Numero 46/2016
19 Novembre 2016
I Contrabbandieri di Birra – Capitolo 8
Giuseppe, guidava il trattore dell’amico con cautela, al fine di non danneggiarlo.
Ad onor del vero, esso non superava i trenta chilometri orari proprio per sua stessa costituzione, ma la prudenza del giovane faceva sì che il mezzo si muovesse sempre attorno ai venti.
Quel misuratore di velocità, quel tachimetro strano era una delle novità di quel modello.
Addirittura non tutte le scattanti automobili da città disponevano di quel misuratore. Era una peculiarità delle macchine di lusso, poiché anche le stesse automobili più essenziali erano, di per sé, un bene adatto a pochi portafogli.
Giungendo nelle vicinanze della sua dimora il giovane osservò quei campi che gli erano tanto mancati.
Notò un particolare che alla sua mente era sfuggito per tutto il viaggio, concentrato com’era nella giuda: i campi, in quella primavera, erano coltivati praticamente tutti a cereali.
In particolare a grano duro.
Non che ci fosse qualcosa di strano nel fatto che le campagne fossero coltivate, beninteso, ma il grano cosiddetto “duro” era una varietà di cereale che cresceva bene nel sud Italia, dove il cocente sole e gli inverni relativamente miti ne esaltavano le caratteristiche.
Al nord, in mezzo alla pianura padana, non si era mai visto quel grano.
Giuseppe lo conosceva sia perché come impatto visivo non differiva molto dal grano detto “Tenero”, usato per lo più per produrre pane e per l’alimentazione animale, sia perché gli era capitato di vederne le spighe al mulino di Fossano. Infatti la pasta ed alcuni tipi di pane risultavano buoni solo se la farina di partenza era di Grano “Duro”.
«Pietro, vieni con me!» disse al fratello.
Accostò il trattore a lato della strada e scese con un balzo.
Pietro lo seguì con fare più pacato, quasi sommesso.
Il giovane militare si addentrò di qualche centimetro nel campo adiacente la strada sterrata che conduceva alla loro dimora, si voltò verso il fratello che guardava a terra, le mani in tasca e le spalle strette.
«Ma che storia è questa?»
«In che senso?»
«Che razza di piante sono queste?»
«E’ grano, non lo riconosci più? Pochi mesi da militare e…»
«Proprio perché riconosco queste piante te lo sto chiedendo!»
«Beh, il grano è una pianta che va seminata in autunno e…»
«Fratello mio… non insultare la mia intelligenza! Io mi sto chiedendo che fine ha fatto l’orzo?! Questo campo è ancora della nostra famiglia, non è vero? Ed anche quello lì… anche quello coltivato a grano duro?! Ma che follia è questa?»
Lo stupore di Giuseppe aveva ceduto il passo all’ira.
Come aveva potuto, la sua famiglia, abbandonare la coltivazione dell’orzo che dava loro sostentamento favorendo un tipo di cereale che in quella zona non cresceva bene?
«Giuseppe… credo che di questo dovresti parlarne con tuo padre…» intervenne Giacobbe, tentando di placare l’amico.
«Che cosa? Vuol dire che papà ha deciso di convertire tutti i nostri campi? Io pensavo che fosse una tua malsana idea, Pietro! Un esperimento fallimentare e che papà in qualche momento di follia ti avesse dato corda!»
«Cazzo, Giuseppe!» sbottò Pietro, « O sei scemo, o in caserma ti hanno dato da mangiare Pietre! Secondo te io sono così idiota da fare una cosa del genere? E papà, sarebbe totalmente rimbecillito con mamma al seguito?»
«E allora dammi una buona motivazione!»
«Dio del Cielo, Giuseppe! Guardati intorno! Non vedi che tutti i campi, non solo i nostri, sono coltivati a frumento duro?»
Giuseppe, visto il tono del fratello, forse anche perché non più concentrato sulla guida, notò che le parole di Pietro erano veritiere…
Tutti i campi non destinati a frutteto erano coltivati a grano.
Son solo i suoi, ma proprio tutti!
«Ma che diavolo…»
«Andiamo a casa, ora. Papà ti spiegherà tutto».
«C’è quindi una spiegazione logica a tutto ciò?»
«La spiegazione c’è… che sia logica è tutta un’altra questione!»
Il resto del viaggio fu caratterizzato dal silenzio più profondo.
Solo il borbottio incessante dei cavalli vapore del trattore faceva da cornice sonora.
La tensione si sarebbe potuta tagliare con un coltello.
In lontananza l’agglomerato di case che Giuseppe, una volta, chiamava casa.
Circondate da tutto quel frumento, perfino quelle costruzioni così familiari assunsero una connotazione distante, diversa… quasi aliena.
Pochi minuti di viaggio trascorsero lenti, quasi fossero ore.
Giunsero nella coorte, l’ampio cortile antistante la cascina dove Giuseppe e Pietro vivevano.
Scesero dal potente mezzo agricolo, Giuseppe salutò l’amico con fare distratto, teso com’era alla sua meta: suo padre.
Entrarono in casa.
Sua madre fu estremamente espansiva, con lui!
E come darle torto?
Erano mesi che non vedeva il suo primogenito e, ad una madre, era concesso sciogliersi davanti al proprio figlio.
Il giovane militare, iracondo e pensieroso non riuscì a trattenersi:in un attimo la tensione scivolò via e si abbandonò ad un caldo, lungo e forte abbraccio materno.
Non era poco virile cedere alle carezze materne, neppure per un militare!
Da ché mondo è mondo, d’altro canto, “la mamma è sempre la mamma”!
La sera giunse ed anche suo padre attraversò l’uscio di casa, dopo una lunga giornata nei campi.
«Padre!» lo salutò Giuseppe con un abbraccio.
«Ecco che ritorna il figliol prodigo!» scherzo il vecchio.
«Non ho mai abbandonato la retta via, a dirla tutta! Sono stato solo dislocato in altra sede, per dirla come i militari!»
Risero.
Era da tanto tempo che tutta la famiglia non era riunita.
«Cara, è pronta la sorpresa?» chiese l’uomo alla moglie.
«Ancora qualche minuto nel forno in cortile e ci siamo! Anzi, avresti voglia di prenderlo tu? È veramente pesante per me!»
«D’accordo, fammi solo lavare un po’ e vado».
«Una sorpresa? Per me?» chiese Giuseppe stupito, gli occhi di un bambino la mattina di natale.
«Sì, figliolo! Sapendo che saresti tornato oggi e visto che domani è Venerdì santo, quindi niente carne, ne abbiamo approfittato per cucinare il tuo piatto preferito!»
«Cinghiale cotto nel forno a legna? Quello con la salsa all’aglio?»
«Proprio lui! Io e Pietro siamo andati a caccia domenica scorsa, dopo aver badato ai campi e tua madre è tutta la mattina di ieri e di oggi che lo cucina! E poi non dire che non ti vogliamo bene!» ironizzò l’uomo.
D’un tratto il viso di Giuseppe s’incupì:
«Ecco, Padre… a proposito dei campi…»
«Figlio mio… godiamoci la cena sontuosa che Nostro Signore ed un paio di proiettili ben piazzati ci mettono sulla tavola. Ne parliamo domani, che ne dici?»
«Sì, padre… come preferisci…»
«Su, coraggio! Vieni a darmi una mano con la carne! Oppure in caserma ti sei rammollito?»
«Posso sfidare sia te che Pietro insieme, altroché rammollito!» rispose gioiosamente Giuseppe.
Quella sera si doveva festeggiare, l’indomani forse anche perché sarebbe stato il Venerdì Santo, sarebbe stato il momento di parlare di cose tristi.