7 Gennaio 2016
Birra artigianale tra 2015 e 2016: il punto di Simone Monetti di Unionbirrai
Anno nuovo è da sempre il momento per tracciare bilanci per quanto fatto e definire progetti e aspettative per il futuro. A tracciare quello del settore brassicolo è Simone Monetti, direttore generale operativo di Unionbirrai, la principale associazione di categoria che ha chiuso il 2015 toccando i 158 associati.
Consolidamento, export, filiera e legislazione i temi in rilievo nell’annata appena trascorsa, destinati ad avere un ruolo di primo piano anche in questo 2016.
Monetti, che bilancio si può trarre del 2015 appena concluso per le birre artigianali?
«L’anno appena terminato è stato certamente caratterizzato da crescita e consolidamento dei nostri birrifici. Abbiamo avuto molte nuove aperture, arrivando a circa ottocento unità produttive e superando le mille considerando i beer firm. Al contempo c’è stato un progressivo consolidamento delle realtà presenti con parecchi cambi di impianto per far fronte alle crescenti richieste produttive. Positivo è anche l’aspetto occupazionale con la crescita del numero medio dei dipendenti nei birrifici, segno che il modello nativo di un birrificio con il birraio e qualche amico impegnato a tempo perso si sta evolvendo in realtà più strutturate. Inoltre arrivano segnali incoraggianti dall’incremento della quota di mercato arrivata al 3% rispetto al 1% di 3-4 anni fa.
Non ci sono solo rose e fiori nel nostro 2015. Per sostenere la crescita avremmo bisogno, come tutte le PMI italiane, di un più facile accesso al microcredito, una reale semplificazione burocratica ed un più equo sistema di accise, per il quale, come associazione, c stiamo battendo da parecchio.»
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Dal punto di vista legislativo, Unionbirrai si è fatta portavoce anche nel 2015 delle esigenze di cambiamento a sostegno del settore. Se avesse potuto chiedere a Babbo Natale un regalo in tal senso cosa avrebbe chiesto?
«La letterina l’abbiamo scritta a febbraio all’ultimo Beer Attraction quando abbiamo preparato un testo che è all’esame parlamentare e raccoglie le nostre richieste. Come prima cosa chiediamo il recepimento direttiva europea che prevede gli sconti per i produttori che producono meno di 40.000 hl/anno. Sempre in termini tributari chiediamo di pagare l’accisa quando si beve la birra e non quando la si produce come avviene oggi, possibilmente. Effettuando questo cambiamento senza un ulteriore aggravio burocratico. Questo cambiamento avrebbe un grande impulso sia per i piccoli birrifici ad avviare l’attività e garantirebbe un grande balzo di competitività ai nostri birrifici all’estero.»
Nonostante queste difficoltà dovute all’apparato, nel 2015 il tema dell’export ha avuto un grandissimo slancio: un numero sempre crescente di birrifici ha iniziato a portare i propri prodotti in altri stati segno che il prodotto italiano comincia ad avere una certo apprezzamento anche fuori confine.
«L’attenzione per la birra italiana c’è da diversi anni fin da quando i primi pionieri si sono affacciati oltre confine, indicando nuove vie per produrre la birra. La qualità e la fantasia è certamente riconosciuta ai prodotti italiani, anche se potrebbe avere una diffusione maggiore e questo anche a causa di una lacuna della nostra associazione che intendiamo colmare: non abbiamo dato un messaggio univoco di quello che si produce in Italia. In alcuni paesi avere una voce forte che descrive il prodotto è fondamentale per aprire il mercato.
Inoltre, i nostri birrifici pagano un consistente gap nei confronti dei concorrenti per l’assenza dello sconto di accisa, già presente negli altri stati europei, e una burocrazia ferraginosa per il recupero dell’accisa stessa nei paesi esteri. Questo non fa altro che limitare la competitività dei nostri birrifici.»
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Passando all’aspetto produttivo, nel 2015 è da registrare un importante passo in avanti nella realizzazione di una filiera italiana con la designazione dell’autorità per la certificazione del luppolo. Un passo importante che in prospettiva potrebbe dare una maggiore caratterizzazione alle birre italiane.
«Era illogico pensare che con 800 birrifici non avessimo produttori di luppolo, acquistandolo da tutto il mondo a prezzi pazzeschi. Siamo un paese con una consolidata tradizione agricola ed alla latitudine buona per produrlo efficacemente. L’industria del luppolo non è mai esistita ma non è impensabile avviarla. Non è tuttavia un processo facile in quanto sono richieste attrezzature dedicate che in Italia nessuno possiede ed allo stesso modo non siamo preparati per la trasformazione. Si tratta pertanto di un cambiamento importante che deve nascere da una concertazione di birrifici, agricoltori e istituzioni. La filiera del luppolo rappresenta un importante investimento per il domani, non solo per i nostri birrifici: come noi oggi importiamo luppolo da ogni parte del mondo, non è detto che un domani in Nuova Zelanda qualcuno non voglia provare luppolo italiano, ma per fare ciò è fondamentale indirizzarci su varietà autoctone.»
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Per il luppolo qualcosa si è mosso in questo 2015, per il malto d’orzo la situazione è certamente più arretrata. Possiamo sperare che nel 2016 possa iniziare un processo anche in questa direzione?
«I maltifici in Italia sono in tutto 3-4, ma quelli che realizzano piccoli batch sono 1-2. Questa lacuna nasce storicamente quando nel 2010 la birra è stata definita un prodotto agricolo, considerando l’orzo come ingrediente, dimenticando completamente la maltatura. Allo stato attuale, un birrificio agricolo che si produce il proprio orzo deve effettuare la maltatura in Austria, senza alcun beneficio in termini di risparmio e competitività. La strada per colmare questo gap è lunga, occorre formare tecnici specializzati per arrivare ad avere 1-2 malterie per regione. Fortunatamente si sta diffondendo una buona sensibilità al tema ma chiaramente dobbiamo essere coadiuvati dalle istituzioni: non sono i birrifici che possono sostenere la filiera.»
Per il 2016 appena iniziato, quali sono le aspettative del movimento brassicolo?
« Dalle istituzioni ci auspichiamo che arrivi una reale semplificazione del lavoro che rappresenterebbe un sostanziale aiuto a tutto il settore. Come associazione dobbiamo puntare ad un consolidamento della ‘cultura’ del consumatore potenziando i corsi ed aiutando chi acquista una birra artigianale a riconoscerne la qualità. Dal punto di vista della vendita speriamo di conquistare altre fette di mercato, raggiungendo quei publican restii o che non hanno l’impianto di proprietà. Il tutto sperando di ricevere il regalo di Natale che abbiamo richiesto già da un po’ di tempo.»
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Manca meno di due mesi a Beer Attraction 2016, la fiera di Rimini organizzata da Unionbirrai: qualche anticipazione al riguardo?
«Confermata la formula consolidata con due giorni di apertura a tutti e i successivi due esclusivi per i tecnici del settore. Manterremo la manifestazione Birra dell’anno, mentre sará potenziata la parte di degustazione, permettendo agli appassionati di scegliere tra diversi percorsi. Il prezzo di entrata sarà più basso, con la possibilità di acquistare i pacchetti con le degustazioni direttamente online.»