siamo partiti con il piede sbagliato… e siamo gli unici del nostro corso rimasti. Davvero vuoi passare il Natale da solo?»
«Se non fosse stato per te, non sarei solo questo Natale! Non sarei neanche qua, ma dai miei amici e parenti!»
«Ed io cosa dovrei dire? Se tu non mi avessi colpito, se tu avessi ascoltati i miei consigli, forse avremmo vinto! E comunque non saremmo qua, a prescindere dalla vittoria!»
«E’ un modo strano di porgermi le tue scuse…. Giuseppe, giusto?»
«Sì, Giuseppe. E per la cronaca, non ti sto chiedendo scusa! Ti sto…»
«Ah, allora… beh, non mi frega nulla di quello che vuoi dirmi!la nostra chiacchierata è conclusa! Ora sparisci, prima che decida di romperti il muso!»
Serrando i pugni, ma trattenendo la rabbia che, veloce come un purosangue arabo stava montando in lui, Giuseppe fece il gesto di “mandare a quel paese” Agamennone e tornò a leggere.
Le giornate trascorsero.
Le settimane.
Tutti tornarono dalla licenza Natalizia e la vita nella caserma riprese con la solita frenesia, abbandonando la sonnecchiante routine delle feste.
Tutti tornarono con piccoli gingilli, da quelle vacanze, chi con una pipa nuova, chi con la scorta di tabacco, chi tornò con grappa artigianale che non mancò di offrire ai commilitoni, chi con qualche dolce fatto in casa e chi con la fotografia della propria bella, con tanto di dedica appassionata sul retro.
Tutti ebbero qualcosa, tutti tranne Giuseppe ed Agamennone.
E la tristezza che assalì il Fossanese, fu ancora più aspra e tetra.
Altri giorni trascorsero.
Le esercitazioni divenivano sempre più complesse, articolate.
Pesanti esercizi fisici venivano alternati a prove di resistenza in ambienti sempre più lugubri ed insalubri.
Al contempo,tra un’esercitazione e l’altra, intricate tattiche militari venivano loro spiegate, tattiche che poi, avrebbero dovuto riprodurre in esercitazione.
Giuseppe, a Febbraio, era stato promosso, questa volta realmente, Caporale del Regio Esercito.
Agamennone, che nelle settimane aveva addolcito il suo carattere, divenendo quasi un amico di Giuseppe, era ancora un semplice soldato.
Uno scotto che non passò in sordina ed il rapporto disteso che si era creato tra i due si fece di nuovo astioso, con occhiate, da parte di Agamennone, che gridavano atroce vendetta.
Giuseppe non se ne curava; era vicino alla sua meta, al suo traguardo: i tre giorni di libera uscita del periodo pasquale!
Per nulla al mondo si sarebbe fatto stuzzicare a tal punto da Agamennone da perdere le staffe, rischiando un’altra severa punizione!
Doveva resistere ancora qualche settimana!
Solo tre, per l’esattezza.
Il tempo trascorse, il giorno fatidico, il Sabato Santo lo vedeva in divisa, valigia in mano dinnanzi ai cancelli della caserma, pronto ad uscire.
Fino all’ultimo secondo il terrore che dalle sue spalle provenisse la voce di qualche ufficiale che, per qualche arcano motivo, vietava a tutti di uscire da lì.
I cancelli si aprirono.
Giuseppe uscì.
Avrebbe goduto di quei tre giorni appieno, ne era convinto!
Se solo avesse saputo la verità!
Se solo avesse immaginato che cosa lo attendeva a casa…