14 Agosto 2015
Locale da aperitivo, una birra artigianale… un mondo che si apre!
Metti che una sera vai a trovare un amico che ha la fortuna di abitare in una zona umanamente modaiola della tua città (nel mio caso Torino, schizofrenica quanto a nuove aperture). Metti che si sia un po’ stanchi e si decida di testare l’ennesima hamburgeria per levarsi il pensiero velocemente, con la testa più ad un paio di rinfrescanti e leggere birre del dopo cena, viste le temperature. Metti che arrivi al posto e ti rendi conto che anche loro hanno seguito il flow ed offrono una buona artigianale. Chiariamo, birra del territorio, prodotto discreto, con le due classiche tipologie da pubblico, blonde ale ed ambrata; spillata male, troppo fredda ma siccome nessuno pretende un publican pro in un hamburgeria, più che soddisfacente visto l’accaldato precena in città. Bene, direi che si è trattato della parte migliore del pasto: nonostante la comunicazione intorno a me si affanni a parlar di qualità, il panino abbastanza anonimo ed il contorno pessimo. Testa bassa e con lo sgradevole sapore del contorno ancora in bocca (sì, così stupido da finire il mio nettare salva papille prima del cibo!), parto deciso diretto verso una delle chances di bere almeno un’altra buona birra, che in zona non mancano.
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Ma causa pigrizia ed insistenza del mio compare ci fermiamo pochi metri dopo, in un bar ormai storico della vita torinese, dove da sempre si fa dall’aperitivo alla serata, semplice senza pretese ma sempre frequentato. Dopo qualche attimo di riluttanza non posso che adeguarmi, realizzando che magari anche lì potevano aver seguito il suddetto flow: in fondo mi pareva che in passato avessero dedicato le spine anche a prodotti non così standard, “metti che anche qui ormai servono qualcosa di buono”, penso. Troppo facile: arrivo al bancone e trovo ben cinque vie dell’impianto dedicate a prodotti che non conoscevo ma di sicuro non industriali. Individuo una IPA, o almeno così viene presentata dall’etichetta sullo spillatore, produttore italiano, del nord ovest ma fuori regione; non lo conosco ma vista la quantità di IPA che come tutti gli appassionati ho potuto assaggiare negli ultimi anni (prodotto di moda=facile diffusione, quasi mainstream oramai, e menomale) penso subito che sia un test abbordabile. Nel frattempo il mio amico, che conosce il titolare più di me, comincia a far quattro chiacchere riguardo il mondo birra. Io medito di ordinare una piccola, metti che dopo voglia assaggiare altro.
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Ordino, senza più guardar quali siano le altre birre offerte come artigianali, ed a questo punto si apre il modo citato nel titolo: è disponibile solo la media, 0,40 cl, poco più di 5 gradi, in calice a tulipano. Si giustifica (senza neanche troppa cortesia) dicendo che essendo il prezzo d’acquisto più alto del solito avrebbe dovuto proporre la piccola da 0,20 cl a 3,50 Euro e che quindi aveva optato per la mono scelta della media a 4,50, secondo lui più adeguata alla sua clientela. Strategia discutibile ma, metti che ha ragione. Da lì si avventura in una discreta prosopopea sul costo delle birre, artigianali e non, criticando la scarsa capacità dei piccoli produttori di ripetere i loro prodotti, dell’eccessiva torbidità degli stessi (!!!) e di preferire chi riesce a replicare sempre e comunque lo stesso gusto. A quel punto io sto pensando due cose: “un altro che non apre gli occhi” e “allora beviti una una birra industriale” anche se lui si difende citando qualche trappista del mondo dai grandi numeri…) e avalla le sue teorie portando l’esempio di una degustazione nel suo locale: organizzata con un noto produttore della zona, le cui realizzazioni sono di ottimo livello ed alta qualità produttiva, stroncata totalmente sia da lui che da suoi aficionados GRANDI intenditori.
Gran finale: la birra mi sembra terribile. Non mi metto a cercar colpevoli, molto probabilmente la descrizione sullo spillatore era sbagliata, ad occhio e palato una pesante e stucchevole pale ale, pastosa e sbilanciata e di gradazione sicuramente più alta; magari mal conservata o fusto non proprio nuovo. Metti che m’avesse servito la famosa piccola, ne avrei bevute due o tre, tentato dall’assaggio di buone proposte; ed aggiungo che l’avrei fatto anche trovando una birra non di mio gusto come mi è successo; ma se con la piccola avrei comunque proseguito, l’eccessiva media mi ha imposto uno stop alla prima consumazione. Quindi, cliente scontento (al di là delle atroci considerazioni birrarie ascoltate) e gestore che incassa la metà. Distratto infatti da ciò che avevo ascoltato, dalla birra non proprio fantastica e dai quattro 4 euro e 50 spesi trascuro le altre opzioni presenti.
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Ed è qui che si apre quel mondo citato nel titolo. In queste righe mi sono riferito al mio territorio ma so bene quanto simili situazioni siano ordinarie in mille altre parti del Paese e non mi riferisco alla sola cultura brassicola, ma a quella mancanza totale di visione più ampia, concetto che è del tutto estensibile ad esempio gran parte del mondo dell’agroalimentare. Non ho fatto nomi, semplicemente perché non vuol essere una recensione locale ma uno spunto per aprire a riflessioni diverse. Nel caso birra una maggiore preparazione di chi la vende (peraltro facilmente implementabile con uno dei buoni corsi in circolazione); un interesse per i vari produttori, magari a partire da quelli più vicini (in Piemonte molto numerosi) e per la loro possibile proposta commerciale; un po’ di passione per il gusto per capire cosa davvero si sta bevendo, senza eccedere in eccessi da degustazione ma con la consapevolezza che aiuta ad orientarsi e magari a spendere 50 cent in più per una piccola; ed infine andando a ritroso, alla filiera, indispensabile conoscerla per conoscere il prodotto, in questo momento in cui la confusione sulla terminologia legislativa sulle birra (artigianale, agricola, pastorizzata, cruda ecc.) è totale, ma che sembra anche quello buono per iniziare il percorso verso nuove e più attuali leggi.
Se ne sono accorte persino le istituzioni e qualcosa si muove. Ci vorrebbe un po’ di collaborazione ed umiltà da parte di tutti per spingere le cose nella giusta direzione, ed informarsi su ciò che consumiamo è il modo un cui cominciare e continuare. Con quest’idea per la testa i miei giri per birra e manifestazioni, sabato 18 luglio mi hanno portato a Marano sul Panaro (MO) per l’interessantissima III edizione del Marano Wild Hopfest, un progetto consolidato con patrocini e presenze di rilievo. Non solo la piacevole e consueta occasione per assaggiare ma finalmente discorsi su una vera filiera della birra in Italia e dei concreti risultati delle sperimentazioni su luppoli autoctoni (ed anche alloctoni), con visita al luppoleta annessa. Discorso embrionale e luppolo indiscusso protagonista con la partecipazione di ricercatori, studiosi, agronomi, coltivatori, produttori anche importanti, rappresentanti della politica, associazioni ed alcuni curiosi. Tra cui io, che con le venti pagine di appunti che ho preso ho diverse cose da raccontare. La creazione di filiere, espressione del territorio: per i validi e creativi birrai italiani si apre un mondo.
A presto con il report completo del Marano Wild Hopfest, metti che vuoi coltivare il luppolo.